Sesshoumaru osservava il cielo scuro illuminato da una pallida luna e da qualche stella, perso nei suoi pensieri, cercava di ricordarsi come era finito in quella situazione, in quella monotonia, e cosa lo spingesse ad andare avanti. Un aereo con le luci rosse e bianche a intermittenza entrò nel suo campo visivo infastidendolo e spostando lo sguardo sulla foresta accanto, suo fratello era poco distante da lui, steso a terra incosciente che si riposava dopo lo scontro appena conclusosi.
Fratello, da quando Sesshoumaru aveva smesso di chiamare Inuyasha “lurido mezzosangue” e aveva iniziato a considerarlo un fratello? Non se lo ricordava, gli anni erano passati lenti e tristi, lasciandoli soli e senza nessun’altra compagnia, ormai il demone completo aveva superato il millennio d’età, eppure quegli ultimi cinque secoli lo avevano logorato dall’interno.
Si passò una mano artigliata, con i marchi demoniaci ben evidenti appena sotto il polso, nella lunga chioma argentea, lasciando che i capelli gli scivolassero giù dalle dita, contemplandoli con nostalgia. Pochi secoli prima gli umani avevano sviluppato le loro tecnologie, le loro armi, accrescendo la loro forza e iniziando a cacciare i demoni come lui, impauriti dalla loro forza e dalla loro stregoneria.
I fucili avevano decimato i demoni minori, troppo deboli per poter sopravvivere e scappare, fu proprio una di quelle pallottole ad uccidere Jaken, Sesshoumaru lo aveva lasciato indietro al sicuro, o così credeva, mentre andava ad esplorare un accampamento umano. Il rumore della pallottola lo aveva fatto scattare, incurante della sua stessa sicurezza era corso, volando verso il piccolo e rumoroso Kappa che lo aveva accompagnato in quei lunghi anni, quell’essere fastidioso dalla voce gracchiante, quel demone che l’aveva servito con devozione nonostante i suoi continui maltrattamenti. Lo trovò accasciato sul terreno freddo dell’inverno, freddo come il suo corpo, il sangue cremisi lo circondava creando una piccola pozza, gli occhi sbarrati e la bocca aperta che invocava il suo aiuto.
Non pianse e non mostrò al mondo esterno il suo dolore, perché era triste che il suo piccolo compagno di avventure lo avesse lasciato, era arrabbiato che non fosse riuscito a proteggerlo lasciandolo morire da solo, e ciò segnava anche che l’ultimo ricordo di Rin se ne era andato con lui. Lo seppellì e lo vendicò, non aveva più ucciso nessun essere umano da quando Rin, ancora una bambina sorridente, aveva incominciato a viaggiare con lui, ma in quella occasione aveva deciso di non seguire più quella regola autoimposta. Trovò gli umani che avevano ucciso il piccolo Kappa, li trovò facilmente tramite il loro odore, e li massacrò dal primo all’ultimo, ignorando le loro suppliche e le loro preghiere, i loro ultimi desideri lo fecero solo ridere, una risata sadica e meschina, volevano rivedere i loro cari un’ultima volta ma loro non avevano permesso al demone di fare lo stesso.
Un vento leggero gli accarezzò il volto accaldato, rasserenandogli per un istante l’animo ferito, e facendo cambiare strada ai suoi pensieri cupi.
Nonostante avesse lasciato Rin nel villaggio umano da bambina non riusciva a lasciarla completamente andare, regalandole almeno un kimono ad ogni sua visita, sapeva il significato che quel gesto aveva per gli umani, e spesso lo stesso significato valeva anche per i demoni, eppure lui continuava a fare finta di nulla. Si diceva che così non era, che non provava dei sentimenti romantici per la bambina, che più passava il tempo più cresceva, diventando una giovane donna, bellissima.
Si rese conto di quanto fossero stupide e campate in aria fossero le sue scuse, quando vide uno dei giovani del villaggio corteggiare la ragazza. La gelosia si era impossessata di lui e insieme anche la possessività tipica dei demoni, Rin era sua, e non avrebbe permesso a nessuno, umano, demone o mezzo demone, di posare anche solo lo sguardo su di lei. Le disse quelle stesse parole, nessuna promessa d’amore, nessun giuramento, con il suo solito sguardo freddo e occhi gelidi, eppure lei aveva capito, aveva compreso i suoi sentimenti meglio di lui, si era letteralmente gettata fra le sue braccia ripetendo che per lei era lo stesso, che provava i suoi stessi sentimenti e che voleva ripartire con lui e Jaken, voleva esplorare il mondo e stare sempre al suo fianco. Ma lui aveva rifiutato, preferendo aspettare.
