Ebano e avorio

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Ebano e avorio

                                                                                                                     Una notte di agosto del 1998


Aveva scelto quel pub a caso.

L'aveva colpito quell'insegna piuttosto anonima che mostrava un boccale di birra così sbiadito da vedersi appena.

Lui voleva sentirsi allo stesso modo: anonimo e sbiadito.

Un nessuno che camminava e basta.

Era stanco di vedersi costantemente sotto i riflettori, di non poter fare due passi liberamente o uscire come un qualsiasi ragazzo della sua età.

Aveva sempre qualcuno intorno, sempre gente che lo indicava e urlava il suo nome o che correva da lui anche solo per stringergli la mano.

Per colpa sua erano morte molte persone, perché il resto del Mondo Magico non riusciva a vederlo? Perché non riuscivano a vedere che era soltanto un ragazzo di neppure vent'anni che voleva vivere la sua vita come tutti gli altri maghi.

Tu non sei come tutti gli altri maghi.

Quante volte glielo avevano detto, forse troppe, e no, non era come tutti gli altri maghi: si rendeva conto di essere diverso, un fenomeno da baraccone, una cartolina o un trofeo da mostrare.

Persino i suoi amici, ormai, non vedevano altro che il Ragazzo che aveva sconfitto Voldemort.

La bacchetta era stata la sua, certo, ma quanti lo avevano aiutato ad arrivare a quel momento? Quanti si erano sacrificati per permettere quella vittoria?

Quanti si erano sacrificati pur rimanendo in vita?

Continuò a fissare il boccale di birra davanti a sé, il suo, però, non era sbiadito, era ancora pieno, quel bruno quasi nero era ancora lì, e lui non faceva altro che guardarlo mentre pian piano si riscaldava tra le sue dita.

«Allora, hai deciso se vuoi qualcosa da mangiare?»

La ragazza al di là del bancone gli sorrise. Aveva un bel sorriso incastonato in labbra non troppo carnose, di una sfumatura che gli ricordava il vino pregiato.

«Per ora sto bene così, grazie» la liquidò con gentilezza, anche se avrebbe preso volentieri qualcosa: aveva avuto il sentore di patatine fritte fin da fuori il locale, e gli era venuta subito voglia, eppure qualcosa lo aveva spinto a rifiutare.

D'altronde anche la birra giaceva ancora nel boccale.

Aveva perso il conto dei bicchieri che aveva sul tavolo e di quelli che avevano portato via.

Ogni tanto un ragazzo si avvicinava al suo tavolo e lo puliva per poi posare sul legno un altro giro, come lo chiamava lui, con quell'accento che non gli sembrava provenire dall'Inghilterra.

E di giri ne aveva fatti tanti.

La testa aveva cominciato già da un po' ad essere pesante, la vista quasi annebbiata, ma manteneva ancora un minimo di contegno che lo faceva star seduto con una certa compostezza e, soprattutto, gli evitava di guardare il resto degli avventori.

E di parlare.

Di parole nella sua vita ce n'erano state sempre poche. O forse troppe.

In quei momenti, quando l'ebbrezza era né troppa né poca, si chiedeva spesso che senso aveva avuto sopravvivere.

Ebano e avorioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora