Il volto del dolore

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Abbiamo tutti i nostri demoni.
Sta a noi decidere se esorcizzarli,
O lasciarci avvolgere dal buio.

L'aria quella sera era tremendamente fredda. La nebbia riduceva la vista a pochi metri più
avanti dei suoi piedi, e le luci dei lampioni davano una colorazione giallastra al paesaggio, come se l'aria stessa fosse malata. Era ormai notte fonda quando Sean uscì dal solito bar. Il passo incerto dato dall'alcool lo costringeva ad appoggiarsi ad ogni muro o ringhiera che trovava, e la vista appannata non aiutava di certo. La città a quell'ora era completamente deserta; Il silenzio era spezzato solamente dal suono del vento che correva nelle strade senza persone ne automobili, e dai suoi passi che rieccheggiavano nel vuoto. Si sedette alla panchina della fermata del bus, piegato dai conati di vomito e dalla testa che girava. "Fanculo. Non reggo più il Whiskey come una volta, hehe" Stava pulendosi la bocca con la manica della giacca, quando notò nella nebbia una figura che lo fissava, immobile come una statua. Nonostante la visibilità ridotta, riusciva a distinguere la figura con insolita chiarezza: L'altezza e la stazza erano le tipiche di un bambino intorno ai 10 anni, il volto era coperto dal cappuccio azzurro della giacca, che correva fino alle ginocchia e si chiudeva su fino al collo. Sotto si potevano scorgere le gambe nude e i piedi scalzi, sporcati dal fango e dall'acqua delle pozzanghere lasciati dalla recente pioggia. "Ehi! che hai da guardare? Non dovresti essere a letto da un pezzo?". Non ottenne risposta, ma il bambino iniziò lentamente ad avvicinarsi. Si sforzò di alzarsi dalla panchina, guardandosi intorno per cercare i genitori di quel ragazzo, o quantomeno qualcuno che si occupasse di lui al posto suo. Non vedendo nessuno, si decise ad andargli incontro, sbuffando ad ogni passo. "Ragazzino senti. Non ho voglia di starti dietro e cercare i tuoi genitori. Quindi perchè non suoni alla casa qui di fronte e vedi se possono aiutarti?" Il ragazzino sembrava non udire nulla di ciò che diceva. Era a pochi metri da lui quando ebbe un giramento di testa, e chiuse un istante gli occhi per cercare di riprendere il controllo del suo corpo ed evitare di cadere. Riaprì gli occhi, e il ragazzino era sparito, volatilizzato nel nulla come se la nebbia lo avesse divorato. Scosse la testa per cercare di capire cosa fosse successo in quella manciata di minuti, e sopratutto per capire se fosse un brutto scherzo del Jack Daniels. Nel momento in cui si arrese per riprendere il cammino verso casa, avvertì un dolore lancinante allo stomaco, come se un lungo coltello stesse lentamente affondando nella sua carne. Sean cadde in ginocchio imprecando contro Dio e quello stramaledetto alcool, anche se quel dolore era completamente diverso dai soliti crampi a cui era ormai abituato. Improvvisamente un peso schiaccio le sue spalle placando di colpo le fitte allo stomaco, e a pochi centimetri dal suo volto rivide quel bambino, a cavalcioni su di lui. Era così vicino da sentirne il respiro sulla pelle, ma nonostante ciò non riusciva a scorgere il suo volto. L'unica cosa che poteva vedere, era una viso vuoto, come quello di un manichino, che con voce flebile sussurò "Cosa ti lacera da dentro senza lasciare ferite?". L'uomo restò pietrificato, come se ogni singolo muscolo e nervo del suo corpo si fosse fossilizzato in quell'istante. L'ennesimo giramento di testa fece scomparire quel bambino nella nebbia, lasciando Sean accasciato al suolo completamente incapace di muoversi. Non era il dolore ad impedirgli di muoversi, nemmeno quel ragazzino, o creatura che fosse. Ne quelle sue parole così enigmatiche. Ciò che lo lasciò completamente paralizzato dalla paura era la sua voce, una voce che non sentiva da troppo tempo e che non pensava di poter udire mai più. "Kyle.." fu in quel momento che Sean riprese coscienza di se. Si rialzò , e nel panico corse a casa, tra i giramenti di testa e le innumerevoli cadute per colpa del troppo alcool.

Dopo diversi minuti riuscì ad arrivare a casa. Cercò nelle tasche le chiavi e annaspando per la corsa riuscì ad aprire la porta, puntando dritto alla camera da letto. Si accasciò sul materasso ripensando a ciò che era successo. Non poteva essere vero, non doveva essere vero. Probabilmente aveva perso i sensi e immaginato tutto. Suo figlio era morto da ormai 5 anni, in quella fottutissima notte dove l'ennesima sbronza si era trasformata in un frontale con un muro a 130 km orari. Il senso di colpa lo lacerava ancora, e probabilmente quella era solo l'ennesima pugnalata. L'alcool lo fece crollare in un sonno agitato e privo di pace, popolato di incubi che a stento riusciva a sopportare. Si svegliò di soprassalto, non per colpa degli incubi, ma per un peso che gravava sul suo torace. Lui era li, di nuovo, privo di volto ma bravissimo nel far trasparire la sua angoscia. Sean cercò di alzarsi e scappare, ma era come ancorato al letto. L'essere fece segno di no con il dito. "Direi che è arrivato il momento di fare due chiacchiere, non credi?". Sean cercò di divincolarsi ma il suo corpo non rispondeva a nessuno dei suoi ordini, decise quindi di arrendersi e affrontare quella cosa, qualunque essa fosse. "Chi sei? E che cosa vuoi da me?". L'essere si inclinò leggermente verso di lui, il volto vuoto a pochi centimetri dal suo lo rendeva estremamente nervoso, ma per qualche strana ragione non aveva più paura, nonostante la totale follia di quella situazione.
"Sai benissimo chi sono, non serve che sia io a dirtelo"
"PIANTALA CON LE TUE STRONZATE E DIMMI CHI CAZZO SEI"
Ci fu un attimo di silenzio prima che il ragazzino iniziasse a parlare.
"Sono tutte le lacrime di tua moglie, ed ogni urlo di rabbia che hai lanciato negli ultimi 5 anni. Sono le notti passate ad affogare nell'alcool, e i giorni chiuso in casa ad autocommiserarti. Sono le ultime parole di tuo figlio Kyle, quelle parole che non vuoi ricordare ma che non riesci a toglierti dalla testa." Dov'è il papà? Perchè non è qui con me?
La voce di suo figlio rieccheggiò in tutta la stanza, lasciando Sean a bocca aperta e senza fiato. "Riesci a sentirle Sean? Ricordi con quale rabbia Carol te le disse davanti alla tomba di vostro figlio? Io sono tutto questo. Sono il senso di colpa che corrode la tua anima ogni giorno fino a consumarla completamente"Sean non riusciva a realizzare niente di ciò che stava sentendo. Il suo senso di colpa? Davvero poteva accadere una cosa simile? Era tutto troppo reale perchè si trattasse solo di un allucinazione. Si arrese a quella situazione. Se l'unico modo per liberarsi di quella cosa era affrontarla, allora lo avrebbe fatto. "Che vuoi che ti dica eh? Vuoi sentirmi dire che mi dispiace? Che sto lasciando andare tutto a puttane perchè non ho la forza di affrontare ciò che ho fatto? Bene, eccoti servito. Ho ucciso mio figlio, non c'è giorno che non mi maledica per quella cazzo di sera" La sua gola si strinse in un nodo indistricabile nel dirlo. Era da quel giorno che non diceva certe cose, e si stupì di quanto quelle parole facessero tremare la sua voce. "Oh lo so Sean, ero accanto a te ogni volta che lo facevi. Ma non sono qui per quello, lo sai bene" L'essere si diede una leggera spinta in avanti, fino ad arrivare a pochi centimetri dal suo volto. La sua mano fredda e cadaverica si avvicinò alla guancia di Sean, sfiorandola debolmente. "Perchè non sei mai andato a trovarlo? Perchè hai lasciato che Kyle morisse in un letto di ospedale senza mai poterti vedere?" Sean voleva evitare quel discorso, non riusciva ancora ad ammettere a se stesso di aver fatto una cosa simile. Alzò la testa il più possibile, fino a toccare il volto vuoto e liscio di quella cosa.
"Perchè non riesco a vedere il tuo volto?"
"Potresti, ma non vuoi farlo" Non riuscì a capire il senso di quelle parole.
"Perchè non vorrei farlo?"
"Perchè sai che mi riconosceresti, Sean." Le vene sulla sua fronte iniziarono a pulsare di rabbia. Quel gioco lo aveva stancato ormai.
"E' morto. Smettila di tormentarmi" L'essere si avvicinò lentamente al suo orecchio, come se avesse realmente una bocca dalla quale poter sussurare.
"Ammainate le vele. Si parte Capitan K".
Era ciò che diceva a Kyle ogni sera per farlo andare a dormire. Solo lui e sua moglie potevano sapere una cosa simile. Fu allora che crollò, consapevole del fatto che quella cosa era realmente suo figlio, o ciò che ne rimaneva.
"Kyle.. Mi dispiace, mi dispiace così tanto figliolo". Il volto dell'essere iniziò a mutare, svelando i lineamenti di un bambino dai capelli castani e gli occhi neri, con delle piccole lentiggini sulle guance e l'aria innocente di chi ancora non conosce il mondo.
"Ho pregato così tanto perchè tu ti salvassi piccolo. Ho stretto cosi forte le mani da farle sanguinare, implorando Dio di aiutarti" Kyle si alzò in piedi sul suo petto, guardandolo quasi con disprezzo. "Dio ascolta le preghiere degli uomini solo quando non ha di meglio da fare, e di certo non ascolta quelle delle persone come te" Non riusciva a credere che suo figlio potesse pronunciare parole simili, ma non disse nulla e continuò a guardarlo incredulo. "Sei come tutti i finti credenti Sean, poveri stolti  che trovano conforto nel pregare un Dio che esiste solo quando fa comodo a loro. Non volevo le tue preghiere, volevo solo che tu fossi li con me"
Scese dal suo petto e lasciò che si sedesse. Sean, con gli occhi rigati di lacrime, aprì il cassetto e prese la pistola al suo interno.
"Hai intenzione di farlo davvero papà?"
Girò la pistola nella sua mano, guardandola a lungo prima di rispondere. "Presi questa per difendere te e la mamma. In questo modo salverò almeno lei"
"Stai solamente scappando ancora" Kyle non sembrava contrariato all'idea che volesse uccidersi. A dire il vero sembrava che non provasse nulla, in ogni istante, ogni parola. Era come un fantoccio di carne incapace di mostrare emozioni. Sean puntò la pistola alla tempia, guardando Kyle un'ultima volta.
"Perdonami per tutto piccolo mio. Non sono stato un buon padre, ne un buon marito, ho solo fatto soffrire chiunque si avvicinasse a me. Addio Kyle"
Il bambino lo guardò dritto negli occhi. Una lacrima scese dai suoi occhi innocenti mentre lo salutava con la sua piccola mano. " Avanti tutta, marinaio".
Sean premette il grilletto.

Bianco.
Silenzio.

I corridoi dell'ospedale erano un continuo via vai di persone. Malati e visitatori entravano e uscivano dalle varie stanze tutte uguali. In una di queste, una donna dai capelli corvini parlava con un medico, il volto rigato dalle lacrime e la voce rotta dai singhiozzi. "Purtoppo signora, quando una persona si trova in una situazione simile, il corpo subisce un lento declino che peggiora man mano che la condizione persiste. Suo marito era in coma da ormai cinque anni, e i danni provocati dall'incidente e dall'alcool erano troppo consistenti. Il cuore faticava da tempo a pomapre il sangue nell'organismo, e non ha retto ad un ennesimo infarto. Le mie più profonde condoglianze, Signora Connor."
Carol si girò verso suo figlio. Dal giorno dell'incidente, Kyle era venuto ogni giorno a trovare suo padre, stando con lui fino alla fine dell'orario di visita. A volte si spingeva con le braccia dalla sedia a rotelle al letto, per sdraiarsi accanto a lui ed abbracciarlo. Non ha mai provato rancore per suo padre, nonostante la colpa fosse interamente sua e del suo vizio del bere.
Ora stava li, a fissarlo con lo sguardo vuoto che un bambino di quindici anni non dovrebbe mai avere, e le mani che non riuscivano a staccarsi da quella del padre. Si avvicinò inginocchiandosi al suo fianco "Tesoro dobbiamo andare. La mamma deve preparare le cose per il funerale di papà" Kyle si girò, le lacrime avevano arrossato i suoi occhi al punto che faticava a tenerli aperti. Fece cenno di si con la testa, senza emettere un suono.
Carol lo spinse fuori dalla camera verso l'uscita dell'ospedale.
E il sole che splendeva quel giorno, non era mai stato così privo di calore.

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