4 O'CLOCK: KIM NAMJOON'S PHOBIA

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Paura, chi non la prova? Paura di ogni tipo, di ogni origine, di ogni colore e sfumatura, con una propria caratteristica e forma, manifestazione e importanza

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Paura, chi non la prova? Paura di ogni tipo, di ogni origine, di ogni colore e sfumatura, con una propria caratteristica e forma, manifestazione e importanza. Paura comune, paura rara. Paura come può essere la paura del buio per un bambino, come quella per i ragni, come quella di qualche male superiore o anche di dormire. Un paura reale, una immaginaria. Oppure, persino assurda. Kim NamJoon aveva ventidue anni ma non vedeva l'ora di compierne ventitré, liberandosi da quel numero composto da due numeri uguali, il due, divisibile in parti uguali, in due unità identiche, l'uno. Kim NamJoon aveva ventidue anni e un appartamento in pieno centro, al numero civico quarantasette, primo e divisibile solo per uno e per sé stesso. Kim NamJoon aveva ventidue anni e un appartamento al numero civico quarantasette e composto da solo tre stanze, la cucina, il bagno e la camera da letto. Kim NamJoon aveva ventidue anni, un appartamento al numero civico quarantasette e tre stanze; niente di più, niente di meno. Aveva lasciato casa sua dove, insieme alla sorella e ai genitori, viveva da quando era nato il dodici settembre millenovecentonovantaquattro; perché se ne era andato, però? Forse perché il quattro gli faceva paura, due maschi e due femmine, seduti uno di fronte all'altro a quel tavolo ligneo che immaginava come una linea di divisione, uno specchio. Kim NamJoon studiava qualcosa di tanto divertente come la chimica che, però, gli faceva paura: bilanciare le formule, disporre gli atomi intorno al simbolo di Lewis, definire la forma delle molecole o, peggio ancora, individuare se questa era polare o meno. Kim NamJoon aveva paura delle cose uguali, disposte in uno schema ben preciso e perfettamente divisibile in parti identiche; ciò era iniziato a scuola, qualche anno prima, quando studiò i pitagorici a filosofia e di come considerassero pericolosi e impuri i numeri pari. Da quella lezione, NamJoon cominciò a vedere l'ordine delle tazzine da caffè nella dispensa come il male, le cene in famiglia l'inferno e i numeri pari i segni del demonio; stava lentamente impazzendo, o almeno è questo che pensavano i suoi amici e parenti. Ma no, NamJoon c'era tutto di testa e ne era più che sicuro e, anzi, aveva anche provato a dimostrare la sua 'teoria' al suo migliore amico Min YoonGi. "Hyung, sul serio! Le cose pari, uguali, così fottutamente simmetriche sono pericolose! Immagina due schieramenti con lo stesso numero di soldati, non ti si gela il sangue? Oppure tante tazze disposte l'una davanti all'altra con il manico rivolto dallo stesso lato. O peggio ancora, pile di libri o di qualsiasi altro oggetto di identica quantità. O i numeri pari che sono divisibile in due parti uguali e" ma Min YoonGi lo interruppe; "cazzo NamJoon, quando ti ho conosciuto non eri così complessato; e fanculo, guarda che dentro di te ci sono tante cose simmetriche, e allora? To', hai due polmoni, due occhi, due orecchi, due braccia e due gambe e due paia di palle; eppure non hai mai fatto tutte queste storie." Fu così che NamJoon non si guardò neanche più allo specchio o, almeno, non completamente. Si poneva sul bordo e si guarda metà alla volta, per non avere paura pure del suo stesso riflesso. Kim NamJoon odiava l'ordine, l'armonia, le cose organizzate e precise. Casa sua sembrava più un campo di battaglia, con i vestiti buttati ovunque, i cuscini - rigorosamente dispari - mai al loro posto sul materasso, i piatti nel lavandino e i suoi libri a tappezzare il pavimento. Era interessante come, se si accorgeva che questi avevano un numero pari di pagine, incollasse la prima o l'ultima per poter vedere la numerazione dispari; oppure, ancora meglio, quando faceva scorciare - seppure di poco - le maniche delle maglie e i pantaloni, per non farli essere della stessa lunghezza. Kim NamJoon a mezzanotte in punto si avvolgeva tra le coperte e stringeva forte gli occhi per quel minuto interminabile che appariva sulla sua sveglia digitale come le '00:00' mentre, durante il giorno, si rifugiava da qualche parte a tremare come una foglia quando erano orari ben divisibili. Per non parlare di quando erano, ad esempio, le 4:00 di notte e ragionava su come il quattro fosse divisibile in due volte due e sulla sua sveglia era seguito da due punti che, a loro volta, erano seguiti da due zeri. Allora, ogni notte, alle quattro in punto, la sua fobia andava a trovarlo e lui, disteso sul suo letto, con gli occhi chiusi in cerca di dormire, attendeva la sua voce profonda e tranquilla, ridente e puntuale; "sei sveglio, NamJoon?" cominciava la conversazione ogni volta, mentre il ragazzo tremava spaventato. Odiava vederlo dalla prima volta in cui ne aveva avuto occasione: il suo volto, soprattutto, era ciò che lo spaventava di più, tanto da farlo - detto senza giri di parole - cagare in mano. Ma, cosa significa che la sua paura lo andava a trovare ogni notte? vi chiederete. La mia risposta è molto semplice: esattamente ciò che ho detto. Dopo un po' di tempo, NamJoon aveva preso nuovamente da parte YoonGi e gli aveva urlato, scuotendolo tre volte, che "un cazzo di ragazzo fantasma viene a trovarmi ogni notte! Dovresti vederlo! Ha il viso dannatamente simmetrico e perfettamente divisibile in due parti! Mi terrorizza! Sembra che il suo volto sia..non so dirtelo! il solo pensiero mi fa tremare le gambe" e, a quel punto, Min YoonGi era più che convinto di avere un amico psicopatico. "Ascoltami NamJoon, hai per caso sbattuto la testa? Forse studi troppo?"
"Non sto impazzendo, cazzo, esiste davvero! Te lo dimostrerò! anzi, stasera vieni a dormire da me." aveva detto in conclusione, prima di aggiungere altro; "e porta il tuo cane con te, così saremo tre esseri viventi. Ah, e dormi sul divano."
Ma, quella sera, la fobia si presentò davanti a soltanto i suoi spaventati, mentre indicava a YoonGi una massa di ossigeno. "Tu sei pazzo" sì era congedato il mattino seguente YoonGi, consigliandogli di farsi vedere "quella zucca vuota".
Kim NamJoon, però, riceveva questa visita ogni notte, puntuale e, anche se dormiva, la riceveva in sogno.
La prima volta, il trenta dicembre di qualche anno precedente, quella specie di spaventoso fantasma si era presentato nella sua vecchia camera a casa dei genitori; da lì, dopo essersi presentato, aveva iniziato a far visita a NamJoon ogni notte e non passavano mai ventiquattro ore senza che lui non lo vedesse. "Vattene, per favore.." mugolava nel suo letto, con il cuscino presso sul viso in lacrime, singhiozzando parole di supplica. "Oh andiamo, NamJoon, guarda che non mordo mica. Ti faccio solo mh..impazzire?" diceva, ridendo in modo isterico per dieci secondi esatti e, successivamente, si parava davanti ai suoi occhi chiusi e iniziava a contare la sequenza dei numeri pari, a indicargli tutte le cose che tali erano intorno a lui e a sparire, venti minuti dopo, congedandosi con "a domani notte, NamJoon".
La situazione, quindi, della povera vittima che ormai era sottomessa alla sua non più paura ma fobia che era NamJoon, stava lentamente rovinando la sua vita, salute e lucidità mentale. Così, in un caldo pomeriggio di estate, YoonGi lo aveva portato da qualcuno che gli era stato consigliato dal fidanzato HoSeok, fobico dei serpenti che però non aveva ancora superato la sua paura. "Ti aiuterà, mi auguro" gli aveva sussurrato davanti alla porta del medico.
"Come ti chiami?"
"Kim NamJoon"
"E perché sei qui?" aveva iniziato il dottore, sistemandosi gli occhiali sul naso aquilino. NamJoon deglutì rumorosamente, tutto in quell'ambulatorio era perfettamente ordinato e simmetrico e, mentre il dottore volgeva il suo sguardo verso di lui, egli non poteva fare altro che torturarsi le mani sudaticce; "ho paura della simmetria" sussurrò, mentre quasi cominciava a piangere, "e la mia fobia viene a trovarmi ogni notte"
"Che aspetto ha, ragazzo?"
"..di un giovane dai lineamenti perfetti" disse NamJoon, piangendo definitivamente. Il dottore, molto probabilmente, lo prese per pazzo e lui, di pazzi, se ne intendeva. Non che quella fobia fosse da pazzi, no, ma vedere persino un ragazzo come manifestazione della sua paura gli sembrava alquanto sospetto. "Assumi sostanze?" e fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Non solo mi prendono per pazzo, ma pure per drogato!" disse mentre camminava velocemente verso il parcheggio, seguito da YoonGi che lo seguiva confuso.
In sostanza, non aveva concluso niente.
Cercò su internet, ma nessuno dei risultati rispondeva alle sue domande; consultò libri, ma nessuno di questi riportava esempi come il suo caso. Arrivò a credersi pazzo, davvero, e nel mentre ogni notte il ragazzo dai capelli castani gli faceva sempre visita, aggiungendo, a quel punto, prima del suo solito saluto, "non ti libererai di me, mai".
Ma poi, un giorno, per sbaglio probabilmente, sentì dire o ricordò che 'la miglior difesa è l'attacco'. Decise allora, era il ventidue luglio, di affrontare il giovane nemico; alle quattro in punto, NamJoon se ne stava seduto sul suo letto, e l'altro fu piacevolmente sorpreso di vederlo sveglio apposta per lui. "Oh, mi aspettavi?" sorrise, camminando per la stanza, "che carino, mi fa molto piacere, sai?"
"Vattene, TaeHyung" ringhiò NamJoon, guardandolo negli occhi e pentendosene subito dopo. "Andarmene? Oh no no, ma cosa dici, non siamo amici noi?"
"Vaffanculo, vattene!"
"Come siamo scortesi oggi, cos'è, adesso tutto ad un tratto vuoi che me ne vada?"
"Ho sempre voluto che tu te ne andassi, stronzo"
"Oh NamJoon, davvero ti conviene offendermi?" disse con tono triste, mettendo il broncio, "non farmi essere cattivo, NamJoonie"
"Vattene ho detto" replicò NamJoon, alzandosi in piedi e puntando con l'indice destro la porta "adesso".
"Ma come? Ti sei dimenticato di come ci siamo divertiti negli ultimi anni?"
"E tu quello lo chiami divertire?"
Una risata uscì dalle labbra intangibili di TaeHyung, il quale annuì convinto, "è bello vedere come piangi disperato, sai? vedere come tremi ad ogni mio 'buh!' rappresentato da cose pari e simmetriche"
"Non lo è affatto"
TaeHyung sbuffò, si mise a riordinare camera di NamJoon come faceva sempre e continuò la sua difesa "ma come? Non ti piace svegliarti al mattino circondato dall'ordine? Alle persone normali piace"
"Non sono normale io, per il semplice fatto che vedo te. Ora vattene, cazzo!" urlò, e TaeHyung indietreggiò falsamente spaventato, "non vuoi più vedermi?" domandò poi con voce triste e dispiaciuta a testa bassa. "Assolutamente no" disse infine l'altro, cercando di guardare il volto della sua fobia: perfettamente simmetrico e perfetto, dai lineamenti stupendi e dolci, con i capelli precisamente divisi a metà e gli occhi allineati verso di lui. Oh sì, la sua fobia era davvero un bel ragazzo, non c'erano dubbi, ma lui ne aveva profondamente paura. E mentre il tempo della visita scadeva, il silenzio pesante regnava tra i due ma, prima di andarsene, TaeHyung disse, a differenza del solito, "addio, NamJoon".

Passarono i giorni, le settimane, qualche mese, e NamJoon non aveva più visto TaeHyung. Certo, la sua fobia per la simmetria era sempre al suo fianco, lo accompagnava a braccetto ovunque andasse; aveva iniziato una cura consigliata dal dottore che stavolta gli aveva presentato JiMin, e tutto sommato aveva smesso di tremare come un bambino davanti all'uomo nero. Dormiva sogni un po' più tranquilli e sembrava che la sua vita avesse preso una marcia diversa, più leggera, in quella grande salita che è la vita che però, ahimè, ripresenta delle discese. Una notte, mentre dormiva rigirandosi affannosamente nel letto, udì una voce familiare sussurrare al suo orecchio "ehi? NamJoon? Sei sveglio? Cos'è, non hai più paura?" e ciò fece svegliare il nominato, che aprì gli occhi di scatto. "Sono tornato, ti sono mancato? Da ora in poi NamJoon e TaeHyungie saranno sempre insieme, in questa casa disordinata, al numero civico quarantasette, solo noi due. Non sei felice?"

In fondo, è tutto nella propria testa, no? Ogni male è tutto lì dentro, nascosto tra le putride membra, in attesa di manifestarsi al momento giusto. Kim NamJoon impazzì. Kim TaeHyung divenne felicemente il suo coinquilino; o almeno, si sentiva ridere il primo nominando il nome del secondo, in quelle tre stanze in completo disorsine al numero civico quarantasette.

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