Il Compositore del Silenzio
Prologo
-La punizione del Fato-
Londra 1935
Una densa coltre di nebbia avvolgeva le strade di Londra offuscando la flebile luce dell’alba.
L’inverno era alle porte, e il suo vento gelido fischiava bruscamente lungo i viali deserti della città, smovendo le foglie secche che come pioggia nera, cadevano dagli alberi ormai quasi del tutto spogli, preannunciando l’arrivo di una stagione incolore che con la sua fredda morsa, avrebbe congelato ogni emozione, ogni sentimento, strappando per sempre dagli occhi di ogni londinese il più piccolo barlume di speranza e vitalità.
Era il 12 novembre 1935, il giorno in cui mi resi conto di essere rimasta sola al mondo.
Fino ad allora non avevo mai avuto l’occasione di vedere la città a quell’ora del mattino, ma tutto sommato non mi ero persa nulla di eccezionale.
Ai miei occhi di bambina, Londra pareva spenta e senza vita.
Il suo silenzio, interrotto dal sibilio del vento invernale, mi inquietava: pensai che la morte quel giorno, oltre a portare con se l’anima di mio fratello aveva deciso di prendere anche quella della città.
A quel pensiero strinsi con forza la mano guantata di Abel: avevo paura.
«Siamo quasi arrivati Emma, abbi un po’ di pazienza»
La sua voce non era mai stata così calma e gentile,era la prima volta che usava un tono del genere con me.
Annuii fidandomi delle sue parole, mentre il mio sguardo vagava nel vuoto.
Abel era stato il migliore amico di mio fratello.
Non ho mai avuto un buon rapporto con lui, forse perché non sopportavo l’idea che William passasse più tempo con il suo amico che con me.
Io non sopportavo lui, e lui non sopportava me.
Era odio reciproco il nostro, perché entrambi consideravamo William una proprietà personale: Abel lo teneva costantemente impegnato con le loro lezioni di piano che sembravano non avere mai fine, William era affascinato dal suo innato talento e spronava l’amico a dare sempre di più insegnandogli i piccoli segreti e aneddoti di un buon pianista, mentre io reclamavo costantemente la sua presenza, cercando di strappare mio fratello dalle grinfie di Abel per averlo tutto per me.
Il fato però aveva ben pensato di punire la nostra morbosità privando entrambi dell’unica cosa che avevamo di più caro al mondo.
Alcune gocce di pioggia bagnarono il mio naso.
Alzai il viso incontrando lo sguardo senza espressione di Abel, che in quel momento, sembrava essere improvvisamente invecchiato di venti anni; diedi la colpa al cappello che nascondeva la sua folta chioma spettinata di riccioli biondi e a quell’accenno di barba che molto probabilmente aveva dimenticato di tagliare quella mattina.
Chissà da quando mi stava osservando…
Starnutii e strofinai il dorso dell’indice della mano libera sotto il naso arrossato dal raffreddore «Dove mi stai portando?» chiesi.
Era da circa un’ora che camminavamo per i viali nascosti delle periferia di Londra, i piedi cominciavano a farmi male e il freddo mi irrigidiva i muscoli.
Non rispose. I suoi occhi verdi mi scrutarono con freddezza, tradendo il tono di voce che aveva cercato di utilizzare prima per tranquillizzarmi.
Nonostante il colore particolare, pensai che gli occhi nocciola di William non avevano nulla da invidiare a quelli smeraldini di Abel.
Il ragazzo rallentò fino a fermarsi dinanzi all’ingresso di una lunga cancellata nera che contornava un giardino costellato da scheletri di alberi spogli sul quale si ergeva un enorme edificio consumato dagli anni.
La struttura sembrava inabitata, ma bastava spostare lo sguardo sulle finestre sbarrate per capire che all’interno, dietro quelle spranghe di ferro del medesimo colore del cancello, vivessero anime maledette condannate ad una vita di sofferenze.
Rabbrividii indietreggiando di qualche passo appena vidi una figura nera attraversare il viale che univa l’entrata che dava sulla strada a quella che dava accesso all’edificio.
Chiusi gli occhi stringendoli così tanto da farmi male e quando li riaprii il volto dolce di una signora anziana mi osservava ad un palmo dal mio naso.
La triste melodia di un pianoforte inesistente accompagnò quell’instante, era la stessa che mio fratello suonò la sera prima di morire.
Sussultai nascondendomi dietro la schiena di Abel facendo capolino con la testa per poterla spiare da una posizione per me più protetta.
La donna, che dall’abito e dal crocifisso che portava al collo si rivelò essere una suora, rise intenerita dal mio comportamento.
«Vieni Emma, ti stavamo aspettando.» disse dolcemente allungando una mano verso me «Ci sono un sacco di bambini che non vedono l’ora di conoscerti e accoglierti nella tua nuova casa.» continuò riavvicinandosi a me.
Presi la sua mano abbandonando quella di Abel, lasciandomi ingannare dalle parole convincenti della suora.
«Benvenuta Emma» disse incresparono le labbra in un sorriso tanto dolce quanto diabolico, sussurrando quelle parole come una dolce maledizione.
Insieme ci incamminammo verso il tetro edificio; la sua mano tremava nella mia.
Non salutai Abel, né mi voltai per dirgli addio con uno sguardo.
Il mio risentimento nei suoi confronti cresceva passo dopo passo, più mi avvicinavo alla mia nuova casa più sentivo di odiarlo e più quella mesta sinfonia si faceva più intensa e acuta mormorando la sentenza della nostra condanna.
William era morto ed entrambi eravamo inconsapevolmente colpevoli.
Colpevoli e allo stesso tempo vittime di una maledizione che avrebbe cambiato le sorti del nostro destino e di chi ne avesse fatto parte.
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Il Compositore del Silenzio
Mystery / ThrillerUn giovane pianista, la sua passione per la musica e la una carriera stroncata sul nascere. La notte del 12 novembre 1935, il cadavere di William Rowington venne trovato riverso in una pozza scarlatta, dalla sorella Emma di soli sette anni. Accanto...