Capitolo 1

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"Erica..." Sento una voce in lontananza. Apro piano piano gli occhi, cercando di abituarmi alla luce dei raggi solari che invadono l'intera stanza. "La colazione è pronta." All'inizio vedo una sagoma sfocata poi a mano a mano che i miei occhi si abituano alla luce, l'immagine si fa più nitida e di fronte a me mi ritrovo il solito ragazzo. E dentro di me, sale la solita rabbia. Avrei preferito non risvegliarmi.
"Potevi anche non svegliami, tanto non ho niente da fare tutto il giorno." Dico con tutto il disprezzo possibile. Mi metto seduta e guardo l'orario dalla piccola sveglia posata sul comodino vicino al letto che è diventato mio da tre giorni. E' quasi mezzo giorno. "Vuoi farmi fare colazione a quest'ora?" Prendo la sveglia e gliela metto davanti la faccia per fargli rendere conto dell'orario.
"Pensavo che non appena alzata avresti avuto fame." 
"Ma il senso? A questo punto mi preparavi il pranzo." Mi alzo dal letto, non curandomi del fatto di essere in intimo e con sopra una canottiera nera. Apro la grande finestra e faccio entrare dell'aria fresca. "Hai una sigaretta?" Mi giro vero il ragazzo di cui il nome è una città. So bene che è un nome in codice se no il suo amico non si chiamerebbe anch'esso come una città. E se devo essere sincera non ci ho mai creduto alle coincidenze.
Mi guarda per un secondo dalla testa ai piedi e poi infila la mano in tasca per prendere il pacchetto. Mi porge una sigaretta, io la metto in bocca e lui la accende. Aspiro profondamente e poi butto il fumo.
"Rimarrai tutto il tempo qui a guardarmi?"
"Mi chiedevo una cosa."
"Cosa?"
"Come fai a stare così calma? Sin dal primo giorno che ti abbiamo portato in questa casa non hai pianto neanche una volta, la notte dormi tranquillamente e ti svegli anche tardi, apri la finestra e non ti verrebbe di urlare? Di far capire agli altri che sei chiusa qua dentro?"
"E tu perché non mi hai fermato? Non hai avuto paura che urlassi? Che mandassi in fumo il vostro piano?"  Lui mi guarda per qualche secondo e poi abbassa lo sguardo. "Penso che sia inutile urlare, in fondo non state facendo nulla di male. State chiedendo solo un migliaio di euro a quel bastardo di mio padre. E poi non ho paura di voi, avete le pistole ma non sareste mai in grado di fare del male a qualcuno, specialmente a me, che sono solo una ragazzina."
"Come mai hai chiamato tuo padre bastardo?" Rompe il silenzio che si era creato da un paio di minuti.
Faccio un finto sorriso al pensiero del motivo. "Quello non si può definire padre. Un uomo che non c'è mai, un uomo che ogni anno cambia una compagna, un uomo che cerca di comprarmi con delle cose firmate e viaggi, un uomo che mette praticamente il suo lavoro prima di tutto, prima persino di sua figlia. Ma la cosa peggiore è che ha fatto di tutto per avere il mio affido. Ha fatto passare mia madre come una poco di buono e il giudice mi ha affidato a lui." Non appena finisco la sigaretta la butto dalla finestra. "Ora sai in parte la mia storia ma io di te non so nemmeno il nome." Incrocio le braccia al petto aspettando una sua risposta.
"Mi chiamo Denver." Mi dice con fare ovvio.
"Si certo e io mi chiamo...Tokyo." Rido sarcasticamente. "Quello vero."
"Mi dispiace, ci siamo promessi che non lo avremmo mai detto."
"Ah e cos'altro vi siete promessi?" 
Lui ride, fa un bel sorriso. Di quelli sinceri. "Che non dobbiamo raccontare la nostra storia personale, che non ci dobbiamo far intenerire dall'ostaggio e che..." 
"Buongiorno signorina." Rio entra nella stanza. "Denver, che fai amicizia con la prigioniera?" Ride. 
"Sì, non c'è niente di male." Guardo Denver sorridendogli.
"Adesso fai la spiritosa? E' tre giorni che fai l'acida." Rio, che sembra il più giovane tra i due, si siede sul mio letto e si accende una sigaretta. 
"Ho pensato in questi tre giorni, ovviamente mi secca stare qui dentro per intere giornate ma non voglio neanche tornare a casa perché non ci sarebbe nessuno ad aspettarmi. Preferisco la vostra compagnia." 
" Si ma avrai degli amici, che ne so, un ragazzo." Denver si siede accanto a Rio.
"Amici? No non ne ho. Faccio feste a casa mia e viene parecchia gente ma no, non ho amici veri. Per quanto riguarda il ragazzo ne ho uno, ma è il solito montato..." 
"Allora è vero che i soldi non fanno la felicità." Rio si stende completamente sul mio letto. "Ma a noi non servono per il piacere."
"Ah no? E a cosa?" Chiedo curiosa. Forse posso riuscire a farmi raccontare qualcosa, forse questo è il momento giusto.
"No signorina, mi dispiace, ma noi abbiamo delle regole. Uno delle quali è che non possiamo raccontare le nostre storie personali."
"Ma io ho raccontato a Denver una parte della mia..." 
"Non è affar mio, l'importante è che lui non si sia intenerito nell'ascoltarla. Vero fratello?" Rio da un leggero pugno a Denver sul fianco che è stato in silenzio tutto il tempo. "Ma potremmo infrangere una delle nostre regole se continui a rimanere vestita in quel modo." Rio mi guarda con sorrisetto dalla testa ai piedi.
"Mi state dicendo che avete fatto la regola di non andare a letto con la prigioniera?" Alzo un sopracciglio incredula cercando di ignorare il suo sguardo sulle mie cosce.
"Quella è la regola principale perché se uno dei due andasse a letto con te poi si potrebbe innamorare, quando ci si innamora tutto il resto non esiste."  Rio si alza dal letto, butta la sigaretta dalla finestra e si avvicina a me. Perché ho come la sensazione che quella affermazione era mirata solo su Denver? 
"Sappiamo che fra due giorni diventerai maggiorenne. Bello, te la passerai con noi, nessuna festa, nessuna torta niente di niente. Solo tu e noi."  Fa un sorriso arrogante. "Spero che la nostra compagnia ti piacerà. Perché saremo le uniche persone che vedrai quel giorno."  Poi si allontana ed esce dalla stanza senza dire altro chiudendo la porta.
"Denver, perché non hai detto nulla?" Chiedo sedendomi accanto a lui.
Lui alza lo sguardo e mi guardo negli occhi. " Se non sopporti così tanto tuo padre potresti..." 
"Potrei?" 
Scuote la testa e poi si alza. " Ora di porto dei vestiti. Non puoi stare tutto il giorno così." Detto questo esce dalla stanza.
Ok, posso confermare che sono proprio strani.

                                            ***
"Spero che tu stia scherzando!" Guardo prima i vestiti che Denver mi ha portato e poi lui. " Ci saranno almeno trenta gradi e tu vuoi farmi mettere i pantaloni lunghi? Secondo te perché dormo mezza nuda la notte?"
"Non so che dirti, se vuoi ti accorcio i pantaloni." Ride. E adesso perché ride?
"Cos'è che ti fa ridere?" Dico.
"Niente. Dai, dammi i pantaloni che te li sistemo." Detto questo esce dalla stanza. 
Aspetto qualche minuto il suo ritorno, ma non vedendolo arrivare decido di uscire anche io. In tre giorni non ero mai uscita, non perché loro non me lo permettessero, ma perché io credevo nella mia testa di essere costretta a stare li. Lo so, è un ragionamento da malati, ma è così. Anche perché loro mi hanno sempre portato da mangiare li dentro.
Apro piano piano ancor di più la porta aspettandomi uno dei due saltami a dosso, ma non successe niente.  Non so in questi giorni ho sempre pensato che uno dei due rimaneva dietro la porta a fare la guardia ma  a quanto pare niente. Ad un tratto sento dei rumori provenienti da sotto, forse questa casa ha più piani. Proprio di fronte a me c'è una porta, non so entrare o meno, ho voglio di esplorare questa casa, magari scopro qualcosa di più su di loro.
Alla fine decido di farmi coraggio e di attraversare quella porta.  Abbasso la maniglia molto lentamente , in modo da fare meno rumore possibile ed entro nella stanza.
La prima cosa che vedo è il caos. Ci sono vestiti da tutte le parti, il letto è sottosopra ma c'è un buon odore, un buon profumo invade l'intera stanza. Mi guardo attorno per capire il proprietario della camera e noto in uno scaffale una foto di un bambino insieme ad una donna, credo che sia sua madre.  Cerco di guardare per bene il bambino per vedere se riesco a trovare somiglianze con uno dei due fratelli. Il bambino ha gli stessi occhi di Denver.
"Che ci fai nella mia stanza?" Mi giro di scatto spaventata.
"Non sto facendo nulla." Dico mentre rimetto la foto al suo posto. "Mi annoiavo e..."
"Hai pensato bene di venire a curiosare nella mia camera." Mi guarda fisso negli occhi. "Tieni, li ho sistemati." Mi porge i vestiti e io li prendo. "E adesso esci dalla mia camera."
C'é un'istante di silenzio dove i nostri occhi non smettono di fissarsi.
"Quindi devo stare rinchiusa nella mia stanza?"
"Non ho detto questo. Puoi andare in bagno, in cucina, in salotto dove vuoi, tranne nella mia stanza."
"Perchè non nella tua stanza, cosa c'é?" Chiedo girando lentamemte su me stessa guardando la stanza. "Cosa c'é che non posso vedere?"
"Non sono affari tuoi. Adesso esci!" Le ultime due parole le urla facendole rimbombare per tutta la casa e subito dopo si sentono i passi di Rio per le scale e poi peri il corridoio.
"Che sta succedendo?" Rio entra di corsa nella stanza.
"La ragazzina non ascolta." Denver mi guarda con odio. "Le ho detto più volte di uscire dalla stanza ma.."
"E io ho chiesto che cosa ci nosconde." Incrocio le mani al petto.
"E io le ho detto che non sono affari suoi."
"Erika esci dalla stanza adesso che mi gira bene perchè tra qualche secondo non so se sarà ancora cosí."
Guardo entrambi con tanta rabbia e poi decido di mollare la presa.
"Va bene, esco. Ma non perché me lo state dicendo voi ma perchè mi sono stancata." Detto questo esco dalla stanza e torno nella mia sbattendo la porta.



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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 22, 2020 ⏰

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