Il torcoliere

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Era un venerdì gelido e buio, quel 3 gennaio 1798, a Vienna, e sebbene il sole fosse sorto da almeno un'ora non si riusciva a intuire nemmeno dove fosse di preciso, tanto il cielo era coperto.

La neve turbinava in violenti mulinelli e si accumulava in uno spesso strato sul selciato di Kärnterstraẞe.

Felix Moser aveva appena attraversato la piazza principale e imboccò la via lasciandosi il duomo alle spalle.

Correva; in parte per scaricare l'euforia che aveva nel cuore, e in parte perché era in un ritardo mostruoso. L'immagine della sua bionda Nadine, stanca ma sorridente, sdraiata sotto le coperte con quel fagottino tra le braccia gli rimbalzava nella testa e gli accendeva il viso di un calore innaturale.

La bottega tipografica di Mastro Schwarz era operativa da quasi due ore, un allegro fuoco scoppiettava nel camino dello studiolo, dove l'uomo sedeva dietro lo scrittoio intento a curare la corrispondenza con i committenti.

L'anziano borghese aveva ristrutturato quel fondo in maniera moderna, assicurandosi di creare un ambiente confortevole con due funzioni principali: accogliere i clienti che accedevano dalla strada, e invitare, in modo gradevole, gli artigiani ad entrare nella sala tipografica vera e propria, subito oltre lo studiolo. Per il vecchio Philipp era importante che i suoi uomini fossero accolti allo stesso modo dei clienti, perché entrambi erano vitali per la bottega.

Felix entrò nel locale e chiuse rapidamente la porta dietro di sé, impedendo così al vento di spazzare via il tepore della stanza.

"Alla buon'ora" esordì l'anziano intento a tormentarsi i grossi mustacchi bianchi, assorto nelle sue carte.

"Buongiorno Mastro Schwarz, chiedo scusa per il ritardo- balbettò Felix togliendosi il berretto- è che Nadine ha partorito stanotte, ed era ancora molto debole" si scusò cercando le parole sulle mattonelle del pavimento.

"Felicitazioni, Felix Moser – esclamò l'uomo alzando finalmente lo sguardo dalle carte sul tavolo e porgendo la mano verso Felix – il bambino sta bene?"

"È una bambina, Mastro Schwarz, si chiama Amelie. Sta bene, grazie", Felix incoraggiato dal sorriso dell'uomo rispose all'augurio con una stretta energica. Nei suoi occhi marroni guizzò un moto di orgoglio al pronunciare il nome della figlia.

"Il buon Dio poteva essere più buono inviandoti un bel maschietto, ma ci saranno sicuramente altre occasioni. Adesso raggiungi gli altri in sala, non ti pago per fare salotto. E ricordati che nella mia bottega non sono ammessi ritardi. Per alcuna ragione", sentenziò categorico l'uomo.

Felix abbassò di nuovo lo sguardo, si congedò dal borghese e si precipitò nella tipografia.

"Felix che diavolo di fine avevi fatto?"

"Pensavamo che la tormenta ti avesse portato via"

I saluti piccati dei colleghi lo accolsero appena varcò l'uscio.

"È nata Amelie!" urlò con impeto di felicità.

"Povero te, una femmina! Avrai tanti pensieri in più d'ora in poi", Benjamin, l'inchiostratore, scosse la testa deluso e sospirò mentre tornava al suo laboratorio.

"Forza, forza, forza! Raggiungi la tua postazione al torchio che senza di te non abbiamo potuto fare molto e abbiamo diversi arretrati da sistemare" lo spronò Clemens, il compositore, borbottando dietro la sua barba rossa.

Dalla porticina laterale strisciò fuori Adrian, un uomo sulla quarantina, emaciato e curvo. Una vita passata al tavolo da lavoro a fare incisioni, un talento unico, sviluppato in modo esclusivo e morboso.

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