Rosa fissava il vuoto e il vuoto pareva fissarla. Quel buio le era entrato dentro, di soppiatto, un po' per volta, un po' per caso. Un sasso le si era piantato nello stomaco, la nausea le toglieva la fame, da ore. Il viso era candido, quasi cadaverico, ed esternava il suo dolore. Senza volerlo piangeva, con una manica della felpa sgualcita si asciugava quelle lacrime salate e irrispettose di lei, della sua vita. Fingeva d'esser stressata per lo studio, affaticata, ridotta uno straccio per le ore di sonno perse. Sapeva fingere perfettamente, un'attrice degna del suo ruolo da protagonista. Quei polsi chiari, colorati solo dalla trama unica delle vene violacee, erano diventati una vita di fuga da quel malessere, una tela su cui dipingere il suo dolore. Era un dolore acuto, un dolore estraneo ma così familiare e profondo da farla morire. Non ricordava d'esser mai stata male come quella sera di primavera, quando il mondo intero, con tanto di sistema solare, le era ricaduto sul collo e glielo aveva spezzato. Non era pronta ad essere abbandonata, come una bimba in un parco immenso, ad essere accantonata sul ciglio della strada ad aspettare che lo stesso pullman passasse di nuovo. Si sentiva svuotata d'ogni sentimento dolce, caldo, accogliente che aveva provato fino a quel momento. Per qualche tempo s'era illusa che la sua vita potesse cambiare, che ciò che da tanto attendeva si fosse compiuto, che fosse stato appagato finalmente quel suo desiderio, quella sua brama. Ma come di consueto si sbagliava, un ostacolo apparentemente insormontabile s'era appostato tra lei e la sua felicità effimera. Avrebbe voluto abbattere quel muro, gridare che non gliene fregava un cazzo dei problemi, del dolore, della tristezza perché con lui tutto risplendeva come mai aveva fatto. L'aveva sussurrato forse, ma il muro non aveva nemmeno traballato. Solido e imponente la derideva, la canzonava e la scrutava. Si era chiusa come un mollusco dentro la propria conchiglia ad affliggersi, senza mai spiare il cielo. Annaspava in quell'oceano immenso che è la vita, così lunga da non esserlo mai abbastanza. Aveva paura che tutto venisse cancellato, distrutto, quel tutto che aveva impiegato mesi a crearsi. Quella felicità indescrivibile che l'aveva pervasa, ora si stava tramutando in un dolore persistente. La sua mente la spingeva sull'orlo, lei cercava il fondo del burrone senza trovarlo, e riusciva a scappare rifugiandosi in una bella canzone. Aveva pensato di drogarsi, per stare tranquilla, per non stressare il suo corpo già malandato, ma sarebbe stato troppo complicato da spiegare. Così si limitava a scrivere ed osservare, riflettere e ballare, leggere e sognare.
🥀 themomos🥀
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Sulla Vita
General FictionRacconti sul male di vivere d'una teenager qualunque #71 in NARRATIVA GENERALE #198 in VITA