Aprii la porta con un tonfo. Guardai il mio collega, il suo sguardo era concentrato nello scrutare la stanza, come se chiunque potesse apparire da un momento all'altro.
Ed era vero.
Saremmo potuti morire in quel esatto istante senza che nessuno potesse salvarci, senza che potessero sentire le nostre grida o le nostre richieste di pietà.
Pensai che fosse alquanto ironico aver corso per oltre quattro chilometri dietro ad un'ombra, dietro a qualcuno che ci aveva appositamente condotti in quel posto.
Solo allora, con il viso paonazzo ed il petto che scendeva e si alzava irregolarmente, realizzai la nostra stupidità nel farci intrappolare.
Continuai a ripetermi che ce l'avrei potuta fare, che avrei superato anche questa avversità e che ne sarei uscita illesa e vincitrice, come mi succede sempre d'altronde.
Ma questa volta non ne ero tanto sicura.
Il mio mestiere mi aveva donato molto, con ogni caso acquisivo sicurezza, mi sentivo più forte, più spavalda, come se niente o nessuno potesse sconfiggermi.
Ma poi mi ritrovavo in situazioni simili, e l'unica cosa a cui pensavo era non farmi prendere dal panico.
Sospirai, provando a controllare il mio respiro affannato ed i miei pensieri, guardai Cal e annuii alla vista del suo volto preoccupato.
L'ombra di quello che poteva essere considerato un sorriso si fece spazio sul mio volto, la sua preoccupazione era onesta, pura.
O almeno così credevo.
La mia mente divagò per alcuni secondi nel passato, riportandomi a tutti quei volti preoccupati, e a quelle parole di conforto e sostegno da parte di coloro che, in mia assenza, screditavano il mio nome e infangavano la mia persona. Ripensai a tutte quelle volte in cui, sentendo delle risate, entrai in stanze colme di persone che si arrestavano nel vedermi, ripensai ai loro visi paonazzi e alla loro ipocrisia.
Un rumore mi riportò alla realtà e portai immediatamente il mio sguardo sulla stanza dalla quale questo proveniva, caricando la pistola che reggevo con la mano sinistra.
Annuii verso Cal, allungando le braccia di fronte al mio viso per poi vederle convergersi in un unico punto.
Stando in una casa abbandonata con una pistola carica tra le mie mani, con lo sguardo evasivo ed un irrefrenabile voglia di urlare, uscire, scappare via, realizzai quanto potere mi fosse concesso.
Sarei stata in grado di sottrarre ad un essere umano il dono della vita, avrei potuto commettere qualche imperdonabile errore e avrei potuto mandare tutto all'aria.
Mi avvicinai lentamente verso l'altra stanza, facendo scorrere lo sguardo lungo le pareti sgretolate.
La vernice rosa era ormai irriconoscibile, così come i mobili rovinati e in alcuni tratti ammuffiti.
Il mio sguardo si posò su una vecchia foto incorniciata, posata su una mensola.
Il vetro che la proteggeva era rotto, ma la foto ancora in buone condizioni.
Mi avvicinai lentamente per osservare ogni dettaglio dei soggetti ritratti nella foto e con un alone di tristezza pensai ai vecchi proprietari di quella casa.
Mi immaginai la loro storia, pensai che magari una delle ragazze della foto si fosse trasferita, e che i genitori l'avessero seguita, abbandonando la loro dimora, per starle più vicino.
Mi immaginai che i proprietari fossero morti e che avessero lasciato la casa ai propri figli e nipoti ma che questi, troppo occupati con il lavoro, si fossero completamente dimenticati delle proprie radici.
Abbassai lo sguardo non appena i miei piedi calpestarono un mare di cocci a terra, incrostati di sangue, come tutto il pavimento.
Rimasi sconcertata per qualche istante, cosa sarebbe mai potuto accadere per ridurre in quel modo il pavimento, e perché solamente in quella determinata zona?
Mi piegai, infilandomi un guanto bianco in lattice e toccai il pavimento, sfiorandolo con l'indice, per assicurarmi che il sangue fosse secco.
''Non dovresti distrarti in questo modo, principessa.''
Al risuono di quella voce a me sconosciuta strabuzzai gli occhi e voltai il mio corpo, alzandomi immediatamente e barcollando per alcuni passi all'indietro, fino a scontrarmi con la mensola alle mie spalle.
''Polizia di Seattle, mani ben in v''- il mio viso divenne cupo e le parole mi si mozzarono in gola nel vedere l'uomo a pochi centimetri da me, con una pistola puntata al mio stomaco.
La frase appena pronunciata, l'insieme di lettere, si dispersero nell'aria densa della stanza, come se non avessi mai detto nulla: l'unico suono udibile erano i nostri respiri ed i passi di Cal che, repentini, scendevano le scale scricchiolanti e si facevano sempre più vicini.
Inspirai, alzando il mento e spostando il mio sguardo nei suoi occhi nocciola per poi puntare la pistola alla sua tempia.
''Mani ben in vista ed inginocchiati. La dichiaro in arresto per omicidio. ''
Caricai nuovamente la pistola, probabilmente presa dal panico per aver visto il suo corpo avvicinarsi maggiormente al mio e mi morsi un labbro, azione che solitamente compievo quando il panico provava ad impossessarsi del mio corpo, non facendomi ragionare correttamente.
Questo non sarebbe dovuto accadere il quel momento, ero riuscita ad incastrare l'uomo che ormai stavo cercando da mesi, e qualunque cosa fosse successa non sarei uscita da quella casa senza di lui.
Lo vidi poggiare la pistola sulla mensola alle mie spalle e rilasciai un sospiro sollevato, provando a farlo passare inosservato, ma questo si arrestò a mezz'aria quando notai che il suo corpo mi comprimeva contro il ripiano non lasciandomi alcuna possibilità di uscita.
Feci scivolare velocemente la mia mano, premendo l' arma contro il suo petto e facendolo indietreggiare.
Gli presi il polso, stringendolo nella mia esile mano, e lo rigirai facendo voltare l'uomo.
''In ginocchio- ordinai, sentendo la mia voce colma di orgoglio- avrai diritto ad un avvocato.''
Lo ammanettai, e con un sorriso fiero mi alzai in piedi, tirandolo per i ricci e costringendo a fare lo stesso.
''Ma non illuderti, i pezzi di merda non vincono mai.''
Mi ritrovai così a scrutare il volto dell'uomo che avevo appena arrestato, il quale si era girato a guardarmi:
Bellamy Blake.
Era molto più alto di me, e mi vidi costretta ad alzare notevolmente il capo per osservare i suoi capelli ricci e scompigliati ricoprirgli la fronte ed i contorni di quel viso costellato da lentiggini che, a vederlo per strada, considereresti angelico.
Ma qualcosa mi fece voltare, un dolore lancinante al petto mise fine ad ogni mio pensiero, ad ogni mia risolutezza.
Schiusi le labbra iniziando a boccheggiare e portai le dita al mio torace, riconducendole poi davanti al mio volto.
La mia vista si offuscò per innumerevoli istanti e sentii le palpebre pesanti, il corpo debole e fuori dal mio controllo.
Mi lasciai cadere, scivolai lungo il muro per poi poggiarmi a terra e lentamente misi a fuoco le dita, ricoperte di rosso sangue che lentamente le ricoprivano interamente, scivolando lungo la loro intera lunghezza.
Sbattei più volte le palpebre e poi lo vidi.
Vidi la figura difronte a me che appariva sfocata ma che avrei indubbiamente riconosciuto tra altre mille.
Era Cal: in piedi difronte a me, con uno il suo sguardo glaciale che scrutava il mio esile corpo ed una pistola puntata nella mia direzione che lentamente si stava abbassando, stava scomparendo.
Poi, proprio come la pistola, svanì anche tutto il resto.
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intertwine.
Mystery / Thriller''Non dovresti distrarti così, principessa. Molte cose terribili potrebbero accaderti se non stai attenta.''