Libera

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Emma era al buio ormai da ore.

La flebile candela che la Padrona le aveva lasciato per tenere a bada i ratti che infestavano la cella si era spenta per un colpo di vento, passato dallo spiraglio della porta. Non era però il buio a spaventare la bambina. Appena dodicenne Emma Jones non si faceva spaventare da nulla, nessun timore per nessuna cosa. Mai.

Eppure in quel momento, non appena sentì le prime grida, Emma provò per la prima volta un sentimento molto simile alla paura.

Nel luogo dove si trovava, la Rocca, non esistevano suoni più forti di un sibilo. Tutto era silenzioso e se per disgrazia divina ti cadeva un vassoio a terra durante le ore dei pasti sapevi, ancora prima che quello toccasse terra, che ti saresti fatto un viaggetto nelle segrete.

Legata a terra per le caviglie, Emma non osò muoversi verso la porta di legno scuro, che la teneva lontana dal trambusto che le pareti di roccia amplificavano fin là sotto.

Stare in silenzio era ormai un'abitudine fortemente consolidata nel suo essere. I primi anni della sua vita aveva provato a ribellarsi, voleva parlare, poter cantare e gridare, piangere. Ma le botte ricevute, le punizioni e il digiuno le avevano fatto passare, un pò per volta, la voglia di opporsi.

Tuttavia quando sentì i rumori farsi più forti e vicini, scattò in piedi. Non avrebbe di certo atteso qualunque nemico ci fosse là fuori seduta a gambe incrociate. Se qualcuno fosse entrato dentro la sua cella in quel momento, avrebbe trovato una bambina piccola come uno scriciolo, con le guance segnate dalle lacrime silenziose cadute nei giorni precedenti e i capelli increspati, ma combattiva.

Nessuno le avrebbe fatto altro male, era una promessa che sapeva un pò insulsa (era legata dentro una cella e non mangiava da giorni, se non era male quello), ma era una promessa che Emma fece in quell'esatto momento. Fosse anche stata la Padrona a entrare da quella porta lei avrebbe lottato con le unghie e con i denti fino a liberarsi.

Non sarebbe più stata una prigioniera.

Quando finalmente la porta si aprì Emma aveva ormai i muscoli incartati, spasmi alle spalle, per la concentrazione nel tenere sollevati i pungi in posizione di difesa e le caviglie sanguinanti, dato che le catene non prevedevano quella posizione.

Ad apparire sulla soglia fu un uomo anziano, con la barba bianca e un bastone alto quanto lui. Sembrava innocuo, ma Emma non si fece ingannare: dopo anni aveva imparato che tutte le persone avevano due facce, che potevano cambiarle a piacimento e che nessuno era totalmente buono o cattivo. Lei ne era l'esempio lampante, così come la Padrona.

Eppure rimase sconcertata quando l'uomo emise un urlo talmente potente che spezzo i catenacci che la tenevano prigioniera, con la conseguenza che anche lei venne sbattuta contro il muro alle sue spalle. Battendo la testa Emma cadde male al suolo e non riuscì a rialzarsi in tempo per impedire all'uomo, che nel frattempo era entrato nella cella, di avvicinarsi. Appena lui si allungò per toccarla, fu lei a reagire.

Le catene che la legavano non le impedivano solo di muoversi e scappare, tenevano imbrigliato anche qualcos'altro: il suo potere, forse l'unica cosa di cui Emma avesse mai avuto paura, perché nessuno le aveva mai voluto insegnare a controllarlo e comprenderlo appieno.

Fu così che lo lasciò correre sulla sua pelle, fino a che la scarica elettrica non raggiunse le sue mani. La folgore creata fu talmente forte che, dopo averla lanciata contro l'uomo, troppo vicino per evitarla, anche lei fu rimbalzata via. Ma stavolta era pronta e usò il contraccolpo per rialzarsi. Non pensando a nulla, senza preoccuparsi se l'uomo fosse ancora vivo, si girò e prese a correre.

Scoprì in breve tempo che la Rocca era sotto attacco. L'antico baluardo, protettore dell'Ordine della Natura, stava crollando. Delle possenti pareti restavano poche colonne portanti, i tendaggi erano in fiamme, le sue consorelle correvano, cercando di scappare dagli uomini che appiccavano fuoco, benchè di fuoco ce ne fosse già sufficienza.

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