Capitolo 1

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Soffiava una brezza leggera in Rue de France, Nizza, una brezza leggera e piacevole, primaverile. Il profumo dei croissant appena sfornati e il vociare dei passanti riempivano la piazza davanti alla chiesa. Incastrata nel cuore vivo della città, la chiesa del Sacre-Coeur quel giorno, per l'occasione, era stata vestita di bianco come la sposa: lunghi e candidi festoni erano stati collocati come a mezz'aria, annodati stretti sul tetto, ma con le punte in aria a causa del vento.

Gli invitati aspettavano tutti fuori: troppo caldo dentro la chiesa, troppa poca aria. Troppi fiori decoravano le panchine di legno scuro, la nube di profumo non permetteva a zia Costance di respirare, vista la sua allergia, e il piccolo Percival, il cuginetto della sposa, continuava a strappare i petali dei girasoli e a lanciarli contro il prete, Monsieur Petit, un uomo basso e grosso, cui bottoni della tonaca minacciavano di esplodere da un momento all'altro.

Dall'altra parte della piazza, vestito con un completo severo color grigio topo, Monsieur Chauzè scrutava i passanti e gli invitati, silenzioso. La sua carnagione era chiarissima, candida, segnata da rughe profonde sulla fronte. Non si era rasato, quella mattina, e sicuramente sua moglie glielo avrebbe fatto notare mettendogli, come suo solito, il broncio per tutta la giornata. "Avresti dovuto prepararti meglio per il matrimonio di tuo figlio, tu non pensi a queste cose, sono i dettagli a fare la differenza", Arsène Chauzè già si immaginava le rogne della moglie, per questo cercò di evitarla rimanendo semi nascosto vicino al bar delle scommesse sportive. Si sfilò un attimo gli occhiali dalla montatura a goccia dal viso per leggere un poster sul Paris Saint-Germain, appiccicato al muro lercio con un pezzo di scotch di carta.

L'uomo roteò gli occhi e sbuffò: «Che annata».

«Arsène» lo chiamò una donnina con la pelle olivastra vestita di verde brillante.

«Arsène!»

Monsieur Chauzè fece respiro profondo: «Cosa c'è, donna?» sospirò, girandosi di scatto per non mostrare la sua barbetta: «Non vedi che sto guardando... Auda!»

La donna l'aveva preso dalla vita e lo aveva girato verso di lei: «Immaginavo non ti fossi rasato» sospirò, esaminandogli il mento con le mani tozze e piene di anelli.

Il marito sbuffò: «Se gli invitati guardano me e non tuo figlio, allora è un problema loro» alzò le spalle rimettendosi gli occhiali: «non mio».

Un rumore di passi richiamò l'attenzione della coppia, che alzò lo sguardo; stava venendo verso di loro il figlio, Paul Chauzè, bello impomatato, con i capelli pettinati indietro e il viso pulito. La sua era una camminata inconfondibile: mani sprofondate nelle tasche, piedi leggermente aperti e andatura dondolante, passo flemmatico di chi vuole essere desiderato e una scia di colonia che accompagnava la sua figura.

Bello, bellissimo era il figlio di Auda e Arsène: alto, magro, dalla carnagione scura e i capelli corvini. Secondogenito degli Chauzè, Paul era sempre stato trattato come un bambino viziato dalla madre, che non riusciva a svezzarlo e le veniva sempre un groppo in gola quando pensava che dopo il matrimonio non sarebbe più stato suo. D'altra parte, Tristan, il fratello maggiore, faceva sembrare Paul un ragazzino, visto la sua mole e il suo sguardo, penetrante e severo, ereditato dal padre.

«Ancora non è arrivata la sposa?» ridacchiò il padre: «Hai paura che non si presenti?»

Il figlio fece spallucce e si controllò le unghie con fare noncurante, appoggiato alla madre: «Jean non è mai stata puntuale»

Lo scampanare della chiesa chiamò a raccolta gli invitati. Zia Elouise aveva tirato fuori dalla sua borsetta rosa un ventaglio grande come un tendone da circo e si era già iniziata a sventolare con forza il viso: «Povera me, povera me, povera me» sospirava, vedendo le mura spesse della chiesetta dimenticata anche da dio in quel quartiere così stretto. Tutto, per quegli americanacci era stretto, in Francia: e la chiesa è minuscola, non rispiro in questa camera d'albergo, ma come facciamo a mangiare su dei tavoli così piccoli eccetera, eccetera. Quei texani erano abituati alle maxi-misure, pensavano gli invitati dello sposo, soprattutto quel brontolante di Monsieur Chauzé: grandi hamburgers, per grandi case, per grandi persone, e zia Elouise era l'immagine che riassumeva perfettamente il pensiero di Arséne. La donna, cinquant'anni per centotrentatrè chili, era vestita tutta di rosa e pareva quasi una gigantesca gomma da masticare; già non era una persona che normalmente non si notava, vista la stazza e la voce decisamente non afona, in più con quel colore sgargiante addosso e i fazzolettoni infilati nelle pieghe delle ascelle era praticamente come un fascio di luce nella notte.

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