Capitolo 1

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Ti voglio dire,
che ti voglio
dire, che ti
voglio dire, che
voglio dirti, che
ti voglio dire,
che ti voglio.

Tibur Kibirov

Non avrei mai immaginato che sarebbe andata così. Non mi sarei mai immaginata che un giorno, mi sarei trovata su un aereo per uno stage.
Uno stupidissimo stage che mi terrà impegnata tutta l'estate lontana dai miei amici e dalla mia famiglia.
Studio fisioterapia all'università e, quando mi proposero di fare uno stage per specializzarmi nel ramo degli sport agonistici, accettai subito, senza tener conto che, in realtà, avrei dovuto trascorrere tre mesi della mia vita in Belgio.
Esatto, avete capito bene. In Belgio. Probabilmente vi chiederete: "Ma cosa ci fa un'aspirante fisioterapista in Belgio?"
Semplice, dovrò lavorare al fianco di giocatori di pallavolo, che dovranno disputare in questi mesi la World League.
Me la caverò con la lingua? Lo spero. Ho studiato Olandese che, insieme al Francese e al Tedesco, è la lingua ufficiale belga.
È stato lo sbaglio più grande della mia vita? Forse.
Mentre sono assorta nei miei pensieri, una voce all'aeroporto annuncia che è arrivato il momento dell'imbarco.
<Tesoro, mangia, mi raccomando. Tieni in ordine la tua stanza, sennò dopo non troverai le tue cose. Se ti sei dimenticata qualcosa, chiamaci che te la spediremo. E non dimenticare di...>
Zittisco mio mamma con un abbraccio. Sento che singhiozza e io non posso fare a meno di asciugare le lacrime che le sgorgano dagli occhi.
<Andiamo, sono solo tre mesi. Ci vedremo a Settembre>
Mia mamma riprende il controllo di se stessa e poi mi dà un bacio. Poi arriva il momento di salutare il mio "papi".
<Bene, se dovessi incontrare qualche ragazzo che vuole diciamo, avvicinarsi a te più del dovuto, tu chiamami e io sarò lì in un batter d'occhio>
Dice mio papà con gli occhi lucidi. È sempre stato così: cerca di nascondere la tristezza dietro una risata. Nella sua voce c'è però una nota di amarezza.
A questo punto abbraccio entrambi, prendo il bagaglio a mano e, per la prima volta, lascerò la mia Italia senza che nessuno venga con me.
Salgo sull'aereo e, con le cuffiette nelle orecchie, aspetto che il motore si accenda per portarmi a Bruxelles.

Attenzione prego: siamo in fase di atterraggio. Indossare le apposite cinture di sicurezza e chiudere i tavolini davanti a voi. Grazie

Mi sveglio di soprassalto grazie all'Hostess che mi ha scosso una spalla per farmi uscire dal mio stato di trance. Guardo fuori dal finestrino. Rimango sorpresa nel vedere quanto verde c'è in Belgio: distese di campi e di fuori colorati costellano il paesaggio del posto e mi invade una sensazione di inquietudine, quasi di ansia.
Respiri profondi. Respiri profondi.
Dopo una scossa piuttosto turbolenta, l'aereo atterra e a questo punto posso scendere dall'aereo.
Un vento mite mi sfiora la pelle e respiro a pieni polmoni l'aria non inquinata di Bruxelles.
Mi guardo attorno. La gente sembra non farci caso a ciò che sto osservando io. Sono più impegnati a parlare al telefono dopo un viaggio in cui non hanno potuto accenderlo.
Entro in aeroporto e mi sembra tutto molto più grande, mi sarei persa se non avessi letto il cartello "Uscita".
Mi incammino assieme ad un'onda di persone per uscire dall'aeroporto e trovo un signore, sulla quarantina, che sta aspettando con un cartello in mano. Leggo cosa c'è scritto e, per mia sorpresa, c'è scritto il mio nome. Ho un autista personale? Wow, bell'inizio.
Gli consegno i documenti necessari e poi ci incamminiamo verso il taxi dove mi fa sedere al suo fianco in quanto vuole spiegarmi nei più minimi dettagli, ciò che posso trovare da queste parti.
Mi chiede come mai una "ragazzina" come me ha deciso di trasferirsi da sola in Belgio.
Gli spiego dello stage, del fatto che trascorrerò qui l'estate e che mi dovrò adattare.
Mi fa i complimenti per la mia pronuncia che, a parer mio, sembra un verso di un'anatra. Mi devo ancora perfezionare, di questo sono certa. Anzi, forse lo devo ancora imparare.
Il suo nome è Jean che, a detta sua, è un nome molto diffuso in Belgio, infatti non gli piace perchè è banale.
Dopo aver chiacchierato per circa un'oretta e mezza, Jean "scarica" me e i miei bagagli, davanti ad un Palazzo. Dice che per qualsiasi difficoltà potrò contattare lui.
Lo saluto con la mano e poi mi in cammino verso l'entrata del Palazzo, dove, ad attendermi c'è una ragazza, con un cartellino sul petto sul quale c'è scritto "Monique". Ho visto delle ragazze molto simili a lei per le strade, probabilmente perchè ha tutte le caratteristiche di una Belga Doc.
Le chiedo informazioni facendo uso del mio Olandese stupefacente e lei sembra capire al volo, infatti mi consegna le chiavi del mio nuovo appartamento.
Mi accompagna con l'ascensore al quarto piano e, insieme, percorriamo il corridoio che porta alla mia porta. Apre con delicatezza la serratura ed entro.
Una casa luminosa, non c'è che dire. Sicuramente è molto essenziale: è presente un divano, all'apparenza comodo, un televisore, il tavolo da pranzo e infine il locale cucina, dove è presente tutto ciò di cui ho bisogno.
Mi addentro in un corridoio che porta alla mia stanza ma, non appena faccio un passo, noto che è presente un'altra stanza.
*le conversazioni saranno in Italiano*
<Scusa, Monique, perchè ci sono due stanze? Mi avevano detto che sarei stata da sola>
Monique si gira verso di me con sguardo piuttosto pensoso
<Probabilmente dovrà condividerla, se per lei è un problema potremmo trovare una soluzione>
<No, non fa niente, va benissimo lo stesso>
Monique mi sorride e poi appoggia le chiavi sul tavolino, poi esce dalla porta lasciandomi in balia della mia nuova casa.
Entro in entrambe le camere e mi butto su ciascun letto, per testare la loro morbidezza ed elasticità.
Alla fine ha vinto la camera più in fondo, dove è presente anche una finestra che dà sui giardini.
Mi è stato comunicato che dovrò incontrare il tecnico della Nazionale Belga alle sei, quindi avrò il tempo di "docciarmi" e di dare una sistemata alla camera.
Dispongo i vestiti in ordine nell'armadio e poi mi dirigo verso il bagno, dove mi immergo nell'acqua facendo in modo che l'acqua bollente rilassi i miei nervi già troppo agitati.

No, I'm Not In Love || Tomas RousseauxDove le storie prendono vita. Scoprilo ora