Mi siedo sul divano e chiudo gli occhi.
Qualche macchina sfreccia via in strada e il rumore fa vibrare i vetri della finestra socchiusa.
L'aria è più fredda, rispetto agli altri giorni.
Probabilmente stanotte pioverà.
L'idea di restare a casa, mentre un po' di pioggia cade, mi fa sentire al sicuro.
Una folata di vento spinge una parte della finestra indietro.
Quel venticello fresco punge le mie guance in fiamme post-doccia.
Accendo la tv, cerco un film e lascio su uno con Julia Roberts.
Poi ricambio.
Poi torno indietro e lo rimetto.
So già che non seguirò nulla del film.
Ti scrivo, nel frattempo:
"Ci metterai tanto ad arrivare?"
"Sto cercando parcheggio."
Chiudo whatsapp e ti chiamo.
Bussa due volte, poi sento "Cazzo" dall'altra parte del telefono.
Rido, immaginandoti nervosa perché una smart ha parcheggiato malissimo.
"Scusa" ti sento urlare "E' che non capisco mai se sto telefono è collegato alla macchina."
"Perché urli?"
"Ah, allora è collegato." dici, "Comunque smettila di ridere"
"Chi sta a ride?"
"Ma vaffanculo va'"
"L'hai trovato posto? Vuoi na mano?"
"Nel senso che me sposti le macchine?"
"Ti ci vuole ancora tanto?"
Chiedo, nuovamente ma non sento risposta.
Dico il tuo nome più volte, poi guardo il telefono e mi accorgo che è caduta la linea.
Mi mandi un messaggio vocale qualche secondo dopo:
La stronza del primo piano mi ha lasciato il posto. Aprimi, arrivo.VERONICA
Mi aspetti sulla porta, scalzo e a maniche corte.
A Roma sentono tutti più freddo, tranne lui che pensa di stare ad Honolulu.
-Come è andata a lavor- faccio per dirti, prima di dover finire la frase sulle tue labbra.
Mi lasci andare e mi dici bene, che è tutto ok.
Chiudi la porta.
Cammino verso il salone, e sento i tuoi passi dietro di me.
-Ma non c'hai freddo?- dico, stringendo un pezzo di stoffa della sua t-shirt.
Mi dici di no, mentre cerchi le mie mani.
Non c'hai mai freddo, tu.
Me le stringi, le mani.
E poi me le baci.
E le sento pulsare, sotto la tua stretta.
-Tu come stai?-
-Sto meglio- rispondo, sorridendo.
Mi lasci le mani e mi guardi quasi come se volessi cercare conferma nei miei occhi e nel mio sguardo.
Ma io sto davvero meglio, adesso.
Ciò che hai visto la scorsa settimana, non ce lo troverai oggi.
Mi hai raccolto col cucchiaino.
Mi hai permesso di piangerti sulla spalla, nel tuo camerino, tra i tuoi spazi.
Non ti ho nemmeno chiesto il permesso.
Sono entrata nei tuoi spazi e tu, ti sei spostato: mi hai fatto spazio.
E mi hai stretto a te.
Non mi hai chiesto niente.
Sapevi già del mio dolore, e di cosa potessi provare dopo aver saputo di aver perso un amico.
Avrei voluto evitarti altri pesi.
Avrei voluto evitarti altri pensieri.
Mi sarei opposta.
Ma più provavo ad oppormi, più sentivo la tua pelle sulla mia.
E allora curami.
Lo vedi che sto meglio?
E' per questo che probabilmente sorridi e mi baci, dolcemente, adesso.
Cammino all'indietro e mi lascio guidare da te.
Mi pesti un piede mentre ci muoviamo.
-Scusa- mormori, a bocca aperta.
Ti dico che non fa niente, di lasciare stare.
Sento una sensazione di pace dentro di me.
Sento il sangue scorrere nelle vene.
E lo sento davvero, quando raggiunge le dita dei piedi.
Mi sfiori le gambe.
Le baci.
E i baci raggiungono ogni angolo di me.
Attraversano il tessuto della camicetta che ho ancora addosso, e i tessuti della pelle.
Li sento, intrusi, farsi spazio dentro me.
Vanno piano, ma non rispettano gli incroci, quei baci.
Si schiantano nel petto e ti mangiano il respiro.
Sei convinta di morirci, e invece, pensa che stronza, ti restituiscono tutto.