Capitolo 2

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Entrai a casa chiudendo la porta alle mie spalle. Ero molto infreddolita così tolsi il cappotto umidiccio, lo appesi all'ingresso e misi subito la mia vestaglia di pail, avevo ancora i brividi e arrivata al piano superiore, per la mia felicità, trovai il camino acceso in soggiorno e mi sedetti lì accanto beandomi del suo calore, mi sentivo un cubetto di ghiaccio dentro al forno ma sciogliersi non era mai stato così bello. Mentre pensavo a ciò che avrei dovuto mettere per la cena, il mio telefono vibrò e vidi il messaggio di mia madre che mi avvisava di sbrigarmi in quanto la cena era stata anticipata di un'ora. Sgranai gli occhi e scattai in piedi, merda, era tardi. Molto tardi. Tardissimo. Mi precipitai in bagno per fare una rapida doccia e mentre pettinavo, o meglio cercavo di sciogliere tutti i nodi dei miei ricci, aprì l'acqua aspettando che si riscaldasse. Mi fiondai sotto il getto d'acqua calda che mi fece rilassare ma non quanto volevo e soprattutto quanto mi sarebbe servito per reggere quella serata, ma non potevo perdere tempo anche se sarei rimasta lì per ore. Avvolta ancora nell'accappatoio, aprì il mio armadio e dopo alcuni minuti di "contemplazione" optai per un pantalone nero dal taglio retto e lungo fino alla caviglia, una camicia di chiffon un pò lenta da mettere dentro i pantaloni, una giacca nera e un paio di decoltè dal tacco sottile. Abbastanza sobria anzi mi ero sforzata di non presentarmi con i jeans strappati, che io adoravo. Tornai in bagno, asciugai velocemente i capelli e mi andai a vestire. Mettere quelle scarpe fu un sacrificio, ma non potevo non farlo altrimenti mia madre non mi avrebbe risparmiato uno dei suoi commenti ed era l'ultima cosa che volevo sentire, lei era sempre così precisa da essere quasi esasperante, anzi toglierei il quasi. Lo era. Mi diedi una rapida truccata, presi il cappotto nero, una sciarpa dello stesso colore e la borsa e scesi giù prendendo le chiavi della macchina. Aprii la porta e mentre mi dirigevo verso la macchina cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia, la serata non poteva andare meglio in effetti, accelerai il passo stando attenta a non far finire il tacco in qualche tombino, ci mancava solo che si rompesse il tacco, così appena entrai in macchina uscii dal parcheggio sotto lo sguardo di sfida di un passante e iniziai a guidare come un pilota di formula uno ma dovetti fare tre giri prima di trovare un posto vicino la casa dei nostri ospiti. Pioveva forte e ovviamente ero senza ombrello così scesi dalla macchina e mi tirai sulla testa la sciarpa, cercando di bagnarmi il meno possibile. Saltando da una pozzanghera all'altra raggiunsi il palazzo dei nostri ospiti e citofonai. Avevo decisamente scelto le scarpe sbagliate. Salii nell'ascensore e pigiai il pulsante con su scritto 6, cercai di darmi una sistemata e appena uscii mi trovai davanti Rachele, la carissima amica dei miei. Era una bella donna, con uno stile e un'eleganza ammirevole, era sempre stata molto dolce con noi quasi come una zia.
<<Cara vieni presto togliti questi vestiti bagnati che ti prendi un malanno. >> mi disse venendomi in contro con fare premuroso. Entrai nell'enorme attico arredato con mobili antichi, con stucchi al soffitto e quadri alle pareti, senza dubbio era una fra le case più belle che avessi visto. Quando riuscii a frenare lo spirito materno di Rachele, che cercava di convincermi in tutti i modi a farmi cambiare, mi sedetti davanti al camino con un calice di vino bianco in mano. I miei con mia sorella non erano ancora arrivati quindi mi rilassai 5 minuti finché non mi piombò a lato la bionda ingiogliellata.
<<Allora tesoro come va? Che mi racconti? Ragazzi, università?>>
Ecco che cercava di sondare il terreno per capire se suo figlio aveva qualche possibilità. Ricordo perfettamente che qualche anno prima, quando avevo intorno ai 16-17 anni, stavo con un ragazzo del mio liceo e un giorno il mio carissimo amico di famiglia, gli andò a riferire che io e lui in fondo ci eravamo sempre amati, e che quello che era il mio ragazzo, doveva togliersi di mezzo. Conclusione: io ero stata lasciata dopo un litigio infinito e lui si era procurato uno schiaffo che penso ricordi ancora.
