Capitolo primo.

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Inverno, gelido e tagliente, riesce a scalfire i cuori di tutti, nessuno escluso, puoi amarlo o puoi odiarlo ma riuscirà in qualche modo a ferirti. Così sono anche io, da due anni a questa parte mi circonda un alone gelido che allontana chiunque mi si avvicini. Trascorro le mie giornate come se fossi un automa e di certo la mia voglia di vivere non è alta, potrebbe sembrare un'esagerazione ma stareste anche voi così se doveste convivere ogni giorno con i miei sensi di colpa.
La mia storia è complicata e ricca di rimpianti, cose non dette e azioni non compiute, quindi se non ve la sentite potete anche smettere di leggere ma per i più impavidi io continuerò a raccontare la mia vita, partendo dalla mia nascita.
Nasco a Londra all'inizio del ventunesimo secolo, mia nonna mi ripeteva sempre che ero un miracolo di Dio, la prima bambina in tutto il Regno Unito a nascere la mezzanotte esatta del primo gennaio 2000, insomma non un piccolo peso da portarsi dietro. Mia madre, Mary Steens, non ha mai accettato il mio arrivo in questo mondo, così si è subito dimostrata distaccata e fredda nei miei confronti, non ricordo nemmeno che mi abbia mai abbracciato in verità, ma non gliene si può fare una colpa, non tutte le donne sono fatte per essere madri e sono certa che se non fosse stato per mia nonna, lei avrebbe abortito. Credo comunque che, in qualche modo lei mi voglia bene e me lo ha dimostrando andandosene via, ma questo riguarda un altro periodo della mia vita, quindi dovrete aspettare.
Mio padre, Andrew Jhons ha quarantadue anni e insegna storia antica al King's college, ma quando sono nata, diciotto anni fa, stava ancora studiando per laurearsi. È l'uomo più intelligente che io conosca, è sempre stato gentile ed amorevole con me, dopotutto doveva colmare il vuoto che lasciava mia madre. Non credo che si amassero, nei mei ricordi le loro figure erano sempre molto distanti l'una dall'altra, sicuramente la gravidanza fu un errore, qualcosa che nessuno dei due si aspettava ma da quando sono nata mio padre è rinato con me. Non è mai stato un bravo ragazzo, da quello che lui stesso mi raccontava era solito scappare di casa ogni due settimane, non riusciva a laurearsi perché non voleva dire addio alla sua vita e maturare, ma con mia madre così distante da noi, ha dovuto farlo.
Tutto sommato ho trascorso una bella infanzia, non proprio felice, ma bella. Sono sempre stata una bambina normale fino a quando il mio "amico immaginario" ha smesso di essere immaginario ed è diventato qualcosa di fin troppo concreto, ma lasciate che vi spieghi meglio, perché a meno che voi non siate uno dei cinque bambini del mondo che come me è nato la mezzanotte del nuovo secolo, non potete capire.
È comparso il giorno della mia nascita, ma mi sono accorta della sua presenza solo intorno ai due anni, lo so per certo perché è stato lui a dirmelo, mi diceva sempre che lo rincorrevo per tutta la casa sotto lo sguardo sbigottito dei miei genitori. All'età di sette anni avevo capito che qualcosa non andava, ero l'unica a vederlo ma potevo toccarlo e sentivo il suo cuore battere, non poteva essere frutto della mia immaginazione, così ne parlai con una mia compagna di scuola e quando lei lo riferì a sua madre io fui etichettata come pazza. La scuola costrinse i miei genitori a mandarmi da uno psichiatra infantile e questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, mia madre a malapena sopportava l'idea di avere una figlia, figuriamoci una figlia pazza, così ci lasciò, per sempre. Disse che non avrebbe potuto aiutarmi, che ormai era diventata un peso per mio padre e che sentiva di star morendo in quella casa, così partì per non so dove lasciando mio padre a pezzi. Quello fu il secondo anno più brutto della mia vita ma non fu l'addio più doloroso.
Rimasi in terapia per quasi tre anni, non volevo ammettere che lui non esistesse così per anni presi farmaci su farmaci al fine di cacciarlo dalla mia mente, senza riuscirci.
È giusto che ve lo descriva, così anche voi potrete farvi un idea di com'era; il suo nome era Juliusz, e a differenza dei nomi degli amici immaginari non fui io a darglielo. Se ve lo steste chiedendo, era un ragazzo di vent'anni, alto e biondo con uno sguardo davvero intenso, era sempre serio ma se lo osservavi con attenzione potevi scorgere nei suoi occhi tanto rammarico e tanta tristezza. Era un essere umano come chiunque altro, tranne per due aspetti significativi. Primo: a comando poteva estrarre dalla sua schiena un paio di ali, grandi e nere, non come quelle tipiche degli angeli ma più simili a quelle di un pipistrello, però non le estraeva molto spesso perché provava dolore nel farlo. Secondo: nonostante dimostrasse solo vent'anni ne aveva in realtà poco più di cento.
All'età di nove anni mentii a mio padre e allo psichiatra, dicendo loro che il mio amico se n'era andato, all'inizio non mi credettero così rimasi in terapia per altri dieci mesi, ma ormai io non ne parlavo più e dimostrai loro di essere perfettamente sana, così mi lasciarono andare. Smisi di prendere i farmaci e i bambini a scuola riiniziarono a parlarmi, riuscii addirittura a fare amicizia con qualcuno di loro, il mio migliore amico, però, restava sempre Juliusz.
Iniziammo a parlare di argomenti sempre più seri e la notte prima del mio decimo compleanno mi disse tutta la verità.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 17, 2018 ⏰

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Beths Jhons e il Varco tra i due mondiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora