Due

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«3, 2, 1... Ok ragazzi, avvicinatevi al palco!».

«E qui, a Times Square, sono per voi la band con il maggior successo mondiale, tre dischi, cinque ragazzi, un nome. Ecco i One Direction!»

Le parole suonarono squillanti nelle orecchie di Harry; si sistemò la bandana che reggeva i riccioli e scopriva il viso. Abbassò lo sguardo, strinse il microfono e seguì gli altri.

'Loro sono qua per noi' si disse fra sè.

Sfoggiò un sorriso alla folla e guardò le croci disegnate sul palco ad indicare dove sarebbero dovuti andare a posizionarsi. Si trovava al centro, tra Zayn e Liam, mentre Niall e Louis si trovavano rispettivamente alla sua sinistra e destra.

Nonostante fosse fine febbraio, iniziò a sudare. Decise quindi si sollevare le maniche del maglione grigio-azzurro troppo largo per lui, aspettò che la musica partisse e lasciò che le parole uscissero da sè.

Dopo l'esibizione, si diressero all'aeroporto, da dove, con un jet privato, sarebbero tornati in Inghilterra a Londra.

'Casa dolce casa'.

Harry si lasciò scivolare lungo il sedile, indossò gli occhiali da sole, appoggiò la testa sulla sua spalla sinistra e chiuse gli occhi aspettando di recuperare il sonno perso i giorni precedenti.

Ma si sa che i demoni perlopiù sono nella nostra testa e da quelli non si può scappare.

Lui soleva rivivere ogni volta gli errori commessi. Ed è una cosa straziante se a questi non si può rimediare.

Era lì, afflitto dalla sensazione di non aver finito a suo dovere qualcosa, ma non capiva cosa. Si sentiva incompleto.

Ad un tratto il cellulare vibrò.

«Hey, come sta il mio leone preferito? Ti ho visto in tv. Superstar, quando riparti? », un messaggio di Cara.

Harry la trovava una ragazza bellissima e fantastica. Era testarda e non dava retta a nessuno. Lei seguiva le sue regole.

A volte ricorda con un sorriso una notte in cui entrambi, ubriachi, erano seduti su un divano sfatto e rattoppato, lontano dagli altri amici che facevano casino. Quella sera si baciarono, poi lei cadde a terra addormentata. Una volta sveglia lui le disse:«Pensavo di non essere così noioso.».

Ma quello fu solo un bacio, e rimase tale.

Cara era ormai la sua migliore amica.

Ma non glielo disse, si sarebbe sicuramente montata la testa. A volte va presa a piccole dosi.

«Grazie bellissima, io sto per partire adesso, quindi devo spegnere il telefono, ci sentiamo dopo. Harry.».

Spense il cellulare e si preparò ad un lungo volo.

Londra era coperta da sottile manto bianco, che le dava un'aria magica.

Quando atterrarono, era ormai sera; i lampioni illuminavano la città, i respiri si ghiacciavano, la sensazione di essere finalmente a casa si diffuse nei loro animi.

L'abitazione di Harry era talmente grande da farlo sentire minuscolo.

Disse ai facchini di lasciare pure le valigie all'uscio. Questi esaudirono la richiesta e tornarono al loro lavoro.

L'enorme villa, che faceva parte di un complesso il quale comprendeva anche quelle degli altri componenti del gruppo, era impeccabile; ogni mobile pulito e lucidato a dovere, le coperte ben riposte sui pouf bianchi.

Salì le scale fino ad arrivare all'ultimo piano. Lì c'erano tre stanze: la sua, quella di Louis e quella degli ospiti.

Inizialmente lui e Louis abitavano insieme, prima che diventasse maggiorenne. Poi successe il tutto.

Non aveva voglia di pensarci. Era troppo stanco per farlo, eppure si avvicinò alla porta con sopra la targa "Lou's Room", abbassò la maniglia ed entrò.

Pile di scaffali sovrastavano i pochi arredi rimasti. Passò le dita sulla superficie di uno di quelli aperti.

Al suo interno si trovavano tutte le fotografie, incorniciate e non, che adornavano la stanza, a partire da quelle in cui aveva 16 anni a quelle dell'anno precedente.

'Incredibile' pensò 'È passato più di un anno ed è tutto ancora qui.'.

In quella stanza il tempo si era fermato. È come se nessuno volesse toccarla, per non distruggere un ritratto sbiadito di quello che c'era prima, qualcosa di bello che ora non esiste più.

Harry iniziò a frugare tra le foto. Erano molte e descrivevano pochi anni che a lui sembrarono una vita.

Nel fondo, stropicciata e malmessa, c'era una lettera.

La fissò per un attimo.

Una lacrima gli scese dagli occhi smeraldo, attraversò la guancia, sfiorando la fossetta e arrivò alle labbra, lasciandogli in bocca un sapore amaro.

Non aveva bisogno di leggerla per capire che lettera fosse.

La porto al petto, cercò di stenderla il più possibile aiutandosi con le mani. La ripiegò, la inserì nel portafoglio e lo ripose nella tasca posteriore dei jeans.

Aveva deciso.

Non era più tempo di giocare.

Avrebbe risistemato le cose, in un modo o nell'altro.

Ma non era ancora tempo e nel frattempo andò a guardare la partita del Manchester United bevendo una birra.

Things I can'tDove le storie prendono vita. Scoprilo ora