24 dicembre 1321
Arrivati. Il viaggio era stato lungo. La qual cosa, detta da un immortale, acquistava un certo rilievo. Quanto odiavo le carrozze...
Scesi a terra e inspirai profondamente l'aria della notte. «Cosa ne dici, sorella, era come la ricordavi?»
Helen si girò a cercare i miei occhi nell'oscurità e le sue labbra si aprirono mostrandomi la loro felicità. «Non è cambiata affatto. Siamo a casa, Samuel!» e così dicendo, cominciò a correre per il lungo viale che portava alla vecchia dimora Bradeway, trattenendo a stento la voglia di strappare quella gonna ingombrante che le impediva di muoversi al meglio.
Sorrisi. Eccola infine: la mia Helen era tornata. Il suo animo così oppresso dalla disperazione aveva iniziato a turbarmi. Solo per quel motivo avevo accettato di tornare. Qui, nel posto in cui era nata la mia, di disperazione.
Iniziai a seguire i suoi passi, quando il vecchio, ancora seduto alla sua postazione rialzata, pronto a far partire i cavalli, mi chiamò: «Signore, non mi ha ancora pagato.»
Mi voltai nauseato a guardare quell'inutile essere umano che aveva osato rivolgermi la parola.
«Siete vivo. Mi sembra un ottimo pagamento.»
«Cosa? – chiese lui aggrottando la fronte – Non mi ha ancora pagato il viaggio» ripeté allora, insistendo. Troppo, per i miei gusti.
Senza lasciargli il tempo di urlare, afferrai il bavero della sua giacca e con un morso accurato gli strappai la carotide, bevendo giusto un sorso e lasciando che il resto del sangue si disperdesse al suolo, emanando il suo dolce aroma nell'aria.
L'uomo cadde a terra. Rimasi ancora un po' fermo, a godere del suo cuore morente; poi, mi voltai diretto verso "casa" mia.
Dopo l'inaspettata morte del padrone, la villa era stata lasciata a invecchiare nello squallore. Il figlio di Sir. Bradeway, in fondo, era scomparso da tempo, mentre la figlia era stata rapita il giorno stesso della morte del padre. Nessun erede era rimasto dunque alla casata. Nessuno, almeno, che ci tenesse a sfidare la "Maledizione dei Bradeway". Così la chiamavano allora l'azione di un vampiro.
Storcendo il naso per l'odore nauseabondo, spinsi leggermente il portone in legno accostato. All'interno, Helen fissava disarmata i muri scrostati e le ragnatele, ormai uniche e incontrastate padrone della dimora.
Muovendo un passo verso di lei, la chiamai. Lei non rispose, ma rimase come in contemplazione di quel luogo distrutto dal tempo.
«Helen, – riprovai – stai bene?»
Lei si girò a cercare il mio sguardo; sul viso, mille emozioni nascoste da quella maschera d'impassibilità, che così bene riusciva ora a indossare.
«... Non la ricordavo così» mi confessò delusa.
«Di certo l'odore era migliore» ripresi io, cominciando a girovagare per i corridoi dell'ala est. Lei mi raggiunse in un istante e, come sempre, cinse un braccio attorno alla mia schiena. Lo faceva da bambina, quando era spaventata. Lo faceva anche ora. La differenza era la mia incapacità di consolarla. Non più.
«Credevo davvero che, tornando a casa, l'avrei sentita» «Cosa?» chiesi confuso.
Si fermò un istante per fissare i suoi occhi glaciali nei miei. «La vita.»
Deglutii e l'abbracciai forte al mio petto. Lei si strinse a me e il silenzio dei nostri cuori la fece tremare.
«Non puoi continuare così; – le dissi allora – non puoi all'improvviso continuare a cercare vita nel corpo di un morto, Helen. Accettalo. Convivici, o ne morirai. Per davvero.»
YOU ARE READING
St. Jillian Carol (#1.5 St. Jillian Saga)
Paranormal«Sangue e Natale. I miei doni per lei. Sarebbe stata di nuovo felice. Di nuovo la mia Helen. E dopo avremmo finalmente lasciato una volta per tutte quel posto infernale. Io. Lei. E il nostro Destino: una vita di morte, una morte per vita.» Natale è...