Ho acceso la quinta sigaretta, in quanto? Mezz'ora, forse? Poco importa. Sto aspettando che qualcuno esca da quella fottuta porta mandando buone notizie, ma l'unica cosa che faccio bene è fumare. Fumare, fumare, fumare. Oltretutto mi fa schifo l'odore della nicotina, eppure è l'unica cosa che mi riesce quando avrei solo voglia di morire. Fa schifo sentirsi praticamente inutili quando vorresti essere lì, a tenerle la mano.
La gente passa e mi chiede "come stai'' e io non so che dire, perché mi sento male al pensiero che possa non andare tutto per il verso giusto, ma dall'altra mi sento uno schifo perché ho anche il coraggio di pensare certe cose tipo quelle. È la nona, decima persona probabilmente che non capisce il male che provo a vedere Marie in quello stato, se mai me la faranno vedere. per il mio bene, ma forse più per quello degli altri, fingo un sorriso e tengo vivo quel briciolo di speranza che ho conservato per me.
Ho quasi perso la speranza, perché sono ore che la aspetto accovacciato al muro con la testa fra le gambe. Mi aveva promesso che sarebbe tornata a farmi sorridere e lei è una di quelle che mantiene le promesse. Da quando la conosco mi ha sempre promesso tutto il bene del mondo, un po' come ho fatto io per lei; la differenza, però, è che lei mi ha dato tutto e io non posso darle nulla. Ma nulla davvero.
'lei è qui per Marie?' dice una voce dietro di me. si, si, tutto ciò che vuole se posso vederla.
'si signore' rispondo, pronto a scattare in piedi per qualcosa di buono o a morire di solitudine nel caso i miei pensieri negativi abbiano fatto breccia anche sulla mente del dottore.
'chi è lei? Un parente? Il fidanzato?' continua.
'sono il ragazzo di Mary, ora posso vederla?' pessima, davvero pessima bugia. Avrei voluto anche aggiungere un -nei miei sogni-, ma sarei risultato pazzo. O forse lo sono, sul serio.
'non ce l'ha fatta.' Mormora l'uomo in camice bianco sulla quarantina, mentre il capo si muove lentamente verso il basso. Si è arreso. Del resto come sto facendo io, credo.
L'unica cosa che ho la forza di pensare è qualcuno che possa trascinarmi fuori di lì, ma nessuno vuole farlo, così scivolo lentamente sul muro appena dietro a me, dove poco prima avevo appoggiato la testa e avevo lasciato la parola al cervello. Voglio morire, anzi, mi sento già morire.
'non ce l'ha fatta.' Quattro fottute parole che risuonano nella mia testa come i tamburi nelle bande musicali prima di una partita dei Maple. È morta. La mia Marie è morta prima che potessi farla mia per sempre. Lei è morta. È morta di leucemia. Ed io ancora non ci credo, non voglio e non posso farlo. Aveva detto che sarebbe tornata, lei non dice le bugie, non ne sarebbe capace. Lei è la mia piccola Mary, lei è fin troppo innocente per rimanere qui.
Con le ultime forze che mi rimangono in corpo e quel minimo di lucidità che ancora posso controllare, torno a casa, distrutto, stanco e impaurito. Rivoglio la mia Mary.
'Justin?' mormora qualcuno che mi pare sia la mamma.
Non riesco a pronunciare nemmeno una parola, ad emettere alcun suono. Sento solo qualche gocciolina calda bagnarmi il viso e la maglietta, mentre un paio di mani mi avvolgono e mi fanno sentire protetto.
Salgo in fretta su per le scale, e ancora con il viso pieno di lacrime di quella che è la giornata peggiore della mia vita, mi stringo nelle coperte e chiudo gli occhi, assaporando quell'odore inconfondibile che sa di lei. Mi addormento dopo qualche minuto appena, con la sua migliore immagine da viva che potessi ricordare.
'dove sei piccola? Mi manchi.'
Quando apro gli occhi un'aria fresca e pungente mi accarezza il viso, ancora un po' umido. Mi alzo di scatto, quasi come se potessi scappare da questa vita. Il ricordo di ieri è ancora vivido nella mia testa, non pare se ne voglia andare, così lo lascio fare. Mi cambio in fretta, mi vesto di scuro, come farò per il resto della mia vita, e vado dai suoi genitori.
Gli occhi scavati dalle lacrime della madre e il viso pallido, quasi da morto, del padre, mi terrorizzano più di quanto già non fossi, e spero tanto che questo incubo finisca presto. Mi accolgono in casa con un forte abbraccio e mi trascinano senza dirmi nulla nella sua camera. È ancora intatta, la stessa dell'ultima volta. La stessa di quando l'ho baciata e le ho detto che l'amavo. La stessa di sempre, quella che sa di lei. Il suo profumo inconfondibile impregna l'aria e giurerei quasi di sentire ancora la sua risata contagiosa che vaga nel buio dell'atmosfera. Mi accascio a terra, piangendo ancora più forte. La signora Dubouse mi sembra sia uscita dalla camera, ma ormai non mi interessa più niente.
Dopo ore che sembrano infinite, mi intimano ad andare a casa, perché forse i miei genitori mi stanno cercando. Saluto di nuovo quel posto ormai fin troppo sconosciuto e torno a casa. I mei genitori, al contrario di ogni supposizione, non ci sono. Ma d'altronde, come biasimarli, nessuno vorrebbe sentirmi morire. O forse sono solo io a sentirlo?
"dove sei, piccola? mi manchi." ripeto.
Guardo lentamente ogni singolo taglio sul mio polso, ogni cicatrice guarita col tempo, ogni segno di battaglia rimarginato grazie a lei, che piano piano si riapre, perché lei non c'è più. Quella lametta, che un tempo avevo riposto nel ripiano più alto del bagno, è appena tornata nelle mie mani, e so che forse non dovrei, ma un po' me lo devo. Prendo anche quella scatolina arancione un po' grande, che lei mi aveva detto di buttare ma che io non ho fatto, semplicemente perché non potevo, non ero pronto per queste cose e probabilmente non lo sono nemmeno ora. E so che sembra stupido ma è l'unica cosa che mi rimane da fare.
"sto arrivando Marie, perché voglio mantenere questa promessa, perché voglio farti vedere che grazie a te sono cambiato, perché TU mi hai cambiato, capisci? E poi, piccola, perché ti amo", urlo, almeno qualche attimo prima di ingoiare quelle pillole e finalmente di raggiungerla. 'aspettami' è l'unica cosa che ho il tempo e la forza di dire.
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wait for me
FanfictionL'amava così tanto che l'avrebbe raggiunta in qualsiasi posto per starle accanto.