Aveva sedici anni, nell’epoca Sengoku, cinquecento anni prima, veniva considerata una donna in piena regola, mentre adesso, a metà del ventunesimo secolo, l’avrebbero considerata appena una ragazza. Se ne andò dopo appena due anni, con lei anche l’umana di suo fratello, lasciandoli soli con un vuoto che non poteva essere colmato.
Si ricordava ancora quel giorno come se fosse successo pochi istanti prima, a causa di una strana sensazione che lo attanagliava da ore era corso al villaggio, pregando per la prima volta nella sua vita che si stesse sbagliando, ma così non fu. Quando arrivò trovò Rin e Kagome a letto, il sudore le ricopriva come una seconda pelle, mentre diversi spasmi attraversavano il loro corpo, Inuyasha era accanto alla moglie e la guardava con le lacrime che gli rigavano il volto, mentre le teneva la mano con forza.
«Kagome cosa…» Non riusciva a parlare, ma la domanda che attraversava la mente di tutti i presenti era la stessa, cosa stesse succedendo alle due donne…
«Signor Sesshoumaru…» Il demone si avvicinò alla ragazza, osservandola in ogni più piccolo dettaglio, cercando di capire cosa stesse succedendo, come potesse salvarla per la terza volta, sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma non doveva succedere così presto, non poteva.
«Sono qui Rin…»
«Non si dimentichi di me… Mi trovi…» Quando il cuore della ragazza si era fermato il silenzio era calato in tutto il mondo, le orecchie demoniache non percepivano più alcun suono, e il suo cuore si era fermato con lei. Dolcemente le accarezzò il volto, imprimendosi nella memoria il volto, l’odore, la sua voce con quelle ultime parole, ed uscì non riuscendo più a trattenersi.
Tutt’ora si ricordava poco delle ore che erano seguite, si era trasformato nella sua forma demoniaca completa ed era volato via, incapace di credere a quello a cui aveva appena assistito, incapace di credere alla morte di Rin. Voleva dimenticare, voleva che il dolore che lo stava dilaniando dall’interno finisse permettendogli di respirare, ma ciò avrebbe voluto dire dimenticare Rin, e lui questo non lo voleva.
Era tornato al villaggio solo ore dopo quando ormai il sole era calato e il buio della notte aveva inghiottito ogni cosa, credeva di poter affrontare finalmente suo fratello e sapere cosa fosse successo. Inuyasha gli raccontò come fossero entrambe sane, come stessero bene pochi minuti prima che lui arrivasse, e che all’improvviso erano crollate a terra tremanti ed agonizzanti. Piangeva mentre gli raccontava, mostrava il suo dolore apertamente, senza vergogna alcuna e in quel momento, per la prima volta Sesshoumaru si sentì invidioso del fratellastro, anche lui avrebbe voluto poter soffrire la perdita dell’amata come lui.
Gli disse anche che pochi istanti prima di morire Kagome era entrata in trance, la voce non era più la sua, gli occhi si erano girati all’indietro e gli aveva detto di aspettarle, perché sarebbero tornate nel futuro. Sesshoumaru era scettico, non credeva che attendendo loro sarebbero ricomparse magicamente, continuò a pensarla così anche dopo che scoprì che Kagome veniva dal futuro ed era la reincarnazione di una sacerdotessa. Inuyasha cercò di convincerlo di avere fede, ma anche il mezzodemone sapeva di chiedere molto, lui era stato con la ragazza per diversi anni e sapeva che il loro amore sarebbe sopravvissuto. Mentre Sesshoumaru aveva passato troppo poco tempo con Rin, non aveva potuto sperimentare quelle sensazioni, quelle sicurezze, non aveva quella fede cieca per il loro amore.
Il demone completo iniziò a viaggiare in tutto il mondo, cercando un modo per poterla far tornare indietro, per avere ancora del tempo con lei, chiese consiglio anche a sua madre, ma tutti gli sforzi che fece furono vani. E fu a causa di quella missione autoimposta che voleva assolutamente portare a termine, che non si accorse dello stato di Ah-Un, cieco nel dolore che credeva solo suo, il demone drago aveva smesso di mangiare, di bere, aveva perso la voglia di vivere. Sapeva che i cavalli in alcune situazioni decidevano di lasciarsi morire, rifiutando il cibo anche se gli veniva posto sotto il muso, Ah-Un non era un semplice animale, ma alla loro stessa maniera dopo la morte di Rin aveva deciso di lasciarsi andare, forse per raggiungerla.
Un rumore accanto a se lo distrasse dai ricordi, facendo concentrare il demone sul presente e notando che Inuyasha si era finalmente svegliato, lo aveva raggiunto e si era seduto accanto a lui. Le orecchie canine, segno della sua doppia natura, si muovevano ascoltando i rumori della foresta, mentre gli occhi ambrati come i suoi osservavano il cielo, persi in pensieri simili a quelli di Sesshoumaru.
Dopo la morte di Ah-Un avevano iniziato a viaggiare insieme, a volte per lunghi periodi a volte non si vedevano per altrettanto tempo, e solo dopo la morte di Jaken capirono di doversi nascondere e mescolare tra gli esseri umani. Non fu difficile, si integrarono facilmente, ma un problema sorse dopo circa un mese, durante una notte di luna nuova.
Normalmente Inuyasha diventava un umano completo in quelle ore, ma in quelle condizioni particolari, in cui veniva costretto ad essere umano tutti i giorni, la sua natura demoniaca era esplosa. L’aveva trasformato in un demone completo incontrollabile e assetato di sangue, Sesshoumaru aveva dovuto lottare contro di lui per farlo calmare, facendolo svenire a suon di pugni.
Così era andata avanti la loro vita, da umani, senza i loro poteri, nascondendo la loro vera natura per un mese meno un giorno, in cui potevano mostrarsi alla natura, ma stando sempre all’erta.
«Sono passati cinquant’anni…» Inuyasha ruppe quel silenzio ma Sesshoumaru non rispose, nonostante sapesse bene a cosa si riferisse.
Circa cinquant’anni prima il pozzo mangia-ossa si era chiuso dopo la lotta contro Naraku e la sfera dei quattro spiriti, lasciando Kagome da questo lato per tre lunghi anni. Inuyasha sapeva che nel passato c’era un lui giovane che la attendeva, per questo non le aveva mai parlato, non si era mai fatto vedere, ma l’aveva sorvegliata da lontano ogni giorno, finché il pozzo non si era riaperto permettendole di tornare nel passato.
«Me lo sento sono vicine!»
«Lo dici da cinquant’anni…»
«Ora lo sono ancora di più! Vedrai non manca molto, le rivedremo presto!» Discutere era inutile, avevano litigato spesso in passato per questo, lui era positivo, continuava a credere che loro sarebbero tornate, sarebbero spuntate dal nulla quasi per magia. Sesshoumaru invece era stanco, sempre più spesso si trovava a passare intere giornate senza accorgersi che avvenivano, muovendosi e lavorando come un automa, mentre la mente vagava, ripensando alla natura incontaminata, e a dove gli sarebbe piaciuto lasciarsi andare.
Entrambi i fratelli si ritrasformarono in umani, i capelli persero il loro naturale colore argenteo diventando neri come il petrolio così come l’iride negli occhi, i marchi e segni demoniaci erano spariti, orecchie, coda, così come i loro sensi sviluppati. Tenseiga e Bakusaiga erano scomparse, ma Sesshoumaru le sentiva ancora dentro di sé, la seconda che lottava, si ribellava a quella prigionia forzata, e la prima che cercava di calmare il suo spirito combattivo, vincendo ogni volta e placandola.
Il demone si sentiva come la sua spada, incatenato perennemente a quella forma umana, impossibilitato ad essere se stesso, costretto a sopprimere la sua vera natura e a nascondersi. Al contrario di Bakusaiga però, lui non aveva alcuna Tenseiga a calmarlo, rimaneva solo, venendo logorato dall’interno, lentamente, come un prigioniero che scava la pietra con le unghie.
Senza aggiungere altro tornarono a casa in silenzio, Inuyasha con un sorriso in volto e gli occhi speranzosi, Sesshoumaru invece osservava il paesaggio con sensi umani, non sentendo più il piacevole respiro degli alberi o il sussurrare del vento, era così stanco di tutto ciò. La mente cominciò a vagare ricordando i tempi in cui era la natura ha predominare, recuperando le immagini dei tramonti e delle albe che aveva visto, delle cime delle montagne innevate senza piste da sci, del cielo azzurro senza aerei o elicotteri che lo attraversavano. Esisteva ancora un posto incontaminato? Un posto in cui nella sua forma demoniaca avrebbe potuto ascoltare quei suoni ormai perduti, senza rumori e odori molesti. Un posto dove avrebbe potuto lasciarsi andare, e finalmente smettere di soffrire.
