Prologo

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Atterrò rotolando sulle ruvide piastrelle della via principale, sporca qua e là di sabbia e fango, poi con uno scatto agile si rialzò da terra. Lanciò uno sguardo fulmineo per capire se qualcuno avesse notato la sua esile forma atterrare sulla strada dal sottoportico e ricominciò a correre tra la gente, incurante del male che provava al braccio; la musica del mercato martellava nelle sue piccole orecchie a punta: le urla dei marcanti che cercavano di attirare l'attenzione dei passanti, il vociare dei clienti che tentavano di contrattare il prezzo della merce e i bisbigli delle chiacchiere maliziose degli abitanti. In lontananza un cantore intonava una delle mitiche storie su giovani eroi tornati vincenti da valorose missioni nella terra del Tanatos oltre il grande fiume di Cos, ma solo il ritmo veloce e allegro raggiungeva la ragazza e faceva da colonna sonora alla sua corsa sfrenata. I suoi piedi si muovevano leggeri e scattanti e sembravano aderire al terreno come se ormai conoscessero a memoria tutte le strade della città, ma in realtà era proprio lei ad indicare quale scorciatoia percorrere per seminare il suo inseguitore. Gli occhi di un azzurro così chiaro da sembrare grigio da lontano, scrutavano le bancherelle del mercato in cerca di un timido aiuto, ma evidentemente il padre di Ioli non aveva ancora aperto il suo negozio di cianfrusaglie dove di solito lei riusciva a nascondersi dai venditori rabbiosi che si lamentavano della piccola e giovane ladruncola che se la spassava a "prendendo in prestito" alcune mercanzie. Andava ormai così veloce che sentiva il vento accarezzarle i capelli viola e soffiarle un po' di fresco sul collo, strappandola per un attimo dal caldo torrido di Sakana. "Fermati! Al ladro, al ladro!" Un ragazzo alto circa un metro e settanta con i capelli castano scuro e gli occhi verdi smeraldo spintonava la gente che si girava innervosita e gli lanciava insulti, mentre lui cercava in tutti i modi di raggiungere la bambina. Quel giorno, la piccola Soren della casata degli Eowil, una delle più importanti e ricche di tutta la contea della terra, aveva deciso di rubare nel suo negozio preferito: la bottega del vecchio Vinkad. Di solito era un gioco da ragazzi: il vecchietto piegato dagli anni non cercava nemmeno di correrle dietro, urlava parole che la facevano ridere a crepapelle e poi tornava borbottando dentro il suo negozio, lamentandosi della scarsa educazione della bambina. Quella mattina però si era subito accorta che qualcosa non andava: al suono della campanella, che tintinnava sempre quando la porta si apriva, arrivò un ragazzo giovane che Soren conosceva a malapena. Si chiamava Godel ed era il nipote di Vinkad, in città si diceva che fosse un mago è che studiasse magia già da nove anni. Soren cominciò a camminare con nonchalance osservando la merce con finta attenzione e poi con scatto fulmineo prese la prima cosa che le era capitata in mano, una penna di dragone piumato, e aveva cominciato a correre dritta verso il centro della città, dove avrebbe trovato il mercato e per il suo inseguitore sarebbe stato impossibile raggiungerla. Intanto mentre correva immaginava come poteva essere una vita come quella di Godel: stava per diventare membro della congregazione e magari sarebbe diventato anche consigliere della contea della terra. Avrebbe potuto viaggiare e visitare tutte le contee, salvare popolazioni colpite da pestilenze con la magia curativa e prendere decisioni molto importanti rappresentando la volontà del popolo. A Soren però, una vita così non attraeva per niente. Vedeva il suo futuro confuso, i suoi genitori la imploravano di cominciare a prendere lezioni di cucina e altri lavori da femminuccia, mentre lei voleva solo continuare a giocare per le strade di Sakana con Elias e gli altri, per sempre. Ogni gioco era immerso nella fantasia più pura: solo loro potevano vedere grandi dragoni solcare il cielo azzurro e abbattersi con violenza contro i bambini che tentavano di salvare una bellissima principessa, ruolo che ogni volta toccava a Soren. Poco prima della fine della storia però la ragazzina non riusciva a trattenersi e mentre i giovani eroi erano intenti a combattere contro un drago costruito con balle di fieno, lei faceva finta di strapparsi il lungo vestito azzurro, prendeva una delle spade di legno e, schivando le fiammate imagginarie dell'enorme bestia, saltava sopra una delle sue ali e gli mozzava la testa di netto. Si girava soddisfatta verso i suoi amichetti e saltava giù dal nemico sconfitto mentre gli altri la guardavano attoniti e un pò contrariati. "Le principesse non combattono!" diceva sempre Abestav, un ragazzino mutaforma proveniente dalla contea dell'Ignis. Soren lo guardava ridendo sotto i baffi e gli rispondeva sempre allo stesso modo:" Se fossi stato più veloce a uccidere quel drago, non avrei perso la pazienza." Al ragazzino non rimaneva che sbuffare non sapendo come controbattere a quelle parole. In realtà Soren non era sola contro un banda di bambini, invidiosi del suo talento nel combattiemento, c'era anche chi tifava per lei come il giovane Ioli, il più piccolo della comitiva, sia per età che per statura, visto che apparteneva al popolo degli hobbit; o come Elias che tirava un pacca sul collo a Abestav e gli diceva scherzando che la volta successiva avrebbero messo lui a fare la principessa, vestito con un abito rosa e adornato di fiori.

Soren rallentò il passo confusa e si guardò attorno. Si era persa nei suoi ricordi, aveva viaggiato con la mente tra i suoi pensieri, ma dopo tutto il suo corpo era ancora a saltellare per la città e l'aveva portata dove il suo cervello non aveva consigli su come tornare a casa. Sicuramente era riuscita a seminare il giovane mago ma più il suo sguardo scrutava negozi, bancherelle e ristoranti, più la consapevolezza di essersi persa veniva a galla spintonando a lato tutti gli altri pensieri che vorticavano in quella piccola testolila. Ad un tratto una grande mano le si appoggiò sulla spalla e presa dal panico, la bambina si girò di scatto con la mano già sull'elsa della piccola spada di legno.

- Ti sei persa?

Un uomo molto alto la guardava sospettoso e con una leggera nota di disprezzo nello sguardo. Era vestito con un lungo cappotto verde che arrivava quasi al terreno e indossava, come cerchiello per i lunghi capelli, degli occhiali molto strani con lenti piccole e ingranaggi per decorazione. Dentro una tasca si scorgeva un orologio svizzero che ticchettava, scandendo il tempo del lungo attimo che passò prima che la bambina riuscisse a rispondere.

- No. Non ho bisogno di aiuto.

-Va bene.

L'uomo cercò di allontanarsi ma una donna dai capelli rosso fuoco e con piccole corna da cerbiatto, (appartenete alla razza dei Coran) lo ritrascinò davanti alla bambina.

- Scusalo cara, è un po' burbero. Sto cercando di fargli fare pratica... prima o poi vorrò un erede anche io, caspita!

La donna si accovacciò all' altezza della bambina e le sue due grosse trecce caddero, dondolando, all'altezza del petto. Anche lei portava un paio di quegli occhiali strani, però del cappotto non c'era nessuna traccia e a coprirla c'era solo un corpetto rosso e nero che le evidenziava il seno candido.

- Dimmi, qual' è il tuo nome?

- Mi chiamo Soren, della casata degli Eowil.

-Perfetto! So come possiamo arrivare a casa tua, ti va se ti accompagniamo?

La bambina alzò un sopracciglio, ma quando la donna si rialzò e prese per un braccio il marito, non obbiettò e li segui in silenzio. Per tutto il viaggio l'uomo misterioso non accennò un sorriso mentre la moglie lo strattonava indicando bancherelle e negozi. Soren nemmeno se ne accorse, ma la Coran la guardava con la coda dell'occhio, più volte che poteva, per assicurarsi che arrivasse a casa sana e salva.

SOREN: le originiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora