Sentì il cuore fermarsi, il buio la circondava come un velo opprimente. Cercava un qualcosa a cui aggrapparsi, un imperfezione in quella oscurità, un’immagine di un ricordo, un movimento del suo corpo, il suolo sotto i suoi piedi.
Niente.
Il suo corpo non si muoveva, il suo respiro non si sentiva, nemmeno il movimento dello sterno con immissione ed emissione dell’aria. Era tutto troppo calmo, fermo. Non si capacitava di quella immobilità innaturale. Quel niente che le si stringeva intorno al corpo. Il niente non doveva essere opprimente, il niente non pesava, il niente non era. Eppure si trovava in un bozzolo oscuro e vivido, che la avvolgeva come un pesante sudario.
La sua mente non rispondeva, era muta a qualsiasi cosa tranne il senso di completo smarrimento, uno smarrimento che le impediva anche di spillare gocce di sudore.
Il tempo sembrava passare troppo velocemente o semplicemente non si muoveva, come tutto intorno a lei.
Poi un impulso. Forte. Caldo.
Sentì che si irradiava in tutte le direzioni o forse il contrario, tutte le direzioni mandavano verso di lei onde che, come dei sassi lanciati in uno specchio d’acqua limpida e calma creavano onde che si accavallavano tra di loro fino ad estinguersi lentamente.
Un altro impulso più forte del primo, questa volta lo vide. L’oscurità si increspò come seta nera portata via da un vento leggero.
Si aggrappò a quella sensazione, sperando c’è ne fossero altre, desiderandole ardentemente per portarla via da quella immobilità.
Un terzo impulso e questa volta una crepa si creò in quell’oscurità, un fascio di luce lattea si irradiò verso di lei. Sentì calore sulla punta delle dita della mano destra. Riuscì a muovere quella piccola parte di corpo bagnata dalla luce. Se avesse potuto avrebbe pianto lacrime di gioia.
Altri impulsi si irradiarono in tutte le direzioni creando altre crepe da cui piccole lame di luce si gettarono verso il suo corpo immobile, facendole riacquistare i sensi sul ginocchio sinistro, su un fianco, una piccola porzione di pelle sul collo, sulla schiena, sul piede destro e l’orecchio sinistro.
Un rumore forte e possente stava andando a scemare, un rombo di tuono alla fine del suo fragore. La luce le aveva fatto riacquistare anche l’udito.
Gli impulsi si susseguirono sempre più frequenti e rumorosi e il calore sul suo corpo andava allargandosi come le crepe lucenti in quella oscurità, non più oscura e opprimente come prima. La luce le stava donando un corpo, sentiva il suo respiro, il suo cuore battere, le dita muoversi, le articolazioni piegarsi, le lacrime bagnarle le guance e finalmente mosse il collo.
Si guardò le mani, i piedi, le gambe il seno, la pancia e i capelli lunghissimi sfiorarle la pelle ad ogni movimento.
La luce ora era la padrona assoluta di tutto, pochi frammenti di oscurità rimanevano a sporcare quella purezza lucente, il suo corpo era quasi libero. La sensazione del calore era potente sulla pelle, le dava piccolissime scosse che andavano risvegliando ogni millimetro del suo corpo. Si sfiorava con la punta delle dita, sentiva la pelle reagire in modo sublime al suo tocco leggero, era inebriata da sensazioni sempre diverse.
Finalmente l’ultimo pezzo di oscurità si frantumò, la sua bocca era libera. La aprì come se avesse trattenuto il respiro per troppo tempo sotto il pelo dell’acqua e urlò. Un urlo potente, quasi stridulo. Sentì la gola bruciare, le orecchie fischiare per il forte rumore, i polmoni comprimersi nello sforzo. Un dolore meraviglioso che riempiva quel mondo di luce e calore di nuova vita.