<<Ma niente Rachele, tutto normale, l'università alla grande e per quanto riguarda ragazzi non posso lamentarmi. >> mentii spudoratamente. Subito dopo, ad interrompere quell'imbrazzante discussione arrivarono i miei genitori e mia sorella seguiti da Paolo, il mio agguerrito pretendente. Dopo i soliti convenevoli e gli inutili complimenti del moro fin troppo sicuro di sé, andammo in cucina dove ci sedemmo e cominciammo a prendere l'aperitivo. Tra una chiacchiera e l'altra notai che le occhiate di Paolo, quella sera, erano sempre più insistenti come mai aveva fatto prima e non riuscivo a capirne il motivo. Iniziammo a cenare e la mia più grande consolazione della giornata fu quel meraviglioso sugo, che Rachele cucinava spesso durante queste serate e, da parte mia, era sempre molto gradito. Il tempo passò velocemente fra un discorso di politica fra mio padre e Giacomo, marito di Rachele e amico da una vita di mio padre, e un altro di cucina fra le signore della casa. Arrivati alla frutta mi alzai per andare a prendere un pò d'aria e mi diressi verso il grande salone, aprii la porta finestra e mi affacciai dal grande terrazzo lasciandomi investire dal vento gelido ma prima di richiudere la porta, presi velocemente il cappotto per evitare qualche congestione. La vista da lì era stupenda. Milano era stupenda. Tutte quelle luci, quei palazzi, quei colori riuscivano a rilassarmi in pochi minuti, a far sparire ogni pensiero. Mi sentii abbracciare da dietro e mi girai di scatto, trovandomi Paolo che mi guardava con un sorriso ambiguo.
<<Come mai non sei dentro?>>
<<Ho pensato che volessi compagnia.>> Quel tono viscido riusciva a infastidirmi anche senza dire niente.
<<No grazie, sto bene da sola. >> risposi cercando di allontanarlo.
<<Allora diciamo che mi fa piacere stare un pò solo con te.>> cominciavo a non sentirmi più molto tranquilla. Nei suoi occhi c'era qualcosa di strano che non mi piaceva proprio.
<<Io non posso dire la stessa cosa, quindi è meglio se tu...>> non mi lasciò finire la frase che, senza che io me ne accorgessi, mi ritrovai le sue labbra sulle mie e la sua lingua che cercava di raggiungere la mia. Mi staccai subito dopo aver realizzato ciò che stava facendo e lo spinsi via.
<<Sai meglio di me che tanto noi ci sposeremo. >> mi disse quasi con tono di sfida.
<<Solo se mi portassero all'altare con le catene. >> risposi con astio.
Con un'espressione che mi fece paura mi si buttò di sopra cercando di infilare le mani sotto la mia camicia. Dopo uno shock iniziale, cercai di allontanarlo senza fargli male, pensavo che si sarebbe fermato, ma quando capì che faceva sul serio, gli diedi una ginocchiata nei genitali e, dopo che si piegò dal dolore, gli sferrai una gomitata sulla schiena e cadde a terra. Ero letteralmente sconvolta. Non riuscivo a credere a quello che era successo. Mi stava mettendo le mani addosso e io, pur di non farlo finire nei guai con i miei e con i suoi, glielo stavo permettendo, proprio io che ero cintura nera di karate.
<<Me la pagherai puttana. >> mi disse con tono minaccioso.
<<Ti aspetto per romperti direttamente la faccia brutto stronzo.>> Detto questo mi girai e la porta finestra si aprì. Mi ritrovai davanti mio padre e Giacomo che guardavano la scena sconvolti. Senza aggiungere una parola li superai e, non rispondendo a mia madre che mi chiedeva cosa fosse successo, presi la borsa e uscì da quella casa. Scesi velocemente le scale e mi ritrovai per strada. Avrei giurato di avere una faccia scioccata, come se avessi visto un fantasma, perché era così che mi sentivo. Girai come una vagabonda per ore, completamente confusa, completamente traumatizzata. Il telefono suonava in continuazione ma non avevo la minima intenzione di parlare con nessuno. Senza rendermene conto mi infilai in una strada che non avevo mai fatto ma non mi preoccupai di questo e continuai a camminare. Sentii degli strani rumori alle mie spalle, mi girai più volte ma non vidi nessuno, magari era solo la mia immaginazione. Mi guardai un pò intorno ma sembrava tutto normale e continuai ad andare avanti. All'improvviso mi sentii tirare all'indietro e qualcuno mi mise qualcosa davanti la bocca e il naso mentre mi teneva le braccia ferme. Cominciai a strattonarlo, a dargli calci e a gridare ma sembrava che, nonostante tutti i miei sforzi, la persona dietro di me non si fosse mossa di un centimetro anzi, la sua presa divenne sempre più ferrea e le mie forze sempre più deboli. Respiravo affannosamente e ad ogni respiro mi sentivo più stanca, più confusa e capì che c'era qualcosa in quel fazzoletto che mi stava facendo perdere i sensi ma, un secondo dopo aver realizzato questo pensiero, non capì più nulla e persi conoscenza.

Angolo autore:
Eccomi tornata con il secondo capitolo. Chiedo scusa per l'attesa ma ho avuto una settimana molto stressante e piena di impegni ma vi prometto che sarò più rapida da questo momento.
Ora stiamo entrando nel vivo della storia e dal prossimo capitolo comincieremo a capire di più quale sarà la sorte di Ambra ma purtroppo tempi bui la aspettano.
Al prossimo capitolo.

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