INTERVISTA AD AURORA ZOGGIA

Intervista

X: Ciao Aurora. Tu sei una delle mie autrici preferite. Ti ringrazio molto per aver accettato l'intervista.
A: di niente❣️
X: Il mio libro preferito è sicuramente Una camera per due. Il tuo qual è?
A: Non saprei quale scegliere. Sono affezionata a tutti i libri che ho scritto. Forse quello nel quale ci ho messo più impegno e più passione è Una casa per due.
X:  Che cos'ha di diverso dagli altri?
A: Essendo il libro che ho scritto più recentemente forse è il libro che ho più curato. Volevo che la storia prendesse, ma non volevo più che parlasse di due adolescenti. Volevo che parlasse della vita dopo il college e a quanto complicata possa essere. Una vita nel quale se sei forte resisti mentre se sei un debole esisti. Daniel rimpiange ciò che ha fatto, ma Violet non è disposta a perdonarlo, o almeno non subito.
X: È per questo che hai introdotto il figlio?
A: In parte sì. Era una cosa che ho fatto anche per me stessa perché io mi sono sempre molto rispecchiata nelle decisioni di Violet. Sono convinta che se fossi stata una Violet senza bimbo probabilmente lo avrei lasciato andare, ma sapevo che se invece fosse stato il contrario, quel bimbo non poteva crescere senza un padre.
X: Per quanto riguarda Hi, prof. Il sequel ci sarà o non ci sarà?
A: Non è assolutamente per tenere sulle spine i lettori, ma è un po' un vorrei ma non posso perché mi piacerebbe molto scrivere un sequel ma credimi che non ho idea di come potrei farlo. Scrivere un libro è molto complesso, scrivere un sequel lo è ancora di più. Bisogna che tutti i pezzi combacino alla perfezione.
X: Qual è invece il suo personaggio preferito tra tutti?
A: forse Rose, dell'ultima storia che sto scrivendo in questo periodo.
X: Come mai?
A: Credo che mi rispecchi molto poiché è spavalda e sicura come me.
X: E cosa ti ha spinto a scrivere Another Day?
A: La noia. Le vacanze di Natale mi stavano riempiendo di noia così ho iniziato a colmare quegli attimi con la scrittura.
X: Grazie mille per l'intervista. Davvero grata.
A: Figurati, non c'è di che.