Partenze

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Manuel è seduto sul divano in salotto e ha lo sguardo incollato allo schermo del cellulare, il pollice che scorre verso l'alto a ritmo regolare: segno che non sta veramente leggendo tweet o guardando foto su Instagram.

Patrick sa perfettamente che l'attenzione del ragazzo è concentrata sul rumore che le rotelle del trolley, che sta trascinando dalla camera da letto all'ingresso, producono sul pavimento di legno dell'appartamento.

Il resto della casa è uno strano mix di altri suoni che non coincidono tra di loro: il vociare della televisione che sta trasmettendo una puntata qualsiasi di un talk show pomeridiano qualsiasi che nessuno sta guardando, il ronzare del frigorifero in cucina, la forte vibrazione della lavatrice, il traffico fuori dalla finestra, lo squillo di una notifica sul cellulare di Patrick, appoggiato sul tavolino di fronte al divano.

Deve aver distratto Manuel, perché solleva velocemente lo sguardo ad osservarlo, per poi spostare l'attenzione su Patrick, con un'espressione che appare distante, tradita solo da un leggero velo di apprensione.

Non ha bisogno di dire che sta uscendo di casa, che è pronto a partire.

A lasciarlo un passo indietro per la prima volta nella loro vita.

Hanno deciso di non parlarne apertamente nelle poche ore che sono passate dall'arrivo delle convocazioni in Nazionale e l'imminente partenza per Coverciano di solo uno dei due.

La cosa che aveva fatto preoccupare Patrick da principio era stata la prima reazione di Manuel: non c'era stata rabbia, invidia o delusione, ma un silenzio strano, un muro alto e spesso che in quasi dieci anni non avevano mai avuto fra di loro, una depressione malcelata che non aveva mai visto sul volto dell'altro.

Aveva provato a chiedere, a chiarire. Grave errore.

Manuel gli aveva riversato addosso mesi di incertezza e senso di inferiorità, di "gioco troppo poco" e "non riesco ad essere costante" e "sono una delusione, non sarò mai all'altezza". Gli aveva gridato contro che non aveva mai pensato alla possibilità di non andare in Nazionale quantomeno insieme a lui, di non venire convocato per la prima volta neanche per l'Under 21.

Patrick aveva fatto un secondo errore: gli aveva ricordato che non era la prima volta che le loro strade si erano momentaneamente divise. Anche lui aveva dovuto sopportare una stagione di Primavera senza Manuel, già passato avanti, in prima squadra.

Il litigio era sfociato in accuse di invidia, di desiderio di prevalere sull'altro, di "avevi promesso che l'avremmo fatto insieme" e di "non posso cambiare le decisioni degli altri" e "ho paura di perderti".

L'ultima frase li aveva portati, poche ore dopo, a chiedersi scusa e fare la pace, a modo loro.

Patrick l'aveva abbracciato e Manuel si era lasciato stringere e l'appartamento era sembrato calmo nonostante il disordine dei borsoni abbandonati per terra in corridoio, la luce del bagno rimasta accesa con la porta spalancata, il tavolino del salotto spostato in una strana angolazione per l'urto di un calcio che nessuno dei due a quel punto ricordava di aver tirato.

"No che non mi perdi." gli aveva promesso ancora, le dita avvolte in riccioli biondi, morbidi e profumati e ancora un po' umidi per la doccia dopo l'allenamento a Milanello, mentre gli sollevava la testa dalla sua spalla e lo guardava negli occhi e appoggiava la fronte sulla sua.

"E tu non perdi me." aveva risposto Manuel, il suo Manuel, ed era sembrato più forte di qualunque altra confessione d'amore.

Ora Manuel è seduto su quello stesso divano e lo osserva mentre si piega a recuperare il proprio telefono e fa scorrere le notifiche, per trovare il messaggio che gli comunica l'arrivo dell'auto che lo accompagnerà in stazione.

L'unico gesto che fa il centrocampista è allungare un braccio verso di lui, mostrandogli il palmo della mano.

Un estremo gesto di pace.

Patrick la stringe con un sorriso e si ritrova sul divano, in una caduta morbida tra i cuscini e le gambe incrociate del proprio ragazzo, che lo sorregge con una mano sul fianco e una che incrocia senza timore le dita delle loro mani, strette contro il suo petto.

Si baciano una sola volta, lentamente e ad occhi chiusi e c'è tutta la disperazione di una malinconia che già gli chiude la gola. C'è la voglia di comunicargli senza parlare tutte le cose che gli ronzano per la testa: "mi mancherai tantissimo", "non voglio un altro compagno di stanza", "chiamerò ogni istante che sarò libero", "darò il massimo", "fatti valere in allenamento".

Basta un "vai" sussurrato sulle sue labbra perché il nodo alla gola salga a bruciargli gli occhi. Esala un minuscolo sospiro e sorride appena, prendendo il viso di Manuel con entrambe le mani. Si alza in ginocchio sul divano, le gambe divaricate per accomodare quelle di Manuel e distanziarsi abbastanza, non venire tentato dal calore dell'abbraccio dell'altro per tardare ancora.

Appoggia la fronte su quella di Manuel e chiude di nuovo gli occhi, respira profondamente e risponde.


Il viaggio in auto è silenzioso, anche se ormai conosce l'autista e di solito ci scambia sempre qualche parola cordiale.

Patrick osserva la città scorrere fuori dal finestrino, ascolta distratto la radio e di tanto in tanto fissa lo schermo spento del cellulare e pensa a quanto tempo sia passato e quanto tempo ci metteranno a tornare a scriversi come facevano qualche anno prima, quando ancora non si erano detti il primo "ti amo".


La carrozza di prima classe del treno è riservata ai giocatori che partono da Milano.

Leo e Jack lo salutano con una pacca sulla spalla e un sorriso che tradisce l'emozione di vederlo partire insieme a loro per la prima volta. Gigio è come sempre silenzioso e per una volta gli sembra di provare la sua stessa tensione, la stessa sensazione di esserci ma non esserci del tutto, di star partendo per una prova, un esame e non un viaggio vero.

Ci sono anche Mattia, Matteo e Roberto, ma con loro Patrick ha molta meno confidenza: li saluta, stringe loro la mano.

Il cellulare è come una presenza costante al suo fianco, nella tasca della felpa.

Quando la discussione fra i giocatori cala un po' e Leo viene distratto da una telefonata di Martina per fargli augurare buon viaggio dai bambini, anche Patrick si sente sufficientemente giustificato nell'estrarre il telefono dalla tasca e scorrere le notifiche.

Manuel gli ha mandato una foto su Whatsapp.

Si sorprende quando il cuore gli salta un battito, come se gli anni non fossero passati, come se il solo pensiero di riccioli biondi e profondi occhi castani lo mandasse ancora in confusione, subbuglio, black out.

La foto ritrae le sue auricolari wireless bianche appoggiate sul comodino.

Il commento di Manuel è: magari queste ti servivano.

In effetti le aveva appoggiate lì per ricordarsi di metterle in tasca prima di uscire.

Risponde con: ne compro altre in stazione a Firenze e l'emoticon del sacchetto di soldi, che gli ricorda sempre i cartoni animati della Disney che guardava da piccolo.

Manuel è online. In qualche secondo appare la sua risposta: fai il ricco con l'iphone ma resti un pirla.

Patrick non riesce a trattenere il sorriso.

Con la coda dell'occhio vede Gigio osservarlo senza dire niente. Lui le auricolari per ascoltare il suo neomelodico napoletano le ha.

Il treno scorre nel buio della sera di fine inverno: i sedili sono comodi e la carrozza è riscaldata.

Leo finisce la telefonata e il discorso si rianima.

La tensione è ancora lì a pungerlo sotto la pelle, ma forse per qualche ora può fingere che questo sia solo un viaggio e che la distanza non stia aumentando di secondo in secondo, di chilometro in chilometro.

Partenze, Distanze, Ritorni e RipartenzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora