' Wish I could be part of that world

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Halloween.
Che festa strana.
Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che l'aveva festeggiata, si ritrovò a pensare Annabeth, così tanto che neanche più si ricordava se fosse mai davvero accaduto o se lo avesse solo immaginato.
Probabilmente me lo sono sognato, rifletté, ero davvero troppo piccola quando me ne sono andata di casa, non è possibile che lo abbia mai festeggiato, non come si deve almeno. E poi né mio padre né sua moglie si sarebbero mai presi la briga di portarmi in giro, visto quanto mi consideravano pericolosa.
Era la prima volta, dopo anni, che si ritrovava a rimuginare sulle conseguenze della sua scelta di fuggire, o su tutto quello che si era persa e lasciata alle spalle.
Non ci aveva mai dato troppo peso, ma d'altronde non avrebbe mai potuto, non se avesse voluto continuare a sopravvivere. Invece ora... il pensiero le era balenato in testa.
Non che non fosse felice della sua vita, ovviamente lo era, però qualcosa nel profondo la punzecchiava.
Rimorso forse? Senso di colpa? Oppure una punta di gelosia? Era possibile?
Gelosia... Dei, Annabeth, quanto sei ridicola. Guarda come ti sei ridotta.
Ed ecco la sua razionalità tornare a galla e tormentarla.
Gelosa di una bambina, non potevi cadere più in basso.
Ti sei costruita un grande futuro e sei stata bene per anni, cosa vuoi di più?
Se ti sentisse tua madre! Ti sembra un comportamento da figlia di Atena? Rimettiti in sesto!
E la sua vocina interiore aveva ragione, doveva assolutamente fare qualcosa.
Perché tra le tante cose che davvero poteva pensare su quella serata, arrivare a invidiare Estelle Blofis non sarebbe mai dovuto essere sulla lista.
Tutto questo non ha senso. Non si può essere gelosi di una bambina, che cosa mai dovresti invidiarle? Non è scientificamente possibile.
O forse sì? Potrebbe essere un qualche processo recondito del mio subconscio che torna a galla... Oh, Di Immortales! Annabeth stai zitta! Basta.
Scrollò la testa. Doveva assolutamente trovare un modo di spegnere quel suo maledetto cervello iperattivo, non poteva continuare così. Sarebbe finita rinchiusa in un ospedale psichiatrico, prima o poi, ne era consapevole.
Cercò di prendere un bel respiro e svagarsi un attimo, facendo scorrere lo sguardo su quello che la circondava, analizzando lo spazio attorno a lei, cercando di non pensare.
Si sentì subito meglio.
New York era davvero bellissima quella sera, non lo avrebbe mai immaginato.
Non aveva mai lasciato il campo in quel periodo, da bambina, e quando lo aveva fatto era stata così concentrata sullo studio, sulla guerra e... beh, sul cercare di non essere ammazzata dai mostri che la inseguivano, che non aveva mai fatto caso ad una cosa così normale come Halloween.
Le strade di Manhattan erano piene di negozi con le vetrine decorate. Lucine, zucche, teschi e ragnatele spuntavano da ogni angolo.
Anche le stesse abitazioni non erano da meno.
Aveva sempre visto gli addobbi nei film, in stradine di paesini molto più isolati e meno abitati della Grande Mela, perciò aveva dato per scontato che in una città così caotica come quella non avrebbe mai trovato tutto questo entusiasmo.
Si era sbagliata, invece.
Probabilmente, ritornò a riflettere razionalmente, è tutta una trovata di marketing. Insomma, tutto serve a rendere commerciale una credenza popolare così da sfruttarla per vendere e fare soldi.
Questo non le impedì, però, di guardarsi attorno meravigliata mentre scorgeva, mano a mano che avanzava, i portoni dei grattacieli e gli attici tutti addobbati.
Addirittura aveva trovato decorazioni anche sui vetri di alcune finestre.
E poi c'era la folla.
Neanche lei sapeva bene che cosa si stupisse a fare della gente per strada, insomma, viveva in una metropoli!
New York non era mai deserta, a qualunque ora del giorno e della notte la si trova caotica e in movimento.
Però quella sera era diverso.
Le persone non erano più solo i pendolari stanchi che tornavano a casa dal lavoro, gli imprenditori avvolti nei loro cappotti costosi, con la 24 ore in mano e un cellulare sempre attaccato all'orecchio nell'altra. E non erano nemmeno i ragazzi della sua età, che cercavano un pub o un locale dove passare la serata in compagnia, o i turisti.
Per le strade, a fare compagnia al traffico, c'erano orde di genitori che portavano in giro i figli, tutti rigorosamente travestiti.
Camminavano affianco a lei tranquillamente bimbi racchiusi in spessi mantelli svolazzanti, con dei canini finti ben in vista, altri ricoperti di carta o stoffa ingiallita come bende di mummie, bambine con cappelli a punta e una bacchetta magica in mano.
E i bambini non erano i soli.
Vi erano i ragazzi dei college, travestiti e truccati nei modi più stravaganti possibili, che ridevano e scherzavano mentre si avviavano verso le varie feste a tema organizzate.
E poi ancora, alcuni genitori temerari avevano preso sul serio la serata travestendosi insieme ai propri figli e sfilando tutti insieme per le strade, con grossi sacchetti carichi di dolci.
Ma che cosa ci faceva lei in tutto questo?
Lei con la sua mente analitica era come un pesce fuor d'acqua in una situazione come quella. (O, almeno, così ripeteva a se stessa.)
Peccato che quell'idiota del suo ragazzo aveva preso sul serio il suo ruolo di fratello maggiore preferito - si ostinava a negare il fatto che essendo l'unico fratello maggiore di Estelle non sarebbe potuto essere altrimenti - e aveva accettato di accompagnare la sorellina a fare "dolcetto o scherzetto".
E ovviamente aveva coinvolto anche lei.
Si sentiva davvero una stupida, perché non riusciva mai a dirgli di no?
Non avrebbe mai imparato.
Ed eccola lì, quindi, immersa in un mondo quasi surreale ai suoi occhi decisamente troppo razionali.
Si era tenuta un po' in disparte rispetto a Percy ed Estelle, che camminavano qualche passo avanti a lei, così da poter restare ad osservarli per bene.
Faceva un certo effetto guardare Percy con i suoi pantaloni aderenti blu (non era riuscita a trattenere le risate quando lo aveva visto, lo avrebbe preso in giro per anni), legati in vita da una fascia spessa rossa che gli stringeva la camicia bianca da pirata sulla vita.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma stava proprio bene vestito così. Se per la sua naturale indole ad essere un marinaio, in quanto figlio del dio del mare, o solo per il fisico che si ritrovava, Annabeth non avrebbe saputo dirlo.
C'era da dire che ovviamente anche Estelle era molto carina.
Annabeth non aveva la più pallida idea di come - o dove - Percy si fosse procurato il costume della bambina, né tantomeno riusciva a immaginare come fosse riuscito a convincere la madre a lasciarglielo fare. Non poteva, però, negare che avesse fatto davvero un ottimo lavoro.
Estelle indossava un semplice vestito blu, con una morbida e lunga gonna svolazzante di un colore più scuro, e con già cucito, nella parte superiore, il corpetto nero, così che somigliasse il più possibile all'abito indossato da Ariel nel classico film Disney, durante la famosa scena della gita in barca con Eric.
Portava, addirittura, una bellissima parrucca rossa, così simile ai capelli della sirenetta, che poi Sally, la madre, aveva accuratamente acconciato con un grosso fiocco azzurro.
La cura con cui Percy aveva scelto i costumi per far contenta la sua sorellina fece venire voglia ad Annabeth di piangere, tanto da stupirsi di se stessa. Di solito era brava a controllare le emozioni, aveva avuto anni di pratica per imparare.
C'era, però, qualcosa di così genuino in quel gesto che le fece notare ancora una volta l'immensa bontà d'animo di quel ragazzo.
Quel ragazzo che nel profondo sarebbe sempre rimasto un po' bambino, nonostante fosse ormai cresciuto e cambiato rispetto al dodicenne problematico che aveva incontrato anni prima, ma che non aveva mai perso il suo insensato concetto di umorismo o la sua idiozia innata e che, proprio per questo, era riuscito a rubarle il cuore.
Mentre lo guardava fare il solletico alla bambina, facendola ridere e ridendo anche lui a sua volta, Annabeth si ritrovò a pensare che sembrasse davvero un principe di una terra lontana, venuto fin qui per nave e rimasto rapito dal fascino della bella sirena.
Riusciva a vedere la purezza dei gesti di Percy, mentre rifletteva su quanto fosse difficile trovare un ragazzo che prendeva così a cuore prendersi cura della sorellina, tanto da arrivare a farlo di sua spontanea volontà, invece di lamentarsi perché costretto dai genitori e finendo poi con non occuparsene minimamente.
Persa nei suoi pensieri, si ritrovò a sorridere senza neanche accorgersene, sentendosi così fortunata ad avere un fidanzato come lui.
Fidanzato che, però, pur camminando davanti a lei concentrato su Estelle, non aveva smesso di assicurarsi che Annabeth fosse sempre lì con loro e che, perciò, si accorse del suo sorriso improvviso.
Annabeth imprecò sotto voce.
Ora sì che sono finita. Non me la farà passare liscia, questa volta. Non doveva vedermi sorridere, maledizione.
Percy si voltò verso di lei, infatti, con un ghigno inconfondibile stampato in faccia.
Prima ancora che potesse aprire bocca, Annabeth gli scoccò un sguardo di fuoco.
Non ti azzardare a dire una sola parola, diceva la sua espressione, ma naturalmente Percy la ignorò.
«Ehi Sapientona! Ti stai divertendo, alla fine?» chiese.
Okay Annabeth, calma. È un idiota, ma questo già lo sapevi. Devi solo fare quello che fai sempre e rispondergli come se non ti importasse di niente.
«Assolutamente no, Testa d'Alghe. Anzi, continuo a non capire l'utilità di tutto questo. E neanche cosa ci faccio io qui.» rispose lei, incrociando le braccia al petto.
Percy la guardò divertito.
Di Immortales, se non si toglie quella smorfia compiaciuta dalla faccia da solo, glielo farò fare io a forza.
Oh, ma me la pagherai, Testa d'Alghe. Eccome se lo farai.
«Davvero? E allora quel sorriso che avevi poco fa per cos'era? Non provare a negarlo, Annie, l'ho visto.» continuò il ragazzo, deciso a farle ammettere quanto in fondo la cosa le facesse piacere.
«Non era un sorriso di felicità, quello. Stavo solo ripensando a quanto sei ridicolo conciato così. È impossibile trattenersi, guardandoti.» ribatté, sfidandolo. Poi sembrò rendersi conto di qualcos'altro, perché si affrettò ad aggiungere: «E comunque, non chiamarmi Annie! Lo sai che lo detesto!»
A quel punto Percy si mise davvero a ridere, Annabeth era troppo comica quando si arrabbiava, e lui adorava farla diventare matta.
Lei non la prese altrettanto bene, perché il suo sguardo si infiammò ancora di più per la frustrazione.
Entrambi parvero dimenticarsi della presenza di Estelle lì con loro, presi dalla discussione com'erano.
La bambina li fissava incerta, passando lo sguardo dal fratello alla sua ragazza, non capendo se stessero litigando davvero o solo per gioco.
Sapeva che a volte lo facevano, si stuzzicavano a vicenda finché uno dei due non avesse ceduto - di solito Percy - e non avesse cercato di farsi perdonare tra abbracci, solletico e baci.
Però non era mai facile capire quando era uno scherzo e quando litigavano sul serio.
Decisa a farli smettere, tirò debolmente la manica della camicia di Percy, che sembrò riprendersi abbassando lo sguardo su di lei e sorridendole.
La prese in braccio, poi, prima di riportare la sua attenzione su Annabeth che, avendo anche lei visto la bambina preoccupata, decise di lasciar perdere la discussione e ora sembrava più tranquilla.
«Lo sai, magari la cosa continuerà a non piacerti, però sarebbe molto più divertente se ti unissi a noi, invece di stare da sola lì dietro.» le disse, prima di girarsi e rimettere a terra la sorellina, senza smettere di sorridere.
Oh Dei. Ora lo uccido sul serio.
Annabeth sapeva che la stava solo provocando, o forse stava solo cercando di farla cedere.
Sapeva, anche, nel profondo di quanto lui avesse ragione. Prendeva le cose troppo sul serio, avrebbe davvero dovuto iniziare a vivere più leggera, lasciandosi coinvolgere da Percy nelle sue idee.
Probabilmente, si ritrovò a riflettere, era questo lo scopo fin dal principio.
Annabeth guardò di nuovo il suo ragazzo, con questa nuova consapevolezza nel cuore, e lui si girò a sua volta verso di lei, come se sentisse la sua presenza.
Aveva ufficialmente abbassato tutte le difese e Percy se ne accorse, perché i suoi occhi si scurirono carichi di preoccupazione.
Prima che potesse parlare, Annabeth si mise a ridere e lui si rilassò.
Sei davvero carino quando sei preoccupato, gli mimò lei con le labbra, certa che non avrebbe capito, invece lui lo fece. Alzò le spalle e le sorrise.
E il cuore di Annabeth fece una capriola.
Percy le fece segno di avvicinarsi ancora una volta, poi si chinò verso la sorellina e le disse qualcosa sottovoce. La bambina sorrise e guardò Annabeth a sua volta, tutta contenta, allungando la manina come per invitarla.
Il cuore di Annabeth si strinse ancora, non abituato a tutto questo, nonostante lei e Percy stessero insieme da anni.
Non si era mai sentita accettata dalla sua famiglia e vedere che quella del suo ragazzo, invece, la amava così tanto, ancora le faceva un effetto strano.
Si avvicinò, allora, mandando all'aria tutte le sue convinzioni troppo razionali, e prese la manina tesa di Estelle, che ricambiò la stretta con un mega sorriso sdentato e gli occhioni luccicanti.
La gioia della bambina contagiò anche Annabeth, la serata era diventata tutto uno scambio di sorrisi.
Anche Percy si avvicinò, alla fine, e Annabeth si sentì rassicurata dalla sua presenza. Il fatto che lui accettasse di lasciare che fosse lei a tenere per mano Estelle voleva dire grande fiducia, e Annabeth era felice di questo.
«Perché non ti piace Halloween, Annabeth?» la vocina della bimba la riscosse.
«Uhm? Oh, no non è che non mi piace, è che io non l'ho mai festeggiato. La mia famiglia... beh non era come la tua e non ha mai amato questo genere di cose.» rispose, cercando di non sembrare troppo dispiaciuta dalla cosa. Non poteva scaricare tutta la sua amarezza su una bambina di 5 anni.
La bambina rimase in silenzio per un po', poi sembrò distrarsi da una vetrina e lasciarono cadere l'argomento. Percy diede un bacio sulla tempia ad Annabeth, prima di seguire la sorellina.
Annabeth li lasciò fare sorridendo, finché non vide Estelle correrle incontro. Vedeva anche Percy guardarle da lontano confuso, ma non disse niente.
Si chinò alla stessa altezza della bambina - le aveva portato un dolcetto! - e le sistemò la parrucca, che le stava scivolando per la corsa appena fatta.
Improvvisamente Estelle la abbracciò, cogliendo Annabeth di sorpresa.
Ricambiò la stretta, allora, e la piccola si staccò per dirle qualcosa all'orecchio prima di correre via tutta contenta.
«Mi dispiace che tu non abbia mai festeggiato Halloween, ma non preoccuparti. L'anno prossimo se vuoi Ariel puoi farla tu.»

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