"E la notte si prende quello che vuole
E non lascia quasi niente
È che siamo soltanto persone sole
Perdute fra la gente"
-Gazzelle, Nero
Quel giorno il cielo era di un grigio particolarmente noioso, monotono, triste, ed il mio umore non era da meno. Faceva freddo, soprattutto in quel monolocale che avevo comprato con i pochi risparmi lasciati da mio padre in quello stupido conto in banca costantemente a rosso. Ad essere sincera si gelava, ma non potevo comunque permettermi il riscaldamento, non con la paga minima e insignificante che guadagnavo in libreria. Ricordo perfettamente l'odore di pulito della coperta pesante che mi trascinavo su e giù per casa, tentando di ricavarne calore, stringendo tra le mani quella tazza bollente. Sorseggiavo distratta il mio thé, guardando un punto indefinito al di fuori della finestra, rannicchiata sull'ampio davanzale in marmo bianco.
Sembrava che da un momento all'altro potesse scoppiare un temporale e la cosa non mi tranquillizzava affatto. I tuoni mi avevano sempre messo uno strano senso di inquietudine, al dire il vero ne ero totalmente terrorizzata, forse perchè mi riportavano a quel giorno, forse perchè da bambina non avevo avuto nessuno che mi sussurrasse che sarebbe andato tutto bene. Mi strinsi ancora di più nel plaid, cercando conforto, ricordandomi mentalmente di essere una persona forte, di potercela fare.
Ma chi volevo prendere in giro? Sapevo perfettamente di non poter continuare ad andare avanti in quel modo, di non poter continuare a fingere di stare bene, di non poter continuare a recitare la parte della persona felice che non ero. Avevo bisogno di qualcuno, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse ad uscirne, che mi aiutasse a tornare quella di una volta, che mi aiutasse a dimenticare. Ed è buffo il destino, sai? Non che prima di quel momento io ci credessi, non ero mai stata una tipa troppo romantica o esageratamente sdolcinata, ma quello sembrava essere proprio un segno divino. Tu sembravi essere un segno divino, come se qualcuno lassù avesse deciso di regalarmi un sorriso, di soddisfare le mie richieste, come se qualcuno lassù fosse stato stufo delle mie lamentele. Perchè si, fu quella la prima volta in cui ti vidi.
Probabilmente non lo ricorderai, eri talmente preso dal tuo cellulare che sarebbe potuto venire giù il mondo ma tu non lo avresti sentito comunque. Tenevi stretto nella tua mano destra quell'aggeggio, assorto nella lettura di qualcosa che probabilmente ti turbava, ed entrambe le cuffiette bianche erano ben salde nelle tue orecchie, coperte in parte da quel berretto scuro che ti spettinava i capelli corvini, più lunghi del solito. La giacca di pelle nera sembrava non riscaldarti abbastanza, ma tu continuavi a startene dritto, impassibile, mentre richiudevi la porta del palazzo alle tue spalle, riponendo in tasca il telefono. Ti osservai, incantata, mentre infilavi le mani nelle grandi tasche dei jeans, alzando poi lo sguardo difronte a te ed incrociando per una frazione di secondo il mio.
E poi semplicemente te ne andasti, indifferente, confondendoti con lo smog e il grigio pesante di cui quel giorno si era vestita Venezia. Ma no, tu non potevi saperlo, non potevi sapere che dietro a quella finestra ci fossi io, lo sguardo perso nel vuoto, le iridi dilatate, le mani strette intorno a quella tazza fumante.
Perchè si, io ti avevo riconosciuto.
N.A.
Si, so perfettamente che Michele Gilberto Merlo vive a Bassano, provincia di Vicenza, ma per il fine della storia ho dovuto modificare questo piiiiccolo dettaglio, sorry.
Non cruciatemi, potreste finire ad Azkaban. :)
Ily!