Vanessa è una ragazzina di 12 anni e mezzo, che frequenta la scuola del suo paese, dove conosce i suoi inseparabili amici Mike e Alice. La sua vita non sarebbe potuta andare meglio, se solo non avesse vissuto un episodio drammatico. La sera del 21 novembre il suo fratello maggiore Arthur scomparve nel nulla; i poliziotti lo cercarono ma alla fine lo diedero per morto. Vanessa passò un forte periodo di depressione, che riuscì però a colmare successivamente con l'arrivo di un ragazzo di nome Alex, che la consolò e la aiutò a ritrovare suo fratello.
Mi svegliai e mi guardai attorno. Sembrava tutto normale, così arricciai gli occhi e stirai le braccia.
Avevo fatto un incubo sull'uscita della sera precedente con le mie amiche; Alice si era persa ed avevamo tutte paura di non ritrovarla più. Ma era tutto solo un sogno ... almeno finché non mi sentii sfiorare la mano da un lembo di vestito.
Balzai in piedi all'istante. Non ero nella mia camera, ma in una stanza semibuia. Man mano che i miei occhi si abituavano all'oscurità intravedevo una parete di specchi davanti a me, un tavolino adorno di uno stereo, una televisione e un caminetto: prima che mi alzassi ero sdraiata su un divano a tre posti color giallo opaco. Sbattei le palpebre, confusa. Quella stanza la conoscevo. Era la perfetta panoramica del salone di mia madre.
I miei genitori erano partiti da ormai molti anni e la loro casa era stata abbandonata temporaneamente, fino al loro ritorno, ma era chiusa a chiave. Anche se fossi stata sonnambula, come avevo fatto ad entrare? In ogni caso avevo paura della "cosa" che mi aveva toccata e non volevo restare lì un secondo di più.
Stavo per andarmene, quando ad un certo punto sentii un rumore e mi voltai: vidi una sagoma pallida come la morte scivolare dalla porta della cucina ed arrestarsi davanti a me. Ero paralizzata dal terrore mentre osservavo i tratti della persona. Non poteva essere umano, era troppo bello: aveva gli occhi di color blu d'oltremare e la pelle bianchissima. Immaginai che al tatto fosse dura come il marmo, ma non osavo fare un passo in più per constatarlo. Era alto e magro, non poteva avere più di tredici anni ed aveva un buonissimo odore di muschio ... mi sembrò per un attimo familiare.
Tuttavia la paura svanì quando mi rivolse un sorriso sincero, non un ghigno, ma come se fosse un sospiro, spontaneo. Mi fece un cenno delicato per dirmi di seguirlo, ma non riuscivo a muovermi. Il mio cuore batteva all'impazzata come un tamburo che non si stanca mai di battere il ritmo. Allora mi prese per mano e mi condusse attraverso una porta socchiusa che non avevo notato.
Appena varcai la soglia sentii freddo e battei i denti, allora mi diede un giaccone verde acceso materializzato dal nulla. Era caldo ed accogliente. Volevo dirgli <<Grazie>> ma le parole che mi uscirono di bocca furono: <<Chi sei?>>
Lui mi guardò negli occhi e mi rispose: <<Sono l'altro te>> disse. Rimasi stupita:
<<Cosa significa "l'altro me"?>>.
Mi fece cenno di tacere e mi guidò nel freddo: prima non me ne ero accorta, ma eravamo in una foresta di pini bianchi, e nevicava. Dopo qualche minuto di silenzio si costrinse a parlare:
<<Mi chiamo Arthur. Vengo da un luogo lontano che si chiama Terra Australe. Qui la gente è felice anche a convivere con quelli come me. Tanto tempo fa me ne andai di casa e da allora vivo lì>>. Mi sorrise con grazia e continuò a camminare.
Mi affrettai a seguirlo.
<<Ma tu sei un maschio, e io sono una femmina. Come è possibile che sei la mia copia?>>
<<Lo sono, ma c'è stato un errore>> mi disse. Evitai di fargli domande poiché non avevo capito niente. Si muoveva con grazia, quasi scivolasse con dei pattini sul ghiaccio. Era molto più bello di quanto avessi mai immaginato, e mi sentii le guance rosse. Le sue mani erano scheletriche e bianche, ma anche affusolate. Rispetto alle mie, le sue sarebbero state in grado di tenere un vassoio di bicchieri di cristallo senza romperne neanche uno. Mentre pensavo a queste cose mi guardai le mie mani. Solo allora mi accorsi che all'estremità del mio dito mignolo sinistro era legato un filo rosso. Seguii con lo sguardo la direzione del filo continuo, e solo allora fui stupita.
L'altra estremità del filo era legata al mignolo destro di Arthur.
Si accorse che lo fissavo.
<<Perché continui a guardarmi assorta nei tuoi pensieri?>> mi domandò dolcemente.
<<Ti sei accorto che hai un filo rosso legato al mignolo che ci tiene legati?>> gli domandai.
<<Ah.>> Rise. <<Non me n'ero accorto, ma ora che ci hai fatto caso lo vedo. Hai mai sentito parlare del filo rosso del destino?>>
<<No, mai. Perché me lo chiedi?>>
<<E' una vecchia leggenda. Si narra che, tanto tempo fa, una sorella e un fratello volevano bene l'uno all'altra. Devi sapere che il rosso, nella Terra Australe è "il colore del destino", un destino da passare insieme al proprio fratello o alla propria sorella . Essi trovarono un filo rosso – per l'appunto – e se lo legarono al proprio mignolo, e promisero che non se lo sarebbero mai tolto. Tutte le sorelle e i fratelli hanno avuto questo legame. Fino a noi.>> Alzò il mignolo destro e sorrise.
<<Non hai ancora capito?>>
Mi sentii avvampare le guance e mi lanciai ad abbracciarlo, era il mio fratello perduto. Anche se non me ne resi conto stavo piangendo dalla felicità; per fortuna mi avvertì di essere arrivati, così potei staccarmi da lui.
Varcammo un' altra porta e ci ritrovammo in cima ad un'alta scogliera ricca di erba: il cielo era limpido e senza una nuvola e il mare danzava tranquillo sotto di noi: i gabbiani volteggiavano in cielo e si posavano dolcemente sugli alberi.
Con una velocità sorprendente Arthur si era già seduto sul bordo del precipizio e mi invitava a fare lo stesso. Avevo sempre sofferto di vertigini, ma accanto a lui non sentivo niente, quindi mi sedetti osservando il panorama. Era veramente bello.
Non saprei dire con esattezza il tempo che restammo senza parlare. Finalmente dopo qualche minuto, che ciononostante mi parvero ore, mi disse che il tempo era scaduto, e che doveva andare. Io non capivo: quale tempo? Volevo restare lì ore, forse giorni. Ma il suo sguardo non ammetteva repliche e mi costrinsi a andare.
Varcammo l'ennesima porta ed eccoci di nuovo nel bosco innevato. Non faceva più tanto freddo, così mi tolsi il giaccone e feci per donarglielo.
All'improvviso un violentissimo terremoto mi trasportò nel buio di un crepaccio formato dalla scossa. Urlai disperata mentre cadevo sempre più giù nel buio. Pensavo di morire, e tra me e me vidi i miei ricordi. Mi preparai all'impatto ...
E mi svegliai.
Ero nella mia camera, al sicuro sotto le coperte, a guardare il soffitto bianco panna. La delusione e la rabbia mi avvolsero nella loro stretta e mi girai dall'altra parte, nella speranza di riaddormentarmi. Una lacrima di rabbia e confusione mi rigò la guancia. Solo allora notai un post-it incollato ad un giaccone verde acceso sullo schienale della sedia, accanto alla mia scrivania. Scattai come una molla verso l'oggetto e afferrai il bigliettino. C'erano poche parole, scritte con una calligrafia minuziosa e precisa: ti voglio bene, non dimenticarmi mai.
Stupita e confusa, mi guardai attorno con foga, alla sua ricerca, fino a quando non mi parve di vederlo accanto al mio armadio. Mio fratello, con uno sguardo felice e sempre legato a me dal filo rosso del destino, sorrise e poi scomparve.
Nota dell'autrice
Ciao a tutte quelle persone che non hanno altro da fare che leggere le mie storie. In ogni caso, grazie.
E si, lo so che 'verde acceso' non è un colore.
Per chi non avesse capito: Arthur è morto, perciò è pallidissimo e vive in un paese chiamato 'Terra Australe'. Secondo voi cosa potrebbe essere?
Se la storia vi è piaciuta e ne volete un'altra lasciate una stellina <3
*ps: questo testo l'ho scritto due anni fa, per questo ha un linguaggio infantile :)*
YOU ARE READING
liber, libri
Historical Fictionraccolta di storie 1) attraverso la porta ___________________ liber, bri, m. 1. libro, corteccia; 2. libro, opera, scritto.