nothingness

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Alle 19:37 di sera l'autobus é fermo nel traffico. Il mezzo é vuoto, i led rotti lampeggiano insicuri. Come se avessero sentimenti, certo.
Sbuffo e rivolgo lo sguardo al finestrino. Innumerevoli gocce percorrono il vetro incrociandosi e dividendosi, rotolando, quasi correndo, come ansiose di raggiungere il cemento e annidarsi tra un sassolino e un altro. Fuori la pioggia cade fitta e tagliente, il suo ticchettio rimbomba nel silenzio dell'autobus.

Inizio a pensare, esattamente come faccio tutti i giorni, in ogni minuto libero, contemporaneamente a qualsiasi attività.                                      

É un hobby oramai, un passatempo.                                                                              Rimuginare, riflettere, ragionare, ricordare. É quello che so fare meglio.
Mi confronto, mi pongo opinioni, versioni e punti di vista diversi da sola.
Nella mia testa sono archiviati discorsi e dibattiti con me stessa, pensieri sul mondo, sull'umanità, sull'odio, sull'inutilità e la superficialità delle cose, sul senso della vita, che alla fine é la vita stessa. Perché il fine di ogni cosa che facciamo é sopravvivere, perlomeno. Sono le nostre scelte, le nostre passioni, emozioni, esperienze che rendono la sussistenza, vita vera.

Abbandono i miei pensieri esistenziali dai grandi orizzonti. Penso a mia madre, che vuole tagliarsi i capelli e tingerli di lilla. Lei che vuole iniziare a vivere a 58 anni, lei che vuole fare quello che le pare, che vuole essere libera dalla libertà stessa, comprimente.

Penso a Juliet, che ogni giorno mi prende per il polso e mi porta in bagno e mi abbraccia mentre sono in lacrime, che mi sgrida quando dico che devo smettere di esternare le mie emozioni spiegandomi che è normale perché non sono un robot e ho bisogno di buttare fuori tutto ciò che ho dentro. Penso a lei, che c'è sempre e comunque.

Penso a Phoebe che senza sapere tutta la verità, vedendomi solo una volta a settimana, é la corrente che mi aiuta a salire di quota, che mi soccorre quando inizio a cadere in picchiata, che mi sostiene quando sono al limite delle forze e le mie ali non si muovono più.

Ali. Ali, che erano il mio desiderio più grande durante la mia infanzia. Passavo i miei pomeriggi dondolando i piedi, con le gambe tra le ringhiere del balcone, con gli occhi rivolti al cielo e alle rondini che lo attraversavano. Sognavo di essere una di loro, di poter spiccare il volo e planare libera in mezzo alle nuvole bianche e spumose, di poter osservare dall'altro le case grigie e tristi che tanto odiavo, abbandonare la città e sorvolare mari e montagne.

Penso ai miei giorni, monotoni e non vissuti, vuoti. Ultimamente sono io la prima che non vive, sopravvive. Non provo emozioni, non rido genuinamente da mesi.

Penso a me, con la schiena poggiata contro le mattonelle fredde del bagno della scuola, a piangere, mentre qualcuno bussa alla porta per chiedermi come sto. 

Penso a me e a quanto mi senta irriconoscente, egoista e inutile. Penso a me che piango per problemi che probabilmente non esistono in confronto a quelli di altri bambini nel mondo. Penso a me, insicura, depressa da far schifo, nervosa, nevrastenica  e antipatica. Penso a me che mi pento perennemente di tutto, che odio tutto di me. Penso alla mia sensibilità presa per vittimismo e debolezza.

Penso a me, egoista, come dicono in molti.                                                              Penso a me, sfigata, come urlano in molti.                                                              Penso a me, asociale, come bisbigliano in molti.                                                         Penso a me, secchiona, come sogghignano in molti.

Poi penso a me, carina, dolce, sincera, intelligente, come sostengono in pochi.
E alla fine penso a quei pochi, che sono più importanti di quei molti.
E penso alla piacevolezza di avere la possibilità di risolvere i propri problemi e le proprie debolezze, pensando appoggiata al finestrino freddo e appannato di un autobus.

Le mie labbra i piegano inconsciamente in un sorriso, naturale, spontaneo, sincero. 

Le gocce sul finestrino, oramai appannato dal mio fiato, hanno quasi tutte raggiunto il cemento. 

L'autobus riparte con un rombo che fa spegnere definitivamente la luce tremolante. 

Una lieve sfumatura di arcobaleno si intravede tra le nubi diradate.

Il temporale è passato.

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