Io vivo nelľorfanotrofio Volverity da quando ho memoria e posso dire che mi trovo bene qui.
Ogni giorno ci svegliamo alle sette. Aspettate prima di scandalizzarsi. Io mi sveglio tutte le mattine alľalba, senza alcun problema e vado a dormire al tramonto. Questo non è un programma imposto dalľorfanotrofio, è una mia libera scelta. Dopo averci tirato via dai nostri sogni, scendiamo tutti in fila per due marciando a ritmo del battito di mani di Madama Minet. Dovevamo tenerci le mani tra di noi e battere i piedi insieme. So che può sembrare facile, ma non appena si sbagliava ti tiravano un ceffone. Uno di quelli forti. Madama Minet aveva le mani bianche e raggrinzite. Sembrava che nel tempo si fosse rimpicciolita visto che la pelle era di una o due taglie più grandi di lei. Era molto magra e teneva sotto costante controllo anche noi su questo delicato argomento. Dovevamo essere le più magre di tutte. Io naturalmente ne soffrivo. Avevo un constante bisogno di energie. Non importava però quello che mangiavo, restavo sempre magra. Madama Minet però ne era abbastanza indispettita così mi faceva saltare spesso pranzo per evitare di provocare in lei sentimenti di invidia.
Sebbene Madama Minet fosse molto rigida, la cosa che mi spaventava maggiormente erano le adozioni. Una volta al mese ľorfanotrofio si apriva al pubblico e la gente si riversava alľinterno delle stanze dei "piccoli orfanelli" come ci chiamavano tutti in città. Le persone si avvicinavano e facevano domande. Era una specie di rituale. Tutte le ragazze venivano lavate e pettinate. Alcune, addirittura, truccate. Naturalmente quello era il mio caso. Tutti coloro che erano a conoscenza del mio segreto si dovevano operare per nasconderlo. Mi ricordo che le riunioni non sono mai andate troppo bene per me. Una volta mi venne a vedere una vecchia. Aveva il volto acido e per tutto il tempo mi diceva di stare con la schiena dritta e se me ne dimenticavo lei mi tirava una bastonata in mezzo alle scapole. Dopo uno scambio di battute piuttosto accanito io vidi nei suoi occhi la sua maggiore paura. Probabilmente la indovini solo. Non c'è se no alcuna spiegazione logica per questo. Fatto sta che le inizia a parlare di serpenti, snocciolando conoscenza che non immaginavo nemmeno di avere. Lei iniziò a sudare freddo e quando finii il discorso lei era tanto spaventata da non riuscire a emettere alcun suono. Sembrava pietrificata dalla paura. Sembrava addirittura che vedesse il serpente. Dopo qualche minuto lei si alzò e scappò via senza pensarci due volte.
Una seconda volte, ah questo è stato esilarante, è venuto a vedermi un uomo. Avrà avuto circa quarant'anni e non sembrava particolarmente contento di trovarsi in una stanza con una ragazzina. Così lui iniziò a farmi domande sempre più personali, cosa ricordavo dei miei genitori, chi preferissi tra i ragazzi. Possono sembrare domande poste solo per attaccare bottone. Magari lui voleva davvero adattarmi, ma io avevo cominciato a trovarlo inquietante. I suoi occhi brillavano di malizia e la sua bocca era piegata in uno strano sorriso. Era, quasi sicuramente, uno dei dottori locali il quale era venuto a sapere di me e voleva studiarmi. Il classico, insomma. Così io cominciai a credere che il mio aspetto fosse mutato. Che i miei capelli perfettamente lunghi, bianchi e lisci fossero diventati più corti e tutti spettinato. Li immagini mentre cambiavano colore. Poi immaginai che il mio corpo aumentasse di statura, che le spalle si fossero fatte più larghe e le gambe più robuste e lunghe. Infine come tocco finale immaginai che del fango mi scoprisse. Malgrado io non mi vedessi cambiata affatto, la faccia delľuomo tardiva la paura. Persino il luccichio malizioso era sparito. Dopo pochi secondi lui scappò per non farsi rivedere mai più.
Quando potrò, però, dimenticarmi di quella volta che mandai via un'intera famiglia? Probabilmente non ci sarei mai riuscita. Era una giovane coppia con un bambino di sei anni vispo. Il piccolo cadde sui miei piedi e cominciò a piangere quasi subito. I genitori lo raccolsero e cercarono invano di consolarlo. Non ci riuscirono. Così continuarono senza problemi a farmi domande. Il pianto del bambino cominciò a darmi sui nervi. Ma non potevano farlo stare zitto?!? Allora lo guardai negli occhi e cominciai a immaginare una zip che gli ricopriva la bocca. Il bimbo si zittì e i genitori lo guardarono. Poi sgranarono gli occhi e iniziarono a passare le dita sulla bocca del figlio. Mi guardarono e scapparono. Ormai Madama Minet non mi chiedeva nemmeno più cosa fosse successo. Sapeva che se loro scappavano io mi ero arrabbiata e allora lei non faceva domande. Tutti i bambini erano intimoriti da me, soprattutto quando io facevo scappare così degli adulti. Io mi sentivo isolata e sola. Ogni volta che lo rifacevo io andavo alla spiaggia vicina e mi immergevo lentamente in acqua.
I pesci colorati mi si avvicinavano e io li guardavo. Poi mi asciugavo e tornavo a guardare le persone sognando di essere come loro.
Questa è una delle mie giornate preferite. Le altre le passo in compagnia di scherzi sadici e pianti lunghi.
Abitavo in questo orfanotrofio da 15 anni ormai, tra poco sarei stata libera di andarmene, io non vedevo ľora. Tanto ormai nessuno mi avrebbe adottato più. Invece, come al solito, mi sbagliavo.
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una luce nella penombra
FantasyCome ci si sente a essere speciali? come ci si sente a non essere apprezzati persino dove siamo tutti uguali? Mariana una ragazza di 16 anni si troverà diversa e poi uguale, ma sempre sola