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Sono fatta in modo davvero strano, forse troppo particolare.
Odio, amo, fingo sorrisi, piango in silenzio, rido senza contegno e vivo in un mondo tutto mio.
Più che strana, mi definisco vera. Sono una persona reale in mezzo a tanti burattini di legno.
Non sono mai stata brava a esprimere le mie emozioni, le mie paure, i miei sentimenti ed è per questo che ogni giorno, all'una e diciannove di notte, mi siedo in riva al mare.
Il mare che può essere così tranquillo ma così tremendo.
Il mare è lo psicologo per le anime in pena, per chi non ha timore, per chi si sente solo e senza via d'uscita.
O per chi è confuso.
Un po' come me, che sono a metà tra uno tsunami e un terremoto, che sono una piccola nuvola in un cielo limpido, una piccola goccia di pioggia in una giornata di sole.
Confusionaria, come le parole che scrivo alla rinfusa su un foglio bianco e alla quale cerco di dare un significato.
Confusa, distratta, stanca.
Non sono sempre stata così, è che crescendo si cambia. Crescere non significa perdere la felicità, ma spesso questa viene soffocata.
Ora, vi chiederete quale sorta di pazzia mi affligge per passare ogni notte sulla sabbia fredda, in balia del suono del mare ...
Beh, è difficile da spiegare. Forse è più difficile ammettere a me stessa, che a voi, il vero motivo di ciò che mi ha resa così.
Così fredda.
Così scostante.
Così diffidente.
Così infelice.
Così differente.

25 agosto 2014. Ore 13:19.

Fu quella l'ultima volta che lo vidi.
L'ultima volta in cui i miei occhi incontrarono i suoi, in cui la mia mano toccò la sua.
Non ci fu nessun bacio, nessun abbraccio.
Solo uno sguardo fugace, un saluto timido e la consapevolezza addosso che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui ci saremmo visti.
È salito su quell'aereo senza voltarsi indietro, senza risentimento, senza nessun pentimento.
Se ne era andato, perché lo aveva deciso, perché ciò che aveva non gli bastava più.
Io non gli bastavo più.
Me lo aveva detto qualche settimana prima, in un modo tutto suo, mentre farfugliava parole confuse e gesticolava come un matto.
Ricordo ancora un pezzo del suo discorso, come se fosse ieri.
«Emma, non capisci. Pensavo di essere felice qui, con te, ma non lo sono. C'è qualcosa di sbagliato.»
«Che cosa stai cercando di dire? Non ... Non mi ami più?»
I suoi occhi guardarono fissi nei miei e improvvisamente capii, capii tutto quello che avevo cercato di negare a me stessa fino a quel momento.
Il suo sguardo era vuoto, triste. Non c'era più amore, non c'era più passione.
«I-io ... Emma ...- si bloccò per qualche istante, le mani tremanti, lo sguardo ancora fisso nel mio. Ma non mi vedeva davvero, non mi vedeva più da così tanto tempo - Io tra due settimane parto. Non sapevo come dirtelo. Ho bisogno di una pausa, di ricominciare da capo o forse solo di iniziare un capitolo nuovo della mia vita.»
Un pensiero così egoistico, non è vero? Si era preoccupato solo di sè stesso senza pensare a come mi sarei potuta sentire io, da sola, senza di lui.
Era veramente così facile chiudere ogni cosa, lasciare tutto indietro?
«Senza di me.» conclusi la sua frase in un sussurro.

25 agosto 2014. Ore 13:19.

Quell'orario, oggi, è marchiato col fuoco sulla mia pelle, sul mio cuore, persino sulla sabbia, nel cielo.
Ma si sa, la spiaggia all'una di pomeriggio è piena di gente che ride, che scherza, che gioca con l'acqua, che prende il sole e io non riesco a concentrarmi, a percepire i miei pensieri, il mio dolore.
Ho semplicemente tramutato un orario pomeridiano in uno notturno.
Fa paura stare soli, di notte, in un luogo deserto ma sono sola da un po' nel mio cuore buio e silenzioso.

È qui, nel bel mezzo della notte, che penso ancora a lui, che verso le mie lacrime, che singhiozzo senza paura di essere scoperta.
È qui che spero ancora.
Che spero ancora in un suo ritorno, in una sua chiamata, in un suo messaggio, in un suo sorriso, in una sua carezza.
È qui che spero ancora in un "ti amo" sussurrato dolcemente come la prima volta sul divano a casa sua, mentre alla tv Jack abbracciava Rose e noi ci lanciavamo popcorn nei capelli.
È qui che spero ancora in un suo "andrà tutto bene" detto tra una mia lacrima e un suo sorriso forzato.
È qui che spero ancora in un nostro "per sempre".

Già, che strana cosa sperare.
Si dice che la speranza sia l'ultima a morire perché ci uccide prima tutti.
Forse è così, forse no.
E non avrò mai più indietro il mio tempo, le mie lacrime, le mie gioie. Non avrò più indietro tutto l'amore che gli ho dato, non da lui.
Non avrò più indietro chi amavo, chi amo, chi volevo e chi vorrei ancora adesso.
Quell'aereo se n'è andato e se n'è tornato indietro vuoto.
Vuoto, ciò che è rimasto dentro di me.
Un'enorme voragine al centro del mio petto, un nodo alla gola e un bruciore agli occhi.

È qui, che qualche volta, mi sembra di sentire la sua voce, le sue mani sulle mie spalle.
È qui che faccio ancora fatica a capacitarmi che lui è andato avanti senza di me e io sono ancora ferma qui, tra una speranza e un pensiero. Tra una delusione e la voglia di ricominciare.
Ma come posso dimenticare?
Come posso pensare a qualcuno che non sia lui?
Come trovarlo, dove trovarlo?
E dove la mettiamo la paura di provare?
Vorrei dare voce ai sentieri del mio cuore, alla mia frustrazione.

È qui che piccoli gridi soffocati si confondono con il cielo stellato, spesso grigio come il mio umore.

25 agosto 2014. Ore 13:19.

Pensavo fossi morta, in quella sala d'aspetto, mentre l'aereo decollava e le lancette dell'orologio segnavano ormai le otto di sera.
Mi ero seduta su una scomoda sedia di plastica, con la testa tra le mani e l'incapacità di smettere di piangere, di pensare.
Ma non era morto proprio nessuno, tanto meno io.
E ci ho messo così tanti anni a capirlo, a rendermene conto.

È qui che ripeto a me stessa che posso farcela, senza di lui, senza di noi.
È da qui che voglio ricominciare.

Lancio una piccola bottiglia di vetro in mare, con un messaggio scritto velocemente in una scrittura pessima.
Guardo il cielo che si sta rasserenando e fisso le onde infrangersi delicatamente contro scogli.
La luna sembra quasi rigirarsi nella distesa celeste mentre illumina il luogo in cui mi trovo.
Innamorarsi ancora, vivere ancora, senza necessariamente dimenticare, senza necessariamente provare timore.
Ripeto quelle frasi nella mia mente e sorrido, non so a chi, forse a me stessa e rigiro la penna tra le dita.
Un ultimo pensiero ricorre a quegli occhi blu, che probabilmente ora stanno guardando un'altra. Alle sue mani, che probabilmente avranno trovato il proprio pezzo di puzzle e alla sua risata, che risuona nelle orecchie di chi ora lui ama.
Guardo l'orario sul cellulare e mi dico che è ora di andare a casa; guardo per un'ultima volta il luogo che mi ha accolta per molto tempo, quel pezzetto di mare che ha ascoltato ogni mio lamento, ogni mia risata nervosa e che mi ha guardata cambiare, ancora una volta.
La bottiglietta di vetro galleggia mentre si allontana e ripeto per la centesima volta le mie parole.

Ore 13:19. Tu, io. Una fine, un inizio.

Ore 03:48. Me, me stessa. Un grande inizio.

Sono le 4:50 del mattino, di un nuovo giorno. Della mia nuova vita.

Ci sono sentimenti che sono difficili da cancellare, ci sono parole, sorrisi, gesti, che ti sembra di non aver mai dimenticato.
Ed è così maledettamente difficile andare avanti.
Ci sono persone che ti rimangono dentro, nonostante ormai se ne siano andate, nonostante abbiano preso la loro strada.
La speranza, spesso, non ti abbandona mai ma per andare avanti questo serve.
Ci sono amori che finiscono senza nemmeno mai essere iniziati o semplicemente esistono storie che si sgretolano in mille pezzi, un po' come il cuore di chi le vive.
E si muore un po' dentro ma ci si rialza, si deve farlo.
È cosi che mi sono sentita, che mi sento molte volte e che molti si sono sentiti e si sentono.
Ancora una volta, la vita va avanti e devi ricominciare da te stessa.
Amare ancora, sperare ancora.
Per ogni fine c'è un nuovo inizio.

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