Prologo

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Il freddo mi colpisce
ogni fibra e nervo; il mio spirito

è congelato fino in fondo

non voglio più essere qui.

~ Nik Kershaw - Wouldn't be good

8 gennaio 1942, Oświęcim.

Ci risiamo, ancora persone, ancora carne da mandare al macello, fili intrecciati di vite che verranno spezzati senza pietà.

Era giunto un nuovo carico di umani da gettare via, dovevano essere tenuti lì per qualche ora, finché i successivi vagoni non fossero stati svuotati, pronti a ospitare i nuovi giocattoli, per consegnarli ai bambini dalle fauci di fuoco e dalle braccia di ferro spinato.

Nikolàus Gràwitz pensava in quel giorno, un giorno come tanti, di routine; ansioso, nervoso, stanco e arrabbiato, aveva ormai fatto patti con quelle emozioni.

Non voleva trovarsi lì, non voleva fare ciò che stava facendo, non gli piaceva: lo trovava disumano. Spense il sigaro scuro pigiandolo nel marmoreo posacenere e facendo risuonare le pesanti calzature, si diresse con passo lento verso il vissuto sgabellino di legno di pino, posto a distanza ravvicinata del pianoforte, l'unico oggetto nuovo di tutta la mobilia.

Il papavero rosso tra mille spighe di grano, la margherita tra mille spine, il simbolo della sua lotta interiore. Del suo terribile passato.

Alzò le mani ricoperte da guanti di pelle nera, se li levò, e poso le dita sui tasti lattei: iniziò a suonare. Note di una sconosciuta melodia echeggiavano lontane nell'aria gelida di quel gennaio particolarmente freddo e silenzioso. Era una melodia triste, lenta, come se chi la stesse suonando avesse sprigionato su ogni tassello bianco e nero di quello strumento, tutto il suo dolore. Un dolore sempre celato, nascosto dal tempo; le note vagheggiavano piumose e senza alcuna pesantezza, nonostante ogni cosa che le circondava non lo fosse affatto.

Attraversavano inostacolate le candide pianure invernali polacche; desolate, spente, popolate da solo un piccolo pettirosso, il quale, con la sua piccola testolina e i suoi minuscoli occhietti vitrei scuri, cercava del cibo da portare su al nido per sfamare la propria prole. Passavano tra gli alberi spogli e privi di vita, proprio come la terra sulla quale gravavano...

Sembravano farsi spazio a fatica in quel campo arido e fragile che era ormai diventato l'animo di Edna. Eppure c'erano state note, musiche che erano solenti scioglierla, placarla, o meglio placare la sua irrefrenabile voglia di spegnere tutto una volta per sempre: la musica del cuore di Keno. Il suo motivo di lotta contro tutto e tutti. Sentiva dalla sua prigione quella melodia così angosciante nella sua perfezione e le sembrò così assurdo, così insensato, come il motivo della sua cattura; ma quelle note erano un messaggio in codice, qualcosa da decifrare.

La musica cessò di viaggiare; a un tratto una nota stridula mise a tappeto l'agonizzante melodia. Il biondo dagli occhi color mare smise di lanciare quel messaggio in codice. In quell'attimo regnò sovrano un ticchettio regolare e scandito di un pendolo, isolato dal resto della casa, posto in fondo al muro accanto alla legnosa e fragile porta di ingresso che scricchiolava ad ogni minimo alzarsi del vento.

Aveva finito.

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