𝑮𝒓𝒂𝒗𝒆

222 29 2
                                    

Atsushi aveva imparato ad amare Yokohama come casa propria.
Del resto aveva protetto quella città, così piena di skyline, edifici e imponenti grattacieli, combattendo con le unghie e con i denti, affiancandosi persino al cane nero della Port Mafia: Akutagawa, che ormai poteva dichiarare ai quattro venti come il suo rivale per eccellenza.
In particolare, Atsushi apprezzava il paesaggio mutevole che quella città era in grado di donargli: il rosa del mattino che illuminava le strade, l'azzurro del giorno che accecava gli occhi, il rosso della sera che si rifletteva sulle vetrate a specchio dei palazzi in possesso della Mafia.
Ogni mattina Atsushi restava a contemplare la Landmark Tower mentre si recava a lavoro, ritenendosi fortunato di far parte di quella grande metropoli.
Tuttavia c'erano luoghi che, per quante volte vi sarebbe passato, parevano immutati al passare del tempo: i cimiteri della città, ad esempio.
Non importava quando o in che ora vi avesse fatto visita, essi offrivano lo stesso sterile paesaggio, al punto tale che Atsushi iniziava a pensare che i cimiteri erano fatti tutti alla stessa maniera: una sequenza di pietre tombali, lapidi e sepolcri che si susseguivano l'uno dietro l'altro, dove il grigiore del marmo veniva contrastato unicamente dal verde della vegetazione e dal vento che soffiava in mezzo alle foglie degli alberi.
La prima volta che Atsushi aveva messo piede nel cimitero di Yokohama, il suo stomaco si era contorto in un crescente senso di nausea, riuscendo persino a farsi strada nella sua gola; non teneva fiori nella sua mano - perché quell'uomo non meritava fiori da parte sua -, la sua sola presenza era già abbastanza. C'erano state persino volte in cui aveva intravisto il suo fantasma in piedi accanto alla sua tomba che, senza dirgli una parola, lo fissava impassibile.
Fortunatamente il ripetersi di quella abituale routine, che si era imposto dalla sua morte, lo aveva ormai abituato a sopportare il peso di quell'azione, ma quella mattina qualcosa andò diversamente dal solito.
In fondo avrebbe riconosciuto il trench color sabbia del suo nuovo mentore ovunque.
"Dazai-san?" Mormorò incredulo mentre risaliva la scalinata di pietra che conduceva all'uscita del cimitero. Lo aveva visto con la coda dell'occhio, ma non si era affatto sbagliato: l'uomo prostrato era davvero Osamu Dazai.
Non ce lo vedeva il signor Dazai inginocchiato di fronte a una tomba; un cimitero era più adatto a qualcuno come Kunikida che, ricordandosi i nomi e i volti di tutti coloro che erano morti davanti ai suoi occhi, li andava a visitare uno ad uno. A Dazai si addiceva di più il ciglio di un grattacielo e l'altezza che lo separava dal suolo.
Incuriosito, Atsushi cambiò la propria direzione incamminandosi verso di lui.
"Dazai - san?" Lo chiamò quando lo ebbe quasi raggiunto, gli parve persino incredibile come il collega in questione si girò per salutarlo come nulla fosse, come avesse capito che anche Atsushi si trovava lì e che, presto o tardi, lo avrebbe raggiunto.
"Yo, Atsushi-kun! Mattiniero come sempre, vero?"
Il suo tono allegro, però, faceva a pugni col suo aspetto trasandato: l'impermeabile sgualcito, i capelli spettinati e leggere occhiaie lasciavano intendere tutt'altro.
"Non è tornato a casa a dormire ieri sera, vero?"
La risatina in sottofondo del suo superiore confermò il suo pensiero.
"Ottima deduzione, detective." Commentò Dazai scherzando, lasciando Atsushi sempre più basito dalla sua compostezza.
"Ehm, allora cosa ci fa qua?" Atsushi si sarebbe volentieri morso la lingua da solo per aver posto una domanda così stupida, ma era anche vero che quel quesito era l'unico motivo che lo aveva spinto ad approcciarsi al suo collega.
"Mmh, e tu Atsushi - kun? Cosa ci fai qua?"
Atsushi si domandò se fosse corretto rispondere a una domanda con un'altra domanda, ma trattandosi del signor Dazai tutto rientrava nella norma.
Non trovando le parole adatte per rispondergli restò semplicemente in silenzio.
"La tomba del direttore del tuo orfanotrofio non è forse più avanti?" Chiese Dazai buttando l'occhio lontano, nel verso da cui Atsushi era giunto.
C'era da aspettarselo, pensò Atsushi: Dazai aveva capito tutto all'istante, tipico di lui. O forse era lui stesso ad essere fin troppo facile da capire.
Siccome usò il silenzio per rispondergli vide Dazai giungere le mani a coppa sotto il mento e fissarlo con la solita faccia da beota che era solito fare in momenti simili.
"Lo hai perdonato?" Gli domandò candido, assumendo un tono di voce assolutamente infantile, facendo ciondolare la testa da destra a sinistra e viceversa.
Atsushi soppesò quella domanda a lungo prima di rispondere, stringendo con foga la stoffa nera dei pantaloni tra le dita delle mani, rimembrando tutte le vessazioni che aveva subito da piccolo per colpa di quell'uomo.
Perdonarlo? Mai una volta il perdono gli aveva sfiorato la mente, anzi verso di lui non provava nulla di nulla.
Proprio come aveva detto a Dazai il giorno del suo funerale nel suo cuore c'era solo indifferenza, come se quel tipo di cerimonia fosse usanza di un altro pianeta.
Anche ora che il fantasma del direttore si era zittito dentro la sua mente continuava a pensarla allo stesso modo, solo che il suo obbiettivo rimaneva sempre quello di diventare una persona migliore, e allora...
"Non mi fraintenda." Parlò Atsushi con voce pensierosa. "Non c'è verso che io possa perdonarlo, solo che..." Avvertì la sua lingua incepparsi contro il palato.
Le sopracciglia di Dazai si levarono assorte contro l'alto.
"Solo che...?" Lo esortò.
Atsushi dovette prendere un respiro per calmarsi prima di continuare.
"Trovo semplicemente triste non avere nessuno che venga a fargli visita, tutto qui." Concluse esplicitando per filo e per segno il motivo per cui dalla morte del direttore si ostinava ad andarlo a trovare al cimitero. Nulla di più e nulla di meno. Dazai stesso gli aveva detto che quei sentimenti erano suoi e suoi soltanto, nessun altro avrebbe potuto comprenderli.
"Oh, è così?" Affermò Dazai assumendo prima un'espressione incredula, per poi incurvare le spalle e poggiare le mani sulle ginocchia, assorto in chissà quale ragionamento dentro quella mente indecifrabile.
Tuttavia Atsushi aveva dalla sua anche la capacità di accorgersi dei piccoli cambiamenti impercettibili sul viso di una persona ed era pronto a scommettere che quello del suo senpai, per quanto incomprensibile, stava esprimendo malinconia e rimpianto da quanto era silenzioso e assorto.
Solo in un secondo momento il ragazzo si ricordò che anche il signor Dazai si trovava davanti alla lapide di qualcuno, e che quel qualcuno doveva essere per forza la causa del suo malessere.
Spostando di poco gli occhi ne lesse il nome inciso e la data di nascita e morte. Stando a quanto scritto quella persona era morta piuttosto giovane, con un rapido calcolo a mente Atsushi intuì che doveva essere solamente di qualche anno più grande di Dazai, forse si trattava di un collega ai tempi in cui faceva parte della Port Mafia.
Quella era, per forza, l'unica spiegazione plausibile.
Però... arrivare a fare una faccia simile perfino per uno come Dazai era troppo. Atsushi avvertì quasi il bisogno di spezzare quel silenzio così incomodo.
"Mmm..." Si schiarì la gola. "Era importante?" Atsushi si morse il labbro quando capì di aver iniziato male il discorso. Cercò allora di esplicare meglio la sua questione aggiungendone il soggetto. "Questa persona era importante per lei?"
Non seppe dire se fu la domanda in sé a smuovere Dazai o qualcos'altro, ma finalmente lo vide sbarrare gli occhi e girare il volto verso di lui esprimendo le sembianze di chi si fosse appena risvegliato da un viaggio lontano.
"Doveva esserlo, vero? Perché, vede..." Atsushi abbassò gli occhi fino al terreno, completamente a disagio davanti a tanto silenzio. " É davvero raro vederla fare una faccia così addolorata."
Era ufficiale: ora sì che Atsushi avrebbe voluto sotterrarsi per la vergogna. Parlare in quel modo a un veterano dell'Agenzia: Atsushi si diede mentalmente dello stupido.
Fortunatamente la risata genuina di Dazai contribuì a sciogliere la tensione che si era accumulata nelle sue spalle. Perfino Atsushi si lasciò sfuggire una risatina nervosa, ben contento di vedere finalmente Dazai alzarsi in piedi e uscire da quello stato catatonico in cui sembrava essere affondato.
"Strano, pensavo che le mie espressione facciali fossero impossibili da leggere." Scherzò infilando le mani nelle tasche del giubbotto, puntando finalmente gli occhi contro quelli di Atsushi, il quale lo guardò dal basso verso l'alto, sorridendogli felice.
Almeno anche quella mattina era riuscito a partire con una buona azione.
"Forse non è così bravo come pensa."
Dazai si girò verso la pietra tombale soffermando lo sguardo un'ultima volta sulla scritta del nome e del cognome del proprietario.
Anche solo leggere quel nome era capace di donargli una sorta di pace interiore con se stesso. Dagli ultimi quattro anni era sempre stato così, ma gli ultimi avvenimenti accaduti in città non lasciavano tanto presagire nulla di buono nel futuro. Spostando lo sguardo verso il suo sottoposto capì che Atsushi stava aspettando intrepido una risposta.
"Comunque è proprio come hai detto tu." Gli rispose finalmente. "Perché questa persona era un mio amico."
Quell'ultima parola pronunciata dalle sue labbra arrivò alle orecchie di Atsushi con una modulazione talmente dolce e affettuosa che il ragazzo ne rimase davvero perplesso.
Se non fosse stato per il momento delicato ne avrebbe volentieri chiesto di più, ma il "É ora di metterci al lavoro." pronunciato da Dazai era insidacabile.
Guardando l'orario sul display del cellulare il giovane sospirò affranto: una lavata di capo da parte di Kunikida quella mattina non l'avrebbe evitata persino impegnandosi tutta la giornata.
Dazai da canto suo aveva già raggiunto l'apice della scalinata che portava all'uscita dal cimitero, se non voleva essere lasciato indietro doveva sbrigarsi e raggiungerlo.
Prima di muoversi da lì però lasciò vagare i suoi occhi ancora sul nome impresso sulla pietra. Lui non aveva la minima idea di chi fosse quel Sakunosuke Oda che riposava sotto quella terra, tuttavia per guadagnarsi così tanto rispetto da parte di Dazai Osamu doveva essere stato per forza qualcuno degno di lode.
Per questo, prima di congedarsi definitivamente, Atsushi percepì il dovere d'inchinarsi formalmente davanti a quel nome.

𝑮𝒓𝒂𝒗𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora