1. Bile

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La sera in cui mi abbandonasti mi distesi nella bile e piansi tutte le mie lacrime, i capelli sul volto impregnati di sudore e vomito e il sangue sotto le unghie. Sentivo il tuo tocco, dannatamente leggero e attento, sul volto e sulle braccia, mentre staccavi la mia lanugine come batuffoli di cotone, rendendomi inerme. Quella sera mi distesi sul pavimento e piansi, mentre contavo i numeri, cercando di far tornare i conti.

Giorni prima parlavamo assieme di cosa saremmo diventate, di come saremmo diventate. Il ricordo di come mi tenevi i capelli mentre vomitavo poesie mi cullava, sussurrandomi cifre pericolose nelle orecchie e implorandomi subdolamente di essere spaventata. Cos'ero senza paura, senza brividi? Cos'ero senza te?

Il tuo fantasma sembrava entrarmi nelle ossa, facendomi tremare, mentre i succhi gastrici si mescolavano con le pillole e con l'alcool. Infilasti le unghie nella pelle tesa attorno alle clavicole, e, mentre mi dicevi di non urlare, trapassavi la mia carne con le falangi, circondando la diafisi delle ossa di cui eravamo tanto innamorate e lacerando lo sternocleidomastoideo. Ricordi come da piccole facevamo a gara a chi lo diceva più velocemente? Sembravamo amare essere in continua competizione. Ci avevano detto che ben presto ci saremmo fatte male, ma avevamo la cera nelle orecchie e ci immaginavamo sedute sul podio - alla fine, saremmo state troppo stanche per reggerci in piedi.

Quella sera mi cucisti le labbra con lo stesso filo dorato con cui ti avevo insegnato a ricamarti i palmi delle mani, perché odiavi il mio modo di canzonarti ripetendoti come la sindrome di Boerhaave ha un tasso di mortalità del cento per cento se rimane incurata, che scende al venticinque per cento se operata entro ventiquattro ore, di affermare che io me ne ero accorta, di affermare che io sapevo. Affermavo di averti avvertita, ma come potevi credermi? Ti esploderà l'esofago, ti dicevo.
Chiunque mi avrebbe dato della pazza.

Nella mia follia sostenni che poche settimane prima la nostra nemica mi aveva fermata dal bere la candeggina, senza accorgermi che avevo gli occhi così appannati da non riconoscere, nell'efebica figura appoggiata al muro della cucina, i tuoi tratti dolcemente marcati, occhi grandi e marroni e capelli corti tagliati durante uno scatto d'ira. Quella sera l'ipoclorito di sodio era troppo in alto, ed io ero troppo stanca per alzarmi. Mi chiesi, tra i conati, perché fossi così debole.  Forse ero debole perché avevo tentato di sembrare forte per mesi perché mi avevano detto di fare così perché tu avevi bisogno di una persona alla quale appoggiarti ma io non ero abbastanza brava a tenerti ed è per questo che sei scivolata via.

Quella sera mi strappai la pelle con la spugna per eliminare gli insetti che mi camminavano sulle braccia. Uscii dalla vasca con le ferite aperte, il sangue sulle gambe e il sudore che mi rendeva tutta appiccicosa e sporca. Nuda, mi rotolai sugli aghi e sulle spine di rosa di cui avevo cosparso il tappeto perché se non senti nulla vuol dire che sei morta ma io ero viva e sentivo dolore.
Quando piangevi assomigliavi ad un quadro di Van Gogh.

Quella sera mi distesi sul pavimento e ricordai ogni singolo dettaglio di me, di te. Di noi. Una ciocca di capelli castani che mi regalasti come mazzo di fiori. Polvere di gesso che cicatrizzò le ferite sulle tue dita quando svenisti alla lavagna. Margherite. Brandelli di pelle e dischi spezzati. Un anello di falangi attorno ad un polso sottile. Pagine di diari e disegni stracciati perché dovevano essere perfetti e non lo erano, e anche noi dovevamo essere perfette ma non lo eravamo. La mia malattia e la tua malattia e la nostra malattia. Desideravamo pillole e siringhe perché facevano parte di un mondo che non conoscevamo. Ottenemmo tutto e tanto di più, ricoveri all'ospedale e sedute psichiatriche. Ottenemmo silenzi e divieti e non potete vedervi e non potete stare vicine perché vi fate del male a vicenda ma forse era quello che volevamo, farci male, perché da sole ci saremmo uccise. Il vuoto nello stomaco di chi non ha il coraggio di risalire nonostante lo voglia con tutto il cuore, o forse non lo vuole ed è per questo che non risale. 

E tutto questo, quella sera, si tramutò in bile.

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Ariadne, John William Waterhouse (1898)

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 22, 2018 ⏰

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