«Stasera usciamo!» Sesshoumaru sospirò ed osservò il calendario sulla scrivania, era passata una settimana in un battito di ciglia, e lui non se ne era nemmeno accorto.
«Non se ne parla…» Tornò a fissare i fogli che aveva davanti a se e li studiò cercando di ricordarsi cosa stesse facendo, ma Inuyasha quel giorno aveva deciso di non mollare.
«Ho una buona sensazione! Fidati questa sera è la sera! Me lo sento dentro» Sesshoumaru lo guardò di sbieco con un sopracciglio alzato, e lo vide con gli occhi neri fissi su di lui, pronti a lottare per convincerlo a uscire, sicuri della loro sensazione.
Un tempo il demone completo avrebbe discusso, avrebbe utilizzato la sua forza e il suo potere per far fare a Inuyasha e a tutti quelli più deboli di lui il suo volere, ma era stanco, anche solo ribattere gli costava una fatica che mai avrebbe creduto.
«D’accordo… Ora esci dal mio ufficio…» Il mezzodemone uscì sorridente, ripetendo che non se ne sarebbe pentito, se non fosse stato così contento forse si sarebbe accorto dell’arrendevolezza del fratello, forse si sarebbe accorto che ormai non aveva più voglia di vivere.
Un tempo Rin gli aveva detto che aveva il fuoco negli occhi, l’orgoglio, la sua voglia di combattere e di diventare più forte lo rendevano vivo, lo facevano andare avanti, creando una fiamma accesa negli occhi ambrati. Ormai però lui sapeva che non c’era più, in quei secoli la fiamma era diminuita, rimpicciolendosi sempre di più fino a scomparire.
Non era passato molto tempo da quando aveva realizzato questo fatto, da quando aveva capito che era troppo stanco, e probabilmente anche annoiato, per poter andare avanti, eppure non se ne era ancora andato perché non voleva lasciare solo suo fratello. Un altro sospiro uscì dalle labbra del demone, come aveva fatto ad affezionarsi tanto a Inuyasha?
«Non dirmi che hai cambiato idea?» Sesshoumaru si mise la giacca e guardò il mezzo demone, si era vestito come un ragazzino, berretto rosso e T-shirt.
«No ma muoviamoci così prima finirà questa pagliacciata…» La giornata era volata come la settimana, quasi non si accorse nemmeno di essersi vestito con un completo così come di aver recuperato la macchina, una BMW bianca, e di seguire le indicazioni per il locale in cui dovevano andare.
«Parcheggia pure qui, girato l’angolo siamo arrivati…» Fece come suggeritogli e scesero, Sesshoumaru era ancora perso nei suoi pensieri e non si rese conto subito dove Inuyasha l’avesse portato.
Il locale era di medie dimensioni, una buona illuminazione e una leggera musica in sottofondo per rendere a proprio agio le persone, diversi tavolini e sedie erano posizionati lungo tutta la stanza principale insieme a un grosso tavolo con un piccolo rinfresco, diverse persone chiacchieravano o si guardavano attorno agitate.
«Dimmi che non l’hai fatto veramente…» Inuyasha evitò il suo sguardo iniziando a massaggiarsi la testa in ansia, e questi gesti risposero al posto suo.
«Io me ne vado…»
«Dai Sesshoumaru aspetta, non puoi fidarti per…» Si bloccò all’improvviso, gli occhi fissi verso un punto indefinito alle spalle del demone, che si girò per capire cosa fosse successo ritrovandosi di fronte Kagome. Sorrideva allegra mentre si guardava in giro non notando i due fratelli, i capelli corvini erano lasciati liberi mostrando la loro naturale lunghezza. Inuyasha si era completamente dimenticato di dove fosse o di cosa stesse dicendo, Sesshoumaru poteva capirlo e sorrise leggermente intenerito, forse il suo intuito non aveva sbagliato questa volta.
«Buona serata…»
«No dai aspetta…» Sesshoumaru lo prese per il colletto della T-shirt e lo tirò in disparte, stufo di continuare a discutere e leggermente frustrato del fatto che non c’era ancora nessuna traccia di Rin.
«Senti non intendo rimanere oltre! Tu hai trovato la tua bella e io ora me ne voglio andare, non parteciperò a questa pagliacciata!» La rabbia rendeva instabile l’amuleto che lo trasformava in un umano, facendogli diventare gli occhi non più neri ma rosso sangue, Inuyasha sbuffò leggermente intimorito. «D’accordo, ma almeno lasciami la macchina!»
Il demone quasi ringhiò, ma gli fece cadere le chiavi della macchina in mano per poi andarsene finalmente a passi svelti, raggiunse la stazione sbuffando e infastidito di dover utilizzare quel mezzo di trasporto, ma ringraziò il fatto di non doverci salire con i suoi sensi demoniaci. Il rumore era insopportabile con quelli umani, nella sua vera natura probabilmente avrebbero iniziato a sanguinargli le orecchie, per non parlare poi dell’odore.
Trovò il treno già al binario e poté iniziare a sedersi osservando il cielo scuro attraverso il finestrino, non era tanto distante da casa sua, in volo sarebbe stato un attimo da raggiungere. Da quanto tempo non volava più? Da quanto tempo non sentiva il vento cullarlo gentile, accarezzandogli i capelli argentei e la coda che usava come stola. Se chiudeva gli occhi poteva tornare a uno di quei viaggi, la natura incontaminata e dai mille colori si stendeva sotto di lui, mentre qualche rapace impavido volava al suo fianco. La voce di Jaken che chiedeva di rallentare perché non aveva una buona presa sul suo pelo, o che scacciava gli animali agitando il suo bastone, non ritenendoli degni di volare accanto al sommo Sesshoumaru.
Prima di andarsene avrebbe dovuto fare un saluto al piccolo Kappa, non era mai andato a trovare la sua tomba, ma forse non sarebbe stato così disonorevole, forse poteva anche rimanere lì. Inuyasha aveva ormai trovato Kagome e non sarebbe più stato da solo, che il tempo fosse giunto? Che il destino lo stesse chiamando?
Il treno si fermò piano e Sesshoumaru riaprì gli occhi, conscio di essere arrivato all’ultima fermata, la sua. Si alzò continuando a pensare quando una figura su una poltroncina attirò la sua attenzione, una ragazza sui vent’anni stava dormendo beata sulla poltroncina del vagone e non sembrava avere intenzione di svegliarsi.
Sarebbe dovuto andare avanti per la sua strada, ignorando la ragazza e decidendo se attuare il suo piano già quella sera stessa, era meglio non perdere altro tempo, ormai era stanco da troppo a lungo. Ma contro ogni logica si fermò, chiamando la ragazza cercando di svegliarla ma nulla, le poggiò una mano sulla spalla scuotendola leggermente e a quel punto lei aprì gli occhi corvini, osservandolo ancora assonnata.
«Ma non erano ambrati?...» Sesshoumaru spalancò gli occhi sorpreso, non poteva aver sentito bene, doveva essere una coincidenza quella, probabilmente stava ancora sognando, la ragazza a quel punto sembrò svegliarsi del tutto.
«Eh? Scusi mi ero appisolata stava dicendo qualcosa?» Non si ricordava, probabilmente era davvero una coincidenza, eppure…
La guardò attentamente, corti capelli d’ebano le circondavano il volto dai lineamenti delicati, gli occhi erano neri e profondi, quasi infantili?
«Ho detto che il treno è arrivato al capolinea…» Stava immaginando cose che non esistevano, non era chi credeva che fosse, era solo frustrato perché suo fratello aveva trovato Kagome mentre lui no, ma forse era meglio così.
«Grazie mille…» La ragazza se ne andò recuperando i suoi oggetti, lasciandolo solo con mille dubbi e con le sicurezze che lo avevano accompagnato in quegli ultimi anni vacillare. E se fosse stata lei? E se non fosse stata lei… Avrebbe rischiato di illudersi, dando al suo animo una delusione troppo grande da sopportare.
Eppure non riusciva a convincersi, inspirò profondamente l’aria cercando di percepire l’odore della ragazza, sperando che anche in forma umana riuscisse a percepire il profumo di fiori bagnati dalla rugiada, ma così non fu.
Tornò a casa ripetendosi di non illudersi, che era solo una coincidenza e che aveva sentito solo quello che voleva sentire, che non era reale. Era più facile credere che non lo fosse, però quando si guardò allo specchio vide negli occhi una leggera fiamma.
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Occhi dorati e una voce lontana
Short StoryRin è una studentessa universitaria, la sua vita è normale e tranquilla, esce con le sue amiche come una qualsiasi ragazza. Negli ultimi giorni però strani sogni le tormentano il sonno, un paio di occhi dorati la osservano e quando finalmente si sve...