Capitolo 1

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"Siamo tutti esseri umani
che cerchiamo disperatamente
di raggiungere la perfezione,
non accorgendoci di distruggerci
un pezzo alla volta..."

Sarà, ma io a questa cosa che tutti chiamano "amore", non ci credo.
Tutti che leggono libri con una bella storia d'amore e con un bel lieto fine. Io non credo nel lieto fine, non siamo in una favola.
Sveglia!
Siamo nel mondo reale!
Non spunterà un coniglio bianco con un orologio da taschino che ci condurrà nel Paese delle Meraviglie!
Non arriverà una fata che ci farà diventare bellissime e, dopo aver perso una scarpa, non verremo ritrovate dal principe con cui abbiamo ballato, e non vivremo per sempre con lui in un magico castello!
Né, tanto meno, saremo delle sirene che saranno sposate da un principe umano!
Non succederà niente di tutto ciò perché la vita è ingiusta e la fortuna non esiste. E se esistesse... beh, io dovevo essere assente mentre veniva distribuita gratuitamente. Il "e vissero per sempre felici e contenti" non esiste!
La felicità è momentanea, non dura per sempre.
Qualcuno spera anche nell'amore magico che potremmo vedere fra i nostri genitori, o fra i nostri famigliari, e, senza pensare a cosa potrebbero aver passato per ottenerlo, desiderano ardentemente di viverlo anche loro.
Ma non tutti hanno questa fortuna.
Non tutti crescono con due genitori che si amano e che viziano i propri figli.
Non tutti vivono in una casa dove regna la pace, la tranquillità, la gioia e la felicità. Non tutti vivono un'infanzia viziata e colma d'amore familiare.
Non tutti hanno questo genere di fortuna. Non tutti vivono in un sogno divenuto realtà.
Il mondo è ingiusto, la vita è ingiusta e la fortuna bacia solo chi vuole, se mai esistesse.
Ho sempre visto bambini scorrazzare nei giardini, nei prati, fra l'erba alta, con mamme e papà che ridevano con loro e li prendevano fra le braccia, sollevandoli da terra e facendoli volare in aria.
Ho sempre visto le persone vivere veramente, mentre io rimanevo in disparte a guardare il mondo che andava avanti, però senza aspettarmi.
Non penso di essermi comportata male. Non penso di aver sbagliato.
Non penso di essere inadatta a questo mondo, giudice di tutte le vite... non penso e basta.
Non mi è mai stato concesso un mio pensiero. Non mi è mai stato concesso niente.
Ho sempre avuto canoni da rispettare, doveri ma non diritti. La mia voce era inesistente.
Il mio pensiero inutile.
La mia vita imposta e gestita da altri.
Nemmeno i miei comportamenti ed i miei vestiti potevo gestirmeli da sola. Non ho mai avuto voce in capitolo nella mia vita.
Che poi, di mio, non ne aveva niente.
I miei genitori mi hanno sempre vista come una "persona", forse non mi considerano nemmeno tale, che in futuro avrebbe preso in mano le redini del loro duro lavoro, che avrebbe portato avanti il loro nome e la loro azienda.
Non li ho mai visti scambiarsi effusioni d'affetto, mentre di giorno litigavano su ogni minima cosa, anche solo un piccolo dettaglio (secondo me insignificante, ma secondo loro fondamentale come ogni altra cosa... ovviamente al di fuori di me).
I miei genitori si sposarono a Miami quando avevano vent'anni. Mia madre, Elena Revietti, e mio padre, Giovanni Ghiaretti.
Due persone orribili, dal mio punto di vista.
Secondo me non meritano l'onore di essere stati chiamati da me "mamma" e "papà". Secondo me non meritano niente da parte mia.
Mi hanno sempre mandata a studiare in scuole private ed a casa mi insegnavano come bisogna avere un comportamento distaccato, rigido, composto e superiore agli altri.
Mai una dimostrazione d'affetto, solo dure parole (o duri schiaffi, a seconda dei casi).
Da che io abbia ricordo, ho sempre vestito in un determinato modo e partecipato a feste e balli lussuosi. Quasi mai un'infrazione delle regole, quasi mai uno sgarro.
Ovviamente qualche infrazione c'era, ma sempre di poca importanza e che i miei "genitori" non vennero mai a sapere.
Sono stata obbligata a studiare le lingue, perché "bisogna sempre farsi capire per poter farsi rispettare" mi ripetevano sempre.
Ho studiato, oltre l'italiano (mia lingua madre), l'inglese, il francese, il tedesco e lo spagnolo. Gli ultimi due non li uso quasi mai, il francese lo uso poco e l'inglese lo uso sempre, tranne in casa, perché parliamo solo in italiano.
Cambiando città quasi ogni anno, conoscere bene l'inglese è fondamentale.
Una delle cose positive che mi hanno tramandato i miei "genitori" attraverso il DNA (unica cosa, secondo me, che ci accomuna), è il facile apprendimento e la gran memoria.
Nello studio non ho, appunto, mai trovato gran difficoltà.
Ho sempre impiegato la metà del tempo, rispetto ai miei coetanei, a studiare od a svolgere esercizi, di qualsiasi materia scolastica.
Non ho mai potuto avere amici.
Non ho mai potuto parlare con qualcuno al di fuori degli insegnati, della famiglia o di persone scelte dai miei genitori, dovendo comunque usare un determinato linguaggio e parlare di determinati argomenti, tutto ovviamente imposto e supervisionato dai miei "genitori".
Non mi era concesso leggere o scrivere ciò che volevo.
Dovevo sempre fare molti sport e tenere una dieta equilibrata per poter sempre avere un fisico "perfetto", a detta di mia madre.
Alta, snella, con le forme al punto giusto, pulita, in ordine, profumata e con pelle liscia e morbida. Non sono mai andata a fare shopping, mia madre mi aveva "donato" uno stilista personale, una parrucchiera personale ed un'estetista personale (anche se eseguivano gli ordini di mia madre, quindi tanto personali non lo erano).
Potrebbero sembrare cose da principessa delle favole, sempre perfetta esteriormente, ma, nel mentre, mi distruggevano dentro, piano piano.
Non ho quasi mai infranto le regole dei miei genitori, non volevo alimentare il loro fuoco, ma c'era una cosa che iniziai a fare, ovviamente a loro insaputa, all'età di quattordici anni.
Fumare.
Mi sono sempre comprata i pacchetti con i miei soldi e, se fumavo in giro, mettevo gli occhiali da sole e mi alzavo il cappuccio sulla testa, così che nessuno mi potesse riconoscere.
È l'unico vizio che avevo e che ho ancora.
Ho iniziato soprattutto perché volevo trovare sollievo con la nicotina ed un po' perché il fatto di infrangere le regole dei miei genitori, e fumare a loro insaputa, era qualcosa di liberatorio.
Ogni volta che accendevo una sigaretta,avevo una forte scarica di adrenalina, che partiva dalle mani che tenevano l'accendino e si irradiava in tutto il corpo.
All'inizio ero dipendente dalla nicotina e dalla forte crescita di adrenalina, come se il mio corpo producesse la droga di cui ero assuefatto, poi con il passare del tempo mi sono tenuta solo il vizio del fumare.
Cosa che accade ogni giorno.

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