«Maggie, dove corri, vieni qua!» urlava mia madre.
Era impossibile starmi dietro ed era tutto il pomeriggio che la stavo facendo impazzire,
Sì, è vero, ero una bambina monella e discola. Gli ordini, le regole imposte, non mi erano mai piaicute, così come odiavo quel piccolo abito di organza.
Mi ero dimenata come una matta. La stoffa mi prudeva oltre a stringermi un pochino sui fianchi, ma soprattutto, vogliamo parlare di quelle gale di pizzo? Proprio non le potevo vedere.
«Non fare storie. Oggi è domenica, giorno di festa e lo sai, si indossa il vestito più bello per scendere in paese!»
«Ma io non lo voglio mettere! E' brutto!» misi il broncio, incrociando le braccia al petto.
«Smettila Maggie, non sei più una bambina piccola, tra poco compirai otto anni, bisogna iniziare a vestirsi come delle signorine!»
Signorine.
Quanto odiavo quella parola.
Se crescere era odioso come quel termine, volevo fermare il tempo e restare piccola per sempre.
«No!» sbraitai.
Mi dimenai. Scalciai con i piedi e con le mani, ma la mia forza era ancora niente in confronto a quella di mamma. Però non c'era che dire, aveva messo su una buona difesa contro quelle bizze.
Mi prendeva di peso alzandomi sul letto e dopo avermi dato qualche sculaccione ben assestato, nel punto giusto, per farmi intendere chi comandava tra le due, mi infilava a forza quel vestitino corredato da un paio di orrende scarpette bianche nelle quali, non riuscivo neppure a correre.
E non era finita qua.
Mi metteva poi, seduta su una sedia, di fronte a noi un mobile a specchio, prendeva la spazzola, riposta nell'apposito cassetto ed iniziava a pettinarmi.
Ecco quello era l'unico momento che mi piaceva.
Rilassava entrambe.
Non potevo fare a meno di sbirciarla attraverso il riflesso. Raccoglieva una ciocca per volta, le distendeva con cura sulla mano sinistra e con altrettanta premura, le spazzolava fino a quando non erano liscie come la seta.
Sorrideva rilassata e felice in quel semplice atto materno.
E poi come a coronare quel momento magico, giungeva, puntuale quel cerchietto, bianco anch'esso, con fiocco a seguito.
Ecco. Ora ero proprio la sua bambolina perfetta.
Si allontanava da me, giusto qualche passo, per ammirarmi da lontano, entusiasta del suo operato.
«Guarda come sei bella!»
Io mi guardavo, giuro che lo facevo, ma non riuscivo a capire cosa ci potesse essere di fantastico, in tutta quella confezione così ordinata.
Io non ero come mia madre, perfetta in tutto e per tutto. A me piaceva il caos, anche il disordine mentale se volete, perché nella mia imperfezione c'era il mio mondo fantastico.
E so, che non dovrei andarne fiera, ma impazzivo di gioia, nel vedere la mia insegnante personale, sbuffare infastidita, di fronte alle mie marachelle.
Amavo disegnare, ma non tratteggiare correttamente un volto o una collina. Abbozzare quei lineanementi paesaggistici e imbrattarli di colore a tempera.
Blu, rosso, giallo,. verde e nero. Ma non nell'ordine conosciuto da tutti, alla mia maniera.
Chi l'ha detto che non poteva esserci una montagna arancione in qualche angolo sperduto di mondo?
Dove era scritto che per forza il mare doveva essere blu e le colline verdi?
Quegli standard imposti mi facevano venire il voltastomaco e più la maestra mi brontolava, più me lo imponevo, più sporcavo le mie manine in quei grandi barattoli di colori a tempera e le ricoloravo il vestito.
La signorina Stewart non lo sopportava.
«Maggie, basta, sei proprio cattiva!»
«Io? Perché cosa ho fatto?» la mia finta ingenuità le dava ancora di più sui nervi.
«Vieni qua!» le pareva di farmi paura, ma a correre ero decisamente più veloce di lei.
«Prendimi, se ci riesci!»
Ma le risate poi si chetavano. Puntualmente mia madre, Angie, mi metteva in punizione e lì, finiva, veramente tutto il divertimento.
«Ecco, adesso siamo veramente pronte per uscire!» il suo entusiasmo era alle stelle, il mio invece, era decisamente sotto terra.
Come potevo accettare di uscire in quelle condizioni?
La sentivo sospirare, lei sapeva anche se non mi era concesso parlare, cosa stessi provando in quel preciso istante, ma nonostante ciò, sperava, sempre in cuor suo, di riuscire a farmi diventare la signorina dei suoi sogni.
«Maggie, aspettami, in sala. Mi aggiusto i capelli e poi andiamo ok?» me lo chiedeva con quel flebile tono mielenso, uguale a quello di tutte le sue amiche con cui ero costretta ad uscire la domenica.
Non mi considerava più una bambina per quanto riguardava i vestiti, ma quando mi parlava in quel modo, era peggio di essere la sua piccola mai cresciuta.
«Va bene!» era quella la risposta da copione.
Mi sorrideva stringendomi le guance all'interno delle sue calde mani, non prima di avermi stampato un bacino sulla fronte.
«Ti voglio bene Meg!»
Quella frase inattesa mi sciolse il cuoricino.
Stranamente non me l'aspettavo, forse non lo me lo aveva mai detto, da quando i miei ricordi erano iniziati ad essere chiari e nitidi.
Fu istintivo. Alzai le mie piccole braccia e le circondai il collo.
Un impeto travolgente di affetto materno, mi travolse, lasciandomi quasi senza respiro.
«Anche io te ne voglio tanto, mamma!»
Sentii il suo abbraccio farsi ancora più forte intorno al mio corpicino mentre percepii un singulto.
Cosa stava accadendo?
Mi scostai di qualche millimetro e vidi il suo volto inumidito.
«Perché stai piangendo mamma? Ho detto una cosa brutta?»
La sua espressione si fece tenera scostandomi una ciocca di capelli dal volto.
«No, tesoro mio, hai detto una cosa bellissima!»
«Ma quando si dicono le cose belle non si piange.»
«Non è mica vero. Sai Maggie, si può piangere anche di felicità.»
«Davvero?»
«Certo...» - si asciugò frettolosamente le lacrime - «... ora non puoi capire, ma quando sentirai il tuo cuore fremere per una grande emozione, talmente bella, da lasciarti senza respiro, beh, in quel caso capirai cosa sia la felicità.»
Le sorrisi e l'abbracciai ancora.
«Allora, voglio renderti felice ogni giorno!»
Non aggiunse altre parole, ricambiò l'ennesimo abbraccio e poi mi spedii nella sala delle grandi attese.
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Come Un Pittore
Romance"... Tu chiamale se vuoi emozioni..." Erano destinati fin da quando erano piccoli. Parigi bene. Lei importante aristocratica di una famiglia benestante, lui uno qualcunque, con pochi soldi in tasca, ma tanta, tanta voglia di vivere e di fare come gl...