Ali spezzate

2 0 0
                                    

            Dieci anni. Sono passati dieci anni, e io sono ancora qui. Vivo da sempre nello stesso modo, mangio le stesse cose, vedo le solite persone. Non è un male, mi sono sempre detta, non è un male avere una vita abitudinaria, non è un male vivere da sola e non volere nessuno, non è un male piangere ogni notte. Quante bugie, quante menzogne ho raccontato a me stessa. All'inizio è stato facile, quando si ha dodici anni, si è così innocenti e ingenui che è facile illudersi da soli. Ma poi, con l'avanzare del tempo, e le incertezze che l'età adulta porta con sé, mentire non è più bastato. Era diventata una lotta. Dentro di me, ogni giorno, ogni notte, prendeva luogo una guerra, per restare e aspettare o andarmene. Andarmene? Mi dicevo io. E dove? Non è Targon che porta sofferenze, non è Targon il mio peso, la mia montagna. Ovunque potessi andare, in qualsiasi luogo, dove esso sia, non sarei mai riuscita a scappare. Non per sempre almeno, non da me stessa.
E così rimanevo e aspettavo. Non so con quale forza, non so con quale determinazione, so solo che mi impegnavo ogni giorno, mi sforzavo con tutta me stessa a non pesare. Al passato, all'infanzia, a lui.
Lui. La mia maledizione, così lo chiamavo, non aveva più un volto per me, né un nome, era solo un chiodo fisso, nelle notti afose d'estate, nelle giornate fredde d'inverno, nei sogni, nei desideri, negli incubi. Lui era la mia costante, un pensiero ricorrente. Fa ancora male. Dieci anni sono passati, e fa ancora male.
Ma riconosco che è colpa mia. Una ferita non si sana se sempre esposta, non si cicatrizza se non la si tratta con le giuste cure. Non posso farci nulla. Il dolore mi aiuta a ricordare, e mi mantiene in vita. Vita... sempre se questa si può chiamare vita. Me lo ricordo bene il mio passato, quelli sì che erano momenti felici, quella si poteva chiamare vita. Una doppia vita. Da bambina ero la maga delle bugie, dei trucchi, fingevo alla perfezione, mantenevo la maschera della brava figlia. I miei genitori erano orgogliosi di me, ero la migliore giovane guerriera della mia tribù, lo sono sempre stata, nessuno mi eguagliava. Tranne lui.

Mi ricordo che da bambino piangeva ogni volta che lo battevo, e che ogni giorno si ripresentava d'innanzi a me per combattere di nuovo. Per lui la gloria, la popolarità, l'onore, erano il suo motivo di esistenza. Per me non erano altro che ridicole motivazioni. Io ero solo un ostacolo, lui voleva essere il migliore, combatteva per la fama, era piccolo, ma pronto ad uccidere per ottenerla.
Una volta cresciuto alle sconfitte smise di piangere, ma il suo cuore si riempiva di odio e rancore nei miei confronti. Sapevo bene che mi odiava. Io a dieci anni ero già persa per lui, lo spiavo quando si allenava da solo e nell'arena, insieme ai miei coetanei, lo guardavo come se non ci fosse nessun altro. Per me c'era solo lui. Quanto soffrivo, eppure non mi sono mai pentita, lui mi guardava con occhi spietati, mi voleva annientare, tremavano persino le mie ossa quando mi perforava lo sguardo con quei gelidi occhi. Avevano il colore del fuoco e del sangue. Lo stesso della sua anima probabilmente.
Fu una sera calda d'estate, quando il sole era ormai tramontato ma la notte ancora non aveva ricoperto il cielo con il suo manto, che si presentò a me. Quel giorno avevo dieci anni, e lui tredici. La spada in mano, lo scudo nell'altra e l'elmo che gli copriva il volto. Quell'elmo rappresentava tutto per lui, una corona degna di un re. Aveva il fiatone e gli occhi imbrattati di quella furia devastante che sarebbe stata in grado di spazzare via tutto al suo passaggio. Sapevo bene cosa voleva, ma non gli diedi la possibilità di vittoria che cercava. Lasciai cadere a terra la mia spada e lo scudo, avevo lo sguardo fisso sul suo, con gli occhi fragili di chi si sente in gabbia, senza paura. Con quel gesto disonorai le mie origini, il mio popolo, chiunque altro mi avrebbe rinnegata, ma non lui.
« Non voglio combattere. » Gli dissi. Semplicemente questo. Qualcosa in lui si era spento, ma non fu una cosa brutta. Lui mi aveva capito, forse era l'unico che l'aveva fatto o ci aveva provato. Io non cercavo la gloria, non volevo essere la migliore, volevo solo scappare da quella realtà così crudele e dura. Sono nata in un periodo di pace, ma il mio popolo aveva a guerra dentro e in un modo o nell'altro, arrivai anche io a combatterla, nonostante l'innocenza, finché non sparì, mi aveva impedito di sentirla. E lui era come me. Anche lui voleva scappare, ma come successe a me fino a quel momento, nessuno se ne era accorto.

You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Mar 06, 2018 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

Ali spezzateWhere stories live. Discover now