Il treno si ferma: Roma Termini. Il cuore batte velocissimo. Usciamo dal treno, anche se la valigia è pesante mi ostino a portarla io giù per gli scalini, per poi lasciarla cadere sul marciapiede del binario. Un soffio di vento fresco mi scompiglia i capelli corti che mi scoprono il collo, facendomi rabbrividire; è maggio, ma l'aria è perfetta. Marta mi indica il bar della stazione.
"Pausa?" Propone.
"Non ho tanta fame, adesso, magari dopo"
Alza gli occhi al cielo, e si incammina verso il bar.
"Io vado a prendere una brioche, Claudia, vieni anche tu?"
Mia madre, naturalmente, si unisce a lei, così sono costretta ad aspettarle sul binario. Avrei solo voglia di andare a casa, farmi una doccia e dormire, anche se sono le 11 del mattino; sono stremata. Il vento continua a giocare con i miei capelli e fa tintinnare gli orecchini d'oro a cerchio. Un brivido attraversa le mie braccia scoperte, sottili e già abbronzate, anche se è primavera.
Mi guardo intorno, e osservo le persone che mi passano vicino; un uomo di una certa età, vestito bene, probabilmente un avvocato o qualcosa del genere, cammina lento e dritto portando una valigetta in mano. I nostri sguardi non si incrociano. Una donna con uno scialle colorato tiene un bambino in braccio; la seguono altri due un po' più grandi, un maschio e una femmina. Una famiglia composta da padre, madre e due figli, tutti biondi, tutti con gli occhi azzurri. Probabilmente sono tedeschi. Un trio di una ragazza e due ragazzi, che ridono appoggiati a una ringhiera. Non posso evitare di fermarmi a osservarli. Lei ha i capelli biondi e mossi, tenuti da una bandana azzurra; il suo vestito lungo e nero si muove leggero al vento. Uno dei due ragazzi è anche lui biondo, con il viso un po' allungato e una camicia rossa; l'altro ragazzo, invece, ha i capelli lunghi e castani, zigomi pronunciati e un anello al naso. Porta una camicia bianca sbottonata, che fa vedere parte del petto; si accende una sigaretta. Nel gesto, noto che ha le mani coperte di anelli. Ho sempre amato osservare i dettagli delle persone, e non riesco a smettere di guardarli. La ragazza parla, il ragazzo biondo ride ancora. Chissà cosa c'è fra loro. Chi stanno aspettando.
Il ragazzo coi capelli lunghi alza gli occhi e mi vede.
Distolgo velocemente lo sguardo, e arrossisco. Odio arrossire. Mi succede di continuo. Provo a guardare di lato, ma sento i suoi occhi ancora su di me, e non posso evitare di girarmi di nuovo. Il ragazzo mi guarda ancora per forse tre secondi; l'arrivo di un treno gli fa distogliere lo sguardo. Fa girare anche gli altri due, che appena lo vedono si affrettano verso la linea gialla. Non hanno valigie; probabilmente stanno solo aspettando qualcuno. Vengono inghiottiti dalla folla che si accalca sul marciapiede; nello stesso momento, vedo mia madre e Marta uscire dal bar, entrambe con una brioche in mano avvolta in un tovagliolo.
"Scusa, c'era tantissima fila!" Mi dice mia madre.
"Fa niente, ora però possiamo andare? Non vedo l'ora di arrivare a casa"
Usciamo dalla stazione e troviamo la macchina dei miei zii ferma ad aspettarci. Il viaggio di mezz'ora scorre tranquillo, fra domande sulla scuola, su quello che ho fatto in questi ultimi mesi; fanno domande anche a Marta, non conoscendola. Il cielo è tranquillo, i cipressi in lontananza sono scossi dal vento. Se chiudo gli occhi riesco a sentirne il profumo. Ormai siamo quasi arrivati; guardo fuori, per lasciarmi inghiottire più che posso dal paesaggio.
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Take me out
ChickLitVittoria, diciassette anni. Damiano, diciotto. E Roma. Roma ovunque.