The Hope in The Unknown

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Omaha, Nebraska, USA. 29 novembre 1998.

Era una gelida sera di fine autunno e
il vento ululava fra le strette e ormai oscure vie della città.
La luna quella notte non si era degnata di mostrare la sua presenza e l'elettricità non aveva ancora messo in moto le illuminazioni pubbliche. I bagliori provenienti dagli spifferi delle finestre erano l'unica cosa che schiarivano di tanto in tanto il percorso del ragazzino.

Non gli piaceva ammetterlo, ma aveva ancora paura del buio. Probabilmente era il suo terrore più grande, dopo l'essere dimenticati. Eppure, nonostante la sua precoce età di undici anni e tre mesi, era già giunto ad una conclusione a cui molte persone faticano ad arrivare anche nei loro ultimi fiati di vita: alcune paure, per quanto folli e sciocche, non se ne vanno mai. Rimangono incastrate nei nostri cuori, finché essi non smetteranno di battere. Spetta a noi decidere quanto peso dar loro, scegliere se ignorarle, cercare inutilmente di combatterle o di lasciare che esse inglobino via tutti i nostri altri sentimenti.

Il ragazzino, dopo un intero pomeriggio passato in biblioteca, era ormai stanco e il suo corpo lo stava conducendo inconsciamente verso la strada di casa. La sua mente, però, viaggiava per un percorso diverso e chissà quanto lontano, seguendo le tracce inesistenti che suo fratello si era portato dietro mentre lo abbandonava, senza che lui e sua madre se ne accorgessero.

Sembrava esser successo tutto così inaspettatamente, eppure il ragazzino si ritrovò a maledirsi mentalmente per non essere riuscito a cogliere i segnali che il suo fratellone aveva in mente qualcosa di insolito.
La mattina che egli se ne andò, l'aveva salutato con un bacio sulla testa, seguito da una spettinata sui riccioli. Il ragazzino, in quel momento, reagì con una smorfia per la smanceria non necessaria. Doveva capire che quella dimostrazione d'affetto era probabilmente dovuta al fatto che, nella mente del fratello, sarebbe stata l'ultima.
Il maggiore, subito dopo, diede un bacio sulla guancia della madre e, con un sorriso sulle labbra, si sedette a tavola e iniziò a consumare la sua colazione. Sembrava un po' più allegro del solito, in contrasto alle espressioni indifferenti che aveva cercato di mantenere nei giorni precedenti.
C'erano poche regole in quella casa e la più importante era probabilmente non portare i propri problemi a tavola durante la colazione, ovvero l'unico momento in cui i tre componenti della famiglia potevano riunirsi e passare poche decine di minuti insieme. Quella famiglia poteva essere circondata da un'infinità di problemi, ma la sua cucina, dalle sei e mezzo alle sette, diventava quotidianamente un santuario di indisturbata tranquillità. Una pace che non si era mai interrotta, né quando il primogenito si ruppe una caviglia e rischiò di non poter più tornare a camminare, né quando il padre del ragazzino decise di mollarli in quello squallido appartamento di periferia, né durante gli innumerevoli momenti in cui si erano ritrovati quasi sul lastrico e avevano usato gli ultimi spiccioli rimasti per pagare le bollette.
Insomma, quella famiglia poteva essere anche essere immersa in quel gran casino che è la soglia della povertà, ma almeno vantava di qualcosa che anche i più ricchi non potevano assicurarsi: era una famiglia unita. O almeno, lo era stata fino ad ora.

Il ragazzino era così perso nei suoi pensieri da non rendersi conto di essere stato inconsciamente attratto ad una delle poche luci che disturbavano il fitto buio della notte. Sbatté le palpebre più volte, scettico su ciò che aveva appena letto nell'insegna luminosa del negozio di fronte a lui. Vuoi conoscere ciò che credevi impossibile da sapere? Prenota un appuntamento con Madame De L'Esprit. Il corpo del ragazzino si arrestò di fronte a quelle righe fluorescenti. Poi decise di fidarsi del proprio istinto -che più che istinto, era solo innocente speranza- e decise di entrare.

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La ragazza stava leggendo distrattamente l'ennesima rivista, accovacciata su un sofà nella stanzetta sul retro del negozio, quando sentì lo scampanellio della porta d'ingresso, segno dell'arrivo di un cliente. Sbuffò -insensatamente, considerando che quella era l'unica visita che aveva ricevuto durante l'intera giornata- si alzò e si affacciò per vedere chi fosse entrato, pronta a recitare la stupida formula di benvenuto che sua zia l'aveva obbligata ad imparare e recitare. Quando notò chi fosse il nuovo arrivato, rimase leggermente imbambolata per un paio di secondi, per poi riprendersi e mandare a quel paese la voce di sua zia nella sua testa che le ricordava il modo in cui voleva che ella accogliesse i clienti. La ragazza era ancora nel pieno della sua giovinezza e sapeva quando era meglio evitare cose che durante la propria infanzia sono reputate alquanto imbarazzanti, e di certo non voleva rendersi ridicola di fronte a quel marmocchio. Piuttosto, gli offrì un piccolo sorriso e gli chiese "Buonasera, come posso aiutarti?"

The Hope In The Unknown [One Shot]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora