Cammino velocemente fra le strade trafficate della città. Attraverso la strada a un incrocio correndo con il cappotto slacciato, faccio ancora un altro po’ di strada e sono quasi arrivata a destinazione. Premo ripetute volte il pulsante per far diventare verde il semaforo di un attraversamento pedonale. Dove ho la testa in questo periodo? Se non avessi dimenticato la borsa a casa, ora avrei potuto pagare un taxi, sarei arrivata molto prima… guardo frettolosamente l’ora: le undici e mezzo, ecco, ho la certezza che mi ammazzerà; già si lamenta quando arrivo in orario, figuriamoci quando sono in ritardo di ben trenta minuti…
Finalmente il semaforo diventa verde e attraverso la strada per arrivare dentro la grande casa. La donna giovane che si trova all’ingresso mi sorride e mi dice accompagnandomi verso la sua stanza:
«Meno male che è venuta, signorina. Non sapeva tutte le storie che faceva lui senza di lei…» Ecco, me lo immaginavo, in fondo lui è fatto così, è più capriccioso di un bambino di tre anni. Entro nella sua stanza e lo trovo seduto sul letto con la faccia imbronciata e le braccia incrociate davanti al petto. Appena mi vede gira lo sguardo dall’altra parte e fa la sua solita faccia offesa, sospiro e mi siedo su una sedia accanto al suo letto.
«Sei arrivata, finalmente, pensavo non ti importasse più di me.» Cerca di fare la voce arrabbiata, ma non ci riesce, è felice di vedermi e alla fine gli esce pure un sorriso.
«Stai sorridendo, significa che mi hai perdonato. Sai che non volevo venire in ritardo, solo che ho dimenticato la borsa a casa e non avevo i soldi per prendere un taxi oppure l’autobus.» Gli dico mentre appoggio delicatamente la mia mano sulla sua.
«Ti ho perdonata?» sbuffa lui «Non penso proprio, ci vuole ben altro per farsi perdonare da uno come me.» Sospiro rumorosamente, certo che è prorio fastidioso.
«Che cosa vuoi che io faccia, papà?»
«Mi devi raccontare una storia» mi risponde lui serio. Spero che stia scherzando, quale genitore vorrebbe farsi raccontare una storia dalla propria figlia in una casa di riposo?
«Sei serio? Vuoi davvero che io ti racconti una storia?» gli chiedo
«Certo che sì! Sei mia figlia, Linda, e questa non mi sembra una richiesta tanto assurda, no? Sono solo un povero vecchio che sta in una vecchia casa di riposo… non mi sembra una richiesta eccessiva da fare.» Ecco, il vecchio ci sapeva fare ancora. Mi ricordo che fin da quando ero piccola lui usava questa psicologia per ottenere ciò che voleva: faceva venire agli altri un sacco di sensi di colpa.
«Guarda che io ti avevo detto ci venire a vivere a casa con me Marco e Luca, ma tu non hai accettato, quindi non dare la colpa a me» lui mi guarda con i suoi occhi verdi. Un tempo mio padre era un uomo meraviglioso: aveva i capelli rossi ricci e due grandi occhi verdi, faceva impazzire tutte le donne, poi con il passare degli anni i suoi capelli diventarono sempre di meno e si tinsero di bianco, mentre i suoi occhi si spegnevano.
«Ora non voglio parlare di questo. Ti prego raccontami una storia, una sola. Non una di quelle classiche, ma una storia dolce, triste e allo stesso tempo anche allegra, per favore, fammi felice.» Non lo avevo mai sentito parlare in quel modo.
«Guarda che è già tanto se conosco qualche storia classica, figuriamoci se devo pure inventarmela… sai che non ho molta fantasia!» gli dico.
«Avanti, scommetto che una storia così la conosci. Può essere anche una cosa accaduta veramente… basta che abbia le caratteristiche che ti ho detto prima. Su, Linda, ho molta fiducia in te, dei miei figli sei quella che mi assomiglia più di tutti, scommetto che puoi capire le richieste di un vecchio come me.» Nonostante sia vero che sono quella che gli assomiglia di più sia caratterialmente che di aspetto fisico, non riesco proprio a comprenderlo.
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C'era una volta Fiamma
Short StoryLa chiamavano Fiamma perchè era vivace come il fuoco appena acceso. La chiamavano Fiamma perchè aveva i capelli rossi. La chiamavano Fiamma e lei non conosceva il suo vero nome.