Parte 1 senza titolo

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Che poi non è vero cheva sempre tutto bene. Di solito rispondiamo così quando ci vienechiesto, ma la maggior parte delle volte è una bugia. Credo che unbuon novanta percento delle persone menta, più o meno come faccio ioogni volta che mi domandano come sto, e ultimamente me lo chiedonospesso.

In sala d'aspetto siamoin tre. Di fronte a me è seduta una signora sui sessanta e di fontea lei, alla mia sinistra, una ragazza sta sfogliando un opuscolo. Haun tutore al ginocchio, le stampelle aspettano appoggiate alla paretegialla. Di linoleum giallo pastello è coperto anche il pavimento,lucido sotto le luci a neon. Fa uno splendido contrasto con le sedieblu, l'allegria che trasmette è piacevole. Un bambino di circa treanni, che ho scoperto essere figlio della ragazza e nipote dellasignora, si diverte a correre su e giù emettendo striduli acuti edivertiti, diffondendo una spensieratezza così contaminante dalasciar quasi disarmati.

Corre davanti a me, avolte lanciandomi fugaci occhiate curiose e sorridenti, altrebuttandosi per terra senza il minino timore di farsi male. Sonomeravigliosi i bambini, che fanno senza preoccuparsi, osano e basta.Una volta ho letto che la percezione di pericolo compare solo intornoagli otto o nove anni di vita, prima di allora non si prova. Così siarrampicano senza la paura di cadere, corrono senza pensare disbattere e si buttano a terra. Poi però si cresce e si diventa piùcauti, terribilmente prudenti quando si tratta di emozioni. Nonsarebbe male se ogni tanto, da adulti, ci lasciassimo andare aqualche scivolata sul linoleum giallo pastello invece di starcene coni piedi ben incollati a terra. Avremmo qualche livido in più, questoe certo, ma vuoi mettere il brivido dell'avventura? E invece niente,noi ce lo impediamo da soli e al piccolo Samuele, che è statorichiamato almeno venti volte da quando sono arrivata, si tenta ditarpare le ali fin da subito. "Lasciatelo giocare" mi verrebbe dadire, "lasciatelo divertire ora che può", ma non è mio figlio esiamo pur sempre nella sala di aspetto di una clinica. Però quandomi passa davanti lo guardo divertita, alzando gli occhi dal libro chesto tentando di leggere e gli faccio anche un mezzo sorrisