Underground

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Giornate come questa non sarebbero proprio da au­gurare a nessuno. Sono le undici e un quarto e Carl esce dal suo ufficio dopo oltre quindici ore di la­voro. Quella mattina sapeva che avrebbe fatto tar­di, ma diamine c'è un limite a tutto! Quel diavolo di Keyne, il suo capoufficio, è veramente inconten­tabile; alle cinque di pomeriggio gli si è presen­tato dinanzi dicendo - Warren, ho bisogno che mi prepari il bilancio della JMS Corporations entro domattina ! -, non una parola di meno, non una pa­rola di più.
    Era implicito a questo punto il discorso "lei sta qui fino a che non ha finito", e Carl lo capì be­nissimo.
    Ma ora aveva terminato e, per quanto tardi che fosse, assaporava già di ficcarsi sotto la doccia di casa sua per poi saltare nel letto con Helen, sempre che fosse ancora sveglia.
    Chiuse la porta del suo ufficio, prese l'ascenso­re e lasciò poi le chiavi a Frank, il guardiano, che disse una di quelle solite frasi scontate - Si lavora fino a tardi Signor Warren ! - che se appena uno fosse un po' nervoso gli fracasserebbe il cra­nio oppure gli direbbe "sì bel cretino e fra nove ore sono qui a ricominciare mentre tu te ne vai a dormire ".
    E già, tra nove ore Carl sarà di nuovo qui per un comunissimo mercoledì alla Glover Administration, di una comunissima settimana di novembre in quella comunissima città del Maine, Korgen City.
    Era già arrivato sulla strada, si tirò su il col­lo del suo cappotto blu, infilò una mano in tasca e cominciò ad incamminarsi verso il metrò.
    Faceva proprio freddo quella sera, aveva persino dimenticato i guanti quella mattina e la mano che reggeva la sua ventiquattrore cominciava a raffred­darsi parecchio.
    Carl però ha sempre sopportato bene il freddo, forse perchè nato in montagna, in un paesino vicino a Malhorn, ma un po' anche per la sua stazza così robustina che oramai all'alba dei trentacinque anni gli permetteva di assorbire attraverso il tessuto adiposo il primo freddo epidermico, così almeno di­ce sua moglie.
    Non c'era anima viva per la strada, Carl tolse persino gli occhiali per sincerarsene e approfittò del'attimo per risistemarsi anche il ciuffo ribelle che da giorni oramai lo invitava ad andare dal par­rucchiere.
    La nebbia rendeva vaghe le forme della città not­turna ma una cosa era certa a quell'ora tutti colo­ro che avevano scelto di starsene in casa avevano fatto la cosa migliore. D'altronde dove diavolo sa­rebbero andati alle undici e mezzo di sera di mer­coledì. Carl voltò l'angolo che lo avrebbe portato alla stazione del metro di Meddle, a sette fermate da casa sua, quando vide un paio di giovani fermi vicino ad un portone. Non riusciva bene a capire cosa stessero facendo ma, mano a mano che si avvi­cinava, poté fare la triste scoperta.
    Uno dei ragazzi stava con un braccio scoperto ed un laccio emostatico posizionato sul bicipite, l'altro stava terminando la sua operazione estraen­do la siringa dalla sua vena. Leccò la punta dell'ago e la passo al suo compagno che senza nep­pure controllare dove fosse la vena da mirare si buco a memoria al centro dell'avambraccio quasi co­me sapesse che lì già esisteva un canale aperto.
    Il primo giovane stramazzo al suolo perdendo san­gue dal braccio utilizzato per l'iniezione ed era già partito per il viaggio che lo avrebbe accompa­gnato per tutta la notte, l'altro ancora lucido seppure in percentuale molto bassa, riuscì ad in­crociare lo sguardo di Carl che nel frattempo si era fermato ad osservarli, e gli disse con una voce fioca e impastata - Oh, vuoi grane .... allora vat­tene ! -.
    Quella frase non fece paura neppure a Carl, che rogne con quel genere di persone non aveva mai vo­luto averne; d'altronde quei due facevano pena al­tro che paura e Carl proseguì verso il metrò.
    Arrivò alla stazione, scese i gradini ma si ac­corse che forse non aveva il biglietto per accedere ai treni. Maledizione ci mancava solo questa; le edicole sono pure chiuse e l'omino che controlla i passeggeri che accedono era ben sveglio e ben pre­sente e si accorse subito che Carl aveva ipotizzato di attraversare la barriera abbonati qualora lui fosse stato addormentato, ma questa possibilità era da escludere. Carl cominciò a frugare nervosamente nelle tasche alla disperata ricerca delle monetine da inserire nella distributrice automatica di bi­glietti, quando il suo sguardo si alzò e vide un cartello "fuori servizio". L'omino del metrò sorri­se sadicamente ed il suo sguardo sembrava dicesse - e adesso vediamo come te la cavi ! -.
    In quel momento sentì che un metrò arrivava giù nella banchina; grazie a Dio era nel senso contra­rio a quello di Carl, la lucina che si accese nel gabbiotto dell'omino del metrò era quella di sini­stra; meno male! Poichè quello sarebbe stato anche l'ultimo metrò per tornare a casa.
    Sembrava non fosse sceso nessuno, poi vide una figura salire dalla scala mobile, una figura nera, completamente vestita di nero. Era un uomo, di cir­ca quarant'anni, con capotto, sciarpa, guanti e cappello nero. Aveva gli occhiali ed una barba ne­ra, faceva un po' impressione, ma era anche l'unica persona a cui chiedere un biglietto per il metrò.
    Carl si avvicinò, si accorse che era altissimo, il suo cuore batteva fortissimo; quell'uomo distin­to faceva un po' paura sopratutto i suoi occhi era­no strani.
    - Mi scusi signore se la importuno, ma non avreb­be un biglietto per il metrò, sa la macchina non funziona e.... -
    - Non si preoccupi, ho quello che fa per lei -.
    Estrasse dalla sua tasca un biglietto un po' di­verso da quelli che usava di solito, ma le indica­zioni sopra riportate parevano giuste. Ad ogni modo Carl chiese - scusi, questo biglietto va bene per questa linea ? -.
    - Certamente, è un po' diverso dai soliti perchè con questo si può sconfinare oltre la barriera di Korgen City -.
    - Accidenti allora chissà quanto costa !-.
    - Per lei non costa nulla, poi mi saprà dire ! -.
    - Mi scusi ma io non la conosco neanche e poi di­re cosa !-.
    Ma non fece in tempo a dire questo che l'uomo ve­stito di nero si allontanò; Carl rimase sbigottito però in fondo aveva raggiunto il suo obiettivo: a­veva un biglietto per tornare a casa, un po' strano però c'era. Andò soddisfatto verso l'omino del metrò, ora era Carl a sorridere sadicamente come per dire " hai visto brutto deficiente che l'ho trovato" e inserì il biglietto nella macchinetta per obliterarlo; il cancello si aprì e finalmente Carl era entrato. Si avviò sulla destra in direzio­ne Makulen e scese la scala per recarsi sulla ban­china dei treni.
    Il marciapiede era molto lungo, illuminato a giorno come sempre, solo che quella sera non vi era nessuno ad attendere il metrò. Neppure sull'altro marciapiede vi era qualcuno. D'altronde era vera­mente tardi per una normalissima sera di mezza set­timana. Carl sentì il ticchettio della macchinetta sopra di lui che vidimava il biglietto di un altro ritardatario.
    - Meno male che non sono solo ! - pensò Carl. E' vero che è pur sempre un uomo, ma coi "tempi che corrono", come dice Helen, " è meglio essere sempre in compagnia".
    Il compagno di viaggio scese le scale ; chissà se però sarebbe venuto dalla sua stessa parte. Carl intanto si stava spostando verso la coda della ban­china, per essere più comodo quando sarebbe uscito alla stazione di Sunstone.
    Il compagno di viaggio arrivò sulla banchina dal­la stessa parte di Carl, ma come senza accorgersi di lui andò esattamente in testa alla banchina. Era un signore distinto, normalissimo come migliaia in giro a Korgen City. Ma era normalissimo solo nell'aspetto; avrebbe voluto gridare "ehi, non hai sentito cosa dice mia moglie Helen, non si viaggia mai da soli ! ".
    Ma decise di desistere. Certo che era buffo: in due sulla banchina e probabilmente con tutto un metrò a loro disposizione, avrebbero preso l'uno la prima e l'altro l'ultima carrozza.
    Ad un tratto si cominciò a sentire il metrò; era in orario: le 11.58. Carl si sporse dalla banchina e vide i due fari del treno che stava per entrare in stazione. Il treno sfrecciò rapidamente davanti a Carl, si sarebbe fermato all'altro capo del mar­ciapiede, circa ottanta metri più in là. Carl per un attimo si distrasse, voleva vedere la faccia del conducente che guidava il treno per cercare di leg­gergli sul viso qualche frase del tipo " ecco gli ultimi due scemi del turno di mezzanotte", ma a Carl parve stranamente di non vedere nessuno al po­sto di guida; forse era la stanchezza, oppure i fa­ri un po' troppo forti che accecavano se si guarda­va il vetro del conducente.
    Il treno si fermò, col solito sbuffo meccanico le porte si aprirono; Carl salì sulla vettura mentre con la coda dell'occhio seguì l'analogo movimento del suo compagno alla prima carrozza.
    Manco a dirlo la carrozza di Carl era vuota, quella che la precedeva anche; più avanti non riu­sciva bene a distinguere ma molto probabilmente era la stessa cosa.
    - Evviva sono l'ultimo passeggiero di questa giornata per l'azienda trasporti di Korgen City, proprio una bella soddisfazione -.
    Le porte si richiusero, Carl aveva preso posto su di uno dei cinquantadue sedili disposti sui due la­ti lunghi della carrozza, il treno iniziò la sua marcia.
    Carl sapeva tutto di quel tratto che da dodici anni faceva agli orari più svariati, forse uno di quelli più insoliti era proprio quello di questa sera ma circa i tempi di percorrenza era informa­tissimo:
    Ventuno minuti complessivi, media di tre minuti per stazione, con punte di quattro minuti ed altre sui due minuti e trenta secondi; negli orari di punta si poteva arrivare ad un aumento del trenta per cento, sempre salvo guasti o incidenti o qual­che deficiente che si butta sui binari sperando da morto un attimo di celebrità mentre invece nell'al­dilà non riesce più a contare gli accidenti che gli altri viaggiatori gli mandano per averli fatti tar­dare o nell'andare al lavoro, cosa grave, oppure nel ritornare a casa, cosa gravissima.
    Erano le 00.01, il treno sarebbe entrato nel pri­ma stazione dopo Meddle. Carl cominciò frenetica­mente a guardare l'orologio, tre minuti e trenta; il treno non aveva rallentato anzi, stava andando più veloce del solito ma non era ancora arrivato alla sazione successiva. Quattro minuti, il treno aumenta la velocità, Carl si alza in piedi guarda fuori dal finestrino ma è sempre tutto nero, come sempre quando si guarda fuori dal metrò. Cinque mi­nuti, il treno continua a gran velocità.
    - Ma dove diavolo sta andando sto cretino !-.
    Per un attimo Carl pensò anche che avesse sba­gliato strada, ma si accorse immediatamente della stupidata ed il suo cervello riuscì ad escludere l'effetto vocale della stronzata.
    Ripercorse mentalmente la discesa dalla scala al­la stazione di Meddle; era sicuro, era sceso dalla parte giusta, d'altronde era già arrivato l'ultimo treno per l'altra direzione quindi quello era l'u­nico treno, era sicuramente quello giusto ma dove cavolo stava andando allora, perchè ci impiega così tanto per arrivare alla prima stazione ?
    Passò circa un quarto d'ora, il treno andava si­curamente a velocità superiori ai cento chilometri orari, avrà percorso circa venticinque chilometri, pensò Carl. Korgen City è lunga circa diciotto, venti chilometri. Il cuore batteva a mille, Carl lasciò la valigetta sul sedile e continuò freneti­camente a guardare fuori dal finestrino per cercare di vedere qualcosa davanti al treno ma non riusciva neppure a sporgersi; vi erano quelle sbarre oriz­zontali per evitare di gettare oggetti o sporgersi dai finestrini. Era proprio in trappola!
    No, c'era ancora un tentativo il freno di emer­genza, "da usare solo in caso di bisogno, gli abusi verranno puniti ".
    -E chi se ne frega ! - Carl tirò con tutta la forza che aveva, ma il treno non fece neanche una piega e lo stesso per l'apertura manuale della por­ta. Era tutto bloccato e lui era in gabbia, chiuso in quella carrozza del metrò che da venticinque mi­nuti stava viaggiando alla ricerca della prima sta­zione.
    Carl pensò al suo compagno in testa; sarà anche lui terrorizzato oppure aveva già sfondato la porta che separa la carrozza con lo spazio del manovrato­re per cercare di capire qualcosa ?
    Sta di fatto che più il tempo passava e più Carl se la stava letteralmente facendo sotto.
    Ore 12:32, il treno cominciava a rallentare, all'incirca avrà fatto cinquanta, cinquantacinque chilometri, verso dove non si sa; Carl ha quasi più paura ora di quando il treno viaggiava ad alta ve­locità.
    Ora avrebbe saputo dove si trovava, sarebbe sceso avrebbe preso un taxi sarebbe tornato a casa e do­mani la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di andare all'azienda trasporti a chiedere il trasferimento di quel deficiente che si diverte a portare in giro la gente sul metrò nel bel mezzo della notte.
    - Sì, ma i binari ed i tunnel dove li ha presi ? - Pensò Carl - , non può mica essere un mago. Ma allora che diavolo sta succedendo, dove diavolo sono ?-.
    Il treno continuava a rallentare, fuori dal finestrino schiacciando la testa contro le sbarre Carl riusciva ad intravedere una specie di luce fredda.
    Il treno continuava a rallentare ed intanto en­trava nella stazione.
    Non esisteva un altro binario, vi era solo una banchina a destra del treno ed intorno una fittis­sima nebbia che non permetteva assolutamente di ca­pire nè quanto fosse grande la stazione nè se fosse all'aperto oppure al chiuso.
    Il treno si fermò ed apri le sue portiere, spe­gnendo poi i suoi motori e togliendo ogni forma di alimentazione alle carrozze. La luce sparì, era un invito implicito a scendere dalla vettura. Carl eb­be veramente paura, sudava freddo, fuori faceva sì caldo ma era un caldo strano di quello che si può sentire in montagna quando il sole picchia sopra le teste; ma lì il sole non c'era, vi era solo nebbia.
    Carl prese il coraggio a due mani e decise di scendere, d'altronde non vi era alternativa: il treno non sembrava aver voglia di tornare indietro e quella nebbia oltre a non rassicurare per niente era purtroppo anche l'unica alternativa.
    D'un tratto mentre stava per uscire vide attra­verso la nebbia, un ombra uscire dalle carrozze precedenti: era quella del suo compagno di viaggio che si stava allontanando come se sapesse dove an­dare.
    - Ehi aspetti un attimo, per l'amor di Dio mi a­scolti ! -.
    E intanto si inoltrò nella nebbia lasciando die­tro di sè il treno. Sembrava davvero un luogo senza fine. Non era neppure vero che non si vedeva nien­te, il fatto era che tutto sembrava color bianco freddo e la nebbia accentuava questa sfumatura.
    Ad un tratto Carl sentì delle voci, cercò di rea­lizzarne la provenienza, e si diresse verso quella che a lui sembrava la giusta direzione. Vide delle figure che parlavano tra di loro, non riusciva an­cora distinguerle, erano due o forse tre, no erano due; un uomo ed una donna ......... SUO PADRE E SUA MADRE !
    - Mio Dio cosa mi sta succedendo papà e mamma so­no morti dieci anni fa ......-.
    Cercò di avvicinarsi alle due figure ma queste non appena Carl cercò di toccarle si trasformarono in corpi marci con le loro carni penzolanti e ma­leodoranti che lasciavano brandelli sul corpo di Carl.
    - Tu ci hai ridotto così Carl, ricordalo ! .. -
    Dissero le due figure, e immediatamente svanirono nel nulla.
    Carl rimase sconvolto, che mondo era mai questo, forse era morto e non se ne era accorto ? I suoi genitori poi lo accusavano di un qualcosa che nep­pure sapeva. Carl aveva veramente paura, non tanto di quella situazione ma bensì di non sapere come fare per tornare indietro.
    Una voce di donna risuonò alle sue spalle :
    - Vuoi tornare a casa, carino !-.
    - Certo - rispose Carl. - Ma prima vorrei sapere dove diavolo sono finito -.
    - Ma come non lo hai ancora capito ? Sei nel re­gno dei morti, non hai visto i tuoi genitori ? -.
    - Senta signorina, io non sono qui per farmi ..-.
    Mentre Carl cercava di rispondere il volto della donna cambiava forma e colore in continuazione, co­me per far capire a Carl di essere ancora una volta in quella condizione di stronzagine acuta.
    - Cosa c'è figliolo, ti si è bloccata la lingua ? -
    - No soltanto che mi sembra ..... -.
    - Impossibile ! C'e ne sono tante di cose impos­sibili al mondo. A proposito tu vorresti ritornarci in quello dei vivi immagino, no ? -.
    - Certo, come si fa ! -.
    - E' semplice devi soltanto farmi un piacere ! -.
    - Tutto quello che vuoi, purchè io torni in fret­ta a casa mia ! -.
    - Perfetto sono convinta che andremo d'accordo io e te. Vedi io ho fatto una scommessa su di te e se la vinco ti posso far tornare a casa, se la perdo invece no. I tuoi genitori dicono che tu credi a quelle storie sul paradiso e sull'inferno e io in­vece dico di no, perchè tu sei un tipo speciale -.
    - Beh, in un certo senso è vero però ..... -.
    - Io ho scommesso che per dimostrare che tu non sei superstizioso avresti fatto quella stupidata della prova del sangue .... -.
    - Prova del sangue e cosa sarebbe ? - chiese Carl un po' impaurito.
    - Niente di speciale, si tratta di quella baggia­nata con cui uno firma un foglio con il proprio sangue .... -.
    - Si ne ho sentito parlare. Ma in sostanza che cosa dovrei fare ? - disse Carl.
    - Devi firmare davanti ai tuoi genitori questo foglio per dimostrargli che tu non credi a quelle stupidate, del resto lo vedi anche tu dove vivono i morti e non mi sembra proprio che questo sia nè un inferno nè un paradiso è solo un misero regno dei morti. Ecco se tu firmerai questo foglio io vincerò la scommessa e tu tornerai sulla terra. Che ne di­ci ? -.
    Carl si guardò attorno, in effetti la donna aveva ragione se quello era davvero il regno dei morti, non si poteva certo dire che fosse nè bello nè brutto, era solo morto. D'altronde a lui cosa glie­ne fregava, i suoi genitori erano morti, se anche avesse firmato quel foglio cosa gli avrebbero fatto di male, non avrebbe potuto ucciderli nuovamente !
    - Va bene ci sto, dove devo firmare -.
    - Carl non farlo ! - era la voce di sua madre che parlava, era alle sue spalle, nello stesso punto dove era svanita poco prima con sua madre.
    - Se firmerai ci ridurrai come hai visto prima, questo non è un semplice luogo dei morti , questo è già l'inferno ! -.
    La donna senza scomporsi si inserì nel discorso - Scusa Carl mi ero dimenticata di dirti che qui ab­biamo anche delle persone veramente spiritose. Quelle che tu vedi non sono le anime dei tuoi geni­tori, ma quelle di alcuni spiriti burloni che vo­gliono sempre divertirsi. Di solito sono vecchi ar­tisti o dei giovani morti ancora nell'età in cui ci si diverte con ogni mezzo -.
    Carl non parve convinto della spiegazione e parlò allo spirito che sembrava di sua madre: - se sei lo spirito di mia madre dimostralo ? -.
    - Caro il mio Carl, qualsiasi cosa io ti dirò potrà essere smentita da quell'essere spaventoso che hai davanti e del quale tu vedi solo i contorni di una giovane donna. Sei soltanto tu che devi ca­pire di non firmare quel foglio può essere la tua condanna non la tua salvezza -.
    - E dovrei rimanere qui ! -.
    - E difficile comprenderlo ....... ma è meglio così -.
    - Carl non fare lo stupido - disse la donna - fammi vincer questa scommessa e così tornerai a casa -.
    Un altra voce si sovrappose, era quella di suo padre - Ma quale scommessa, Carl salvati finchè sei in tempo . Hai visto i nostri corpi che fine hanno fatto un attimo fa ?. Quella era solo una breccia nel futuro. La stessa cosa accadrà realmente se tu firmerai quella condanna, poichè tu sarai condanna­to per sempre e noi marciremo qui all'inferno -.
    - Sentite cari spiriti, ora avete superato ogni limite, lasciate che Carl decida da solo, non è leale influenzare il candidato ! -.
    - Carl ti prego ! - ripetè sua madre.
    Carl non sapeva più che cosa fare. Restare non ci pensava neanche, andare voleva dire, forse, rovina­re per l'eternità l'esistenza dei propri genitori, ...... e allora ....
    - Ma certo, questo deve essere uno di quegli scherzi di qualche trasmissione televisiva in cui io ora sto allo scherzo e poi finisce tutto ! - così pensò tra sè Carl.
    Carl non disse niente, prese in mano il foglio che la donna aveva in mano, lo lesse

    IO SOTTOSCRITTO CARL WARREN DICHIARO DI CEDERE LA MIA ANIMA AL POSSESSORE DELLA PRESENTE LETTERA AL MOMENTO DELLA MIA MORTE.

FIRMA

    La donna gli porse una lama un po strana, una cannuccia molto acuminata, una specie di penna ad inchiostro, o penna a sangue.
    Carl si recise una vena sull'avambraccio sinistro sporcando la punta della penna; poi preso il foglio che la donna gli aveva nel frattempo retto e comin­ciò a firmare.
    - Carl ti prego ! - grido sua madre abbracciando il padre .
    - Mamma non ti preoccupare è un gioco ! - rispose Carl.
    Carl terminò di scrivere si risistemò il braccio e disse :
    - Bene posso andare ora ! -.
    - Certo caro, per di là - e la donna indicò la direzione del treno. Nel mentre ecco che la nebbia cominciò a farsi più rossastra, l'aria era più cal­da, la donna ora ......stava allontanandosi e si stava trasformando; non riusciva bene a distinguer­la ma aveva sicuramente un mantello rosso fuoco e ..... avrebbe giurato di vedere ai suoi piedi co­me due zoccoli di animale; la sua figura era diven­tata molto più grande, sembrava una montagna e si stava allontanando.
    - Hai visto cosa hai fatto, hai rovinato te stes­so ed anche noi - gridarono i suoi genitori mentre per la seconda volta i loro corpi si stavano sfal­dando a vista d'occhio, sino a svanire.
    Carl rimase pietrificato - Cavolo, ma allora non era uno scherzo ! - . Da lontano nella nebbia sem­pre più simile al colore del fuoco, sentì il rumore del treno che riaccendeva i motori. Carl non ci pensò due volte corse in direzione del rumore. Cor­se come un matto fino a vedere il treno; le porte erano aperte; le luci all'interno delle carrozze erano accese. Chissà perchè, ma Carl era sicuro che il treno ora sarebbe ripartito verso il mondo dei vivi. Arrivò sulla porta, guardò verso destra per cercare quel compagno di viaggio che era sceso an­che lui a quella stazione; non c'era nessuno.
    Carl entrò e le porte si richiusero immediatamen­te dietro di lui. Ma c'era qualcuno seduto nella carrozza.
    - Buonasera signor Carl -
    - Ma lei è .... - Carl lo riconobbe immediatamen­te era l'uomo che gli aveva dato il biglietto.
    - Hai fatto un bel viaggio ? Hai visto quanto hai viaggiato ! -.
    - Che ... che cosa vuole ? -. chiese impaurito Carl mentre si spingeva in fondo alla carrozza e l'uomo alzatosi si recava verso di lui.
    - Voglio solo controllare il biglietto, io sono il controllore -.
    - Ho timbrato, ho timbrato guardi - cercò nervo­samente nelle tasche sino a trovare il biglietto. Intanto il treno cominciò a muoversi nella direzio­ne verso casa e Carl dallo scossone si ritrovò se­duto su di un sedile.
    L'uomo guardò il biglietto, poi disse a Carl - questo è valido per l'andata e per il ritorno ? -.
    Carl non sapeva cosa rispondere, altri biglietti non ne aveva, ma non vi erano rivendite in quel po­sto d'inferno; poi d'improvviso rispose :
    - Ma io ho firmato ! -
    - Hai firmato, tu hai firmato ...... ah, da tanto tempo non sentivo pronunciare questa frase, sono veramente felice. Complimenti ragazzo, sei dei no­stri - e con la mano destra diede una pacca sulla spalla di Carl, proprio come si fa tra due vecchi amici.
    - Signore siamo al capolinea. Signore, si svegli. Signore ! -. L'uomo della metrò di Makulen si era accorto per caso, nell'ultima ispezione, di quello sventurato impiegato d'ufficio che si era addormen­tato sull'ultima carrozza dell'ultima metrò di quel mercoledì.
    Carl si svegliò di soprassalto - Come ... dove ? -.
    - Signore siamo al capolinea deve scendere. Si è addormentato -.
    - Mi sono addormentato ? Sul serio ? ... Lei non sa come mi rende felice -.
    Carl strinse la mano all'uomo del metrò incredu­lo, prese la sua ventiquattrore, si alzò dal sedile ed uscì. Poi si fermò, si girò verso l'uomo e dis­se: - Non c'era nessuna altro sul metrò che si è addormentato ? -.
    - No, nessun altro ! -.
    - Lei è fantastico, grazie e buonasera ! - e si incamminò verso l'uscita.
    Quando fu sulla strada si guardò attorno; da Ma­kulen a Sunstone erano solo due fermate ma in quel momento le avrebbe fatte a piedi molto volentieri.
    Poi guardò l'orologio per rendersi conto dell'ora e si rese conto che l'orologio era fermo sulle 11:58.
    Il panico invase Carl, qualcosa era veramente successo.
    Poi pensò "sarà un caso.L'orologio si sarà ferma­to per la batteria scarica ". Ad un tratto un pen­siero angoscioso lo pervase. La prova che quello passato era stato soltanto un sogno la portava ad­dosso: il taglio sul braccio non avrebbe dovuto e­sistere nella realtà.
    Freneticamente Carl lasciò cadere la valigetta tirò su la manica del cappotto e della giacca, sbottonò il bottone della manica sinistra della ca­micia ed il taglio era là ancora fresco e con un rigolo di sangue secco che ne segnava la sbavatura dei contorni fatta con la punta della penna ad in­chiostro con la quale aveva firmato la sua condan­na.

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