Il buon senso viene dall'esperienza, anche se l'esperienza la fai quando non hai buon senso.
-The Mechanic, Professione assassino
Dedicato a Nath
La voce di Lisa mi aveva svegliata da un sonno privo di sogni.
Mi aveva detto che erano le 5:30 del mattino e mi aveva spiegato come lei dovesse rientrare a casa e prepararsi per andare al lavoro. Io avevo aperto gli occhi con fatica e, spostandomi lentamente dalla posizione scomoda in cui mi ero addormentata, mi stavo chiedendo dove mi trovassi, osservando la fioca luce del giorno attraverso le piccole finestre poste in alto.
Accanto a me c'era un tavolino ricoperto di oggetti. Lo avevo osservato una manciata di secondi. Appoggiati su questo c'erano accendini, cartine, filtri, un posacenere, grinder, mezza noce di cocco e altri oggetti vari, tra cui anche un pacco di biscotti e una bottiglia d'acqua piena per metà. In particolare però mi ricordo di una sigaretta confezionata, aperta e privata del tabacco, abbandonata nel posacenere assieme a diversi mozziconi, che mi fece pensare alla prima volta in cui ne avevo vista una e non avevo capito.
Piano piano ero diventata consapevole di trovarmi a casa di Gianluca, mi ero ricordata del perché e quindi di cosa fosse successo la sera prima. Con calma avevo iniziato a riflettere, alzandomi dal divano sul quale mi ero malamente addormentata.
Di fianco a me, stravaccato, c'era Bullo, il cane di Gianluca - un bel Bull terrier incredibilmente affettuoso. Muovendomi mi ero poi accorta di un altro dettaglio: ero avvolta da una coperta. Non mi ricordavo come fosse finita lì e avevo concluso fosse stato Gianluca a coprire me e Lisa probabilmente già addormentate durante la notte.
Quest'ultima aveva interrotto bruscamente i miei pensieri, dicendomi nuovamente che lei doveva andare, ma che io potevo tranquillamente rimanere a dormire, mandandomi temporaneamente in uno stato d'ansia. Avevo spalancato gli occhi e, cercando di svegliarmi psicologicamente, mi ero finalmente alzata in piedi, farfugliando che sarei andata subito con lei. Non avrei mai potuto lasciarla tornare a casa da sola e non osavo ne avevo alcuna voglia di rimanere lì. Senza contare che alle 9:00 avrei dovuto presentarmi anche io a lavoro.
Avevo cercato la calma negli occhi della mia compagna, ci eravamo guardate e scambiate un breve sorriso, rassicurandoci a vicenda. Avevo poi osservato il letto matrimoniale posto dietro al divano, notando Gianluca e Sara dormire beati.
Avevo cercato velocemente le mie cose, presa improvvisamente dalla fretta. Avevo afferrato lo zaino, assicurandomi preoccupata che ci fosse il telefono nel taschino anteriore di questo. Mi ero accorta di come, nonostante avessi dormito sicuramente più di un'ora, da quando ero piombata nel sonno ad allora, sembravano passati poco meno di dieci minuti.
Mi ero infilata svelta la giacca, scrollandomi di dosso meglio che potevo i numerosi peli di bullo rimastimi sui vestiti. Lo zaino in spalla, avevo focalizzato di nuovo la mia attenzione su Lisa: stava finendo di prepararsi e se non sbaglio le avevo chiesto inutilmente se fosse pronta. Avevo aspettato, nel frattempo che l'ansia aumentava, forse per paura che fosse in ritardo per causa mia o per qualche altro inesistente motivo.
Dopo aver recuperato tutto avevamo deciso di piegare in modo ordinato le coperte che ci erano state prestate. Lo avevamo fatto in due, un po' come mamma e figlia con le lenzuola troppo grandi per essere piegate da una sola persona. Avevo pensato a casa mia, non riuscivo ad accorgermi di quanto mi mancasse.
Finalmente pronte a partire, ci eravamo soffermate in silenzio ad osservare le figure di Gianluca e Sara abbandonate sotto alle coperte, finché Lisa non aveva dato voce ai miei pensieri, chiedendomi se fosse il caso di salutare, perlomeno Gianluca. Io avevo annuito, era giusto e almeno Lisa doveva per forza farlo, credo ne avesse bisogno.
La mia compagna si era quindi avvicinata al letto incastrato nell'angolo del monolocale. Io nel frattempo avevo iniziato a guardarmi attorno, cercando di distrarmi e accorgendomi di avere la vista annebbiata. Mi ero chiesta se fosse colpa degli occhi stanchi o della cappa di fumo forse non ancora scomparsa, che si era creata qualche ora fa per via delle finestre chiuse.
Ero tornata ad osservare Lisa, aveva svegliato il nostro amico scuotendolo leggermente ed era china su di lui. I due parlavano, sentivo abbastanza distintamente ciò che si stavano dicendo. Lei gli stava comunicando la nostra imminente partenza, ringraziandolo e ridacchiando, forse per la sua faccia assonnata.
Ad un certo punto avevano smesso di parlare e avevo capito subito cosa stava succedendo. Avevo sorriso tra me e me, tornando poi seria e iniziando nuovamente a guardarmi attorno. Avrei voluto dargli la giusta intimità, Sara dormiva ed io ero lì, in piedi in mezzo al nulla. Mi ero sistemata lo zaino sulle spalle ed ero rimasta con le mani appese alle bretelle, lo sguardo perso e i pensieri confusi che iniziavano a diventare troppi. Sembravo ad una bambina. Non pensavo più di tanto a Lisa e a Gianluca, era più un vagare tra i ricordi, forse dovuto ancora all'effetto di ciò che avevo fumato.
Dopo un po' avevo sentito i due interrompersi e Lisa credere di sussurrare senza che sentissi qualcosa che centrava con la mia presenza alle sue spalle. A quel punto avevo deciso di intervenire, perché non c'era proprio nessun problema, avrei aspettato ancora facendo finta di niente, senza battere ciglio. Così avevo parlato, dicendo che potevano tranquillamente continuare, di non fare caso a me, non volevo rovinare il momento. Lisa aveva ridacchiato, credo imbarazzata.
Dopo quel breve scambio di battute avevo aspettato ancora, per un tempo indefinito che non ricordo, dedicando la mia attenzione a tutto ciò che mi circondava, esclusi i miei due amici. Questo nonostante la mia soglia di concentrazione fosse minima e assuefatta.
Quando Lisa si era alzata e si era voltata a guardarmi, aveva stampato in viso un sorriso raggiante, che non sapevo ancora sarebbe durato tutta la giornata.
Toccava a me salutare e, vista la situazione, non mi sembrava il caso di baciarlo sulla guancia. Così lo avevo salutato con la mano e lo avevo ringraziato sorridente, per l'ospitalità, ma soprattutto perché mi aveva insegnato tanto e lo avrebbe fatto anche in futuro, seppur indirettamente. Da lui avevo imparato nuove cose ed avevo ampliato la mia visione del mondo, avrei capito dopo che erano cose sbagliate, ma proprio grazie a questo ero cresciuta. Ed era per questo che dovevo ringraziarlo. Mi ero chiesta poi, se un giorno sarei mai riuscita a sdebitarmi con lui.
Dopo altre parole biascicate, comprensive di svariati "... Ci si vede...", io e la mia compagna avevamo imboccato le scale e aprendo la pesante porta eravamo uscite all'esterno.
L'aria fresca e pungente del mattino era penetrata nei miei polmoni con prepotenza, inebriandomi e aiutandomi a sgombrare la mente confusa. Il cielo era chiaro, la debole luce dell'alba non ancora avvenuta aveva colpito i miei occhi, facendomi sbattere le palpebre più volte.
Mi ero voltata verso Lisa e lei aveva fatto lo stesso. Ci eravamo scrutate in silenzio, non avevamo bisogno di parole io e lei, i nostri occhi parlavano una lingua silenziosa, che solo noi due eravamo in grado di sentire. Non capivo e non sapevo perché, ma a volte ero sicura di riuscire a leggere nel suo sguardo parole, di sapere con certezza a cosa stesse pensando. E lo stesso valeva per lei.
Finivamo spesso a dire le stesse cose nello stesso momento, i nostri pensieri a volte parevano legati da fili invisibili che qualcuno si divertiva a tessere tra di noi.
Era felice, ma quello lo avrebbe capito anche uno sconosciuto, ed era tante altre cose in quel momento, che forse nemmeno sapevo spiegare, ma che capivo. Ci eravamo scambiate un sorrisetto stanco e un breve cenno, per poi iniziare il cammino verso casa.
Ancora non sapevo che di avventure simili ne avremmo fatte tante in quel periodo e che tutte sarebbero servite, più tardi, a diventare quello che siamo oggi. Siamo due amiche, due compagne di vita dal rapporto solido e profondo, capaci di sostenersi nei momenti difficili, che sono cresciute tanto, ma che ancora devono imparare molto.
EVA