Capitolo 2

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La giornata trascorse velocemente tra scatoloni di cui disfarsi e mobili da sistemare, alle otto di sera mia madre inizió il suo primo turno di lavoro ed insistette perché la accompagnassi per imparare la strada nel caso in cui avessi bisogno di lei per un'emergenza
Obbedii per evitare discussioni che, grazie alla mia solita irascibilità, si sarebbero trasformate in lite.
Era una bravissima cuoca e non le fu complicato trovare lavoro in un grande ristorante italiano a pochi metri di distanza dal ponte de La Villette. Restai immobile senza far niente a guardare mia madre indaffaratissima nello sfamare più di sessanta persone. Decisi di tornare a casa, mia madre non era molto d'accordo ma finsi di non averlo capito, la salutai e uscii dalla porta secondaria.
Frugai nelle tasche e trovai con mio grande stupore una sigaretta sopravvissuta ai controlli giornalieri di mia madre, che per tre anni non fece altro che farmi vedere articoli riguardanti tumori ai polmoni o video altrettanto angoscianti, nel disperato tentativo di convincermi a smettere.
Aveva ragione e volevo farlo. Ma quella notte feci un' eccezione.
Salii di nuovo sul ponte, mi misi al centro di esso e mi appoggiai alla ringhiera. Avevo deciso che quello sarebbe diventato il mio posto per riflettere, per scrivere, per piangere.
Proprio mentre buttai la sigaretta nel fiume sentii due rumori distinti, provenienti da entrambe le estremità del ponte.
A destra il rumore tipico dello sfregamento di lame o coltelli.
A sinistra numerose voci sovrapposte e minacciose.
Subito un altro rumore sovrastò i primi due.
Uno sparo.
Il tempo si fermò. Non mi voltai. Rimasi con lo sguardo fisso sulla sigaretta che sembrava essersi fermata nel nulla. Sospesa nell'aria. Fu l'istante più interminabile della mia esistenza e avrei dato tutto perché fosse durato di più. Ma la realtà ha delle regole e la natura dei fatti le seguì anche quella sera, così mi voltai e un secondo dopo realizzai la scena che mi si stava presentando d'innanzi agli occhi.
A destra, una quindicina di ragazzi armati dei più affilati tipi di coltelli -i cui vestiti rimandavano ad un'altra epoca-formavano un largo cerchio intorno ad un ragazzo che giaceva per terra, sanguinante ed immobilizzato dalla morte.
Tutti piangevano guardando il volto della povera, giovane vittima, tutti tranne Jean.
Allora non conoscevo ancora il suo nome, ma notai immediatamente il suo sguardo che, al contrario di tutti gli altri, era rivolto verso l'altro gruppo, colpevole della terribile morte a cui assistetti quella sera.
Era uno sguardo intraducible in parole.
Pura rabbia rifletteva nei suoi occhi gonfi di lacrime che cercava invano di trattenere.
Non augurerei mai a nessuno di essere il motivo di un simile sguardo.

Il momento peggiore dovette ancora arrivare.
Jean si accorse di me e si avvicinò, mi guardò con quegli stessi occhi di rabbia e tristezza che, così da vicino, quasi mi trafissero l'anima, e si sedette vicino a me.
<<Chi sei? Cos'hai visto?>> Mi chiese con un filo di voce che smentì immediatamente il suo fare duro e deciso.
Le parole non mi uscivano di bocca. Volevo parlare ma la paura mi aveva resa muta. Credo che lo capì perché lasciò perdere, si alzò e concluse dicendo di andarmene subito.
Obbedii senza pensarci due volte.
Ciò che successe una volta arrivata a casa mi è ormai passato di mente, rammento solo di aver pianto a lungo, lo ricordo così bene che posso sentire ancora il sapore delle lacrime amare che assaggiai quella notte, in cui tutto iniziò.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 28, 2018 ⏰

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I Vikings. La vendetta di JeanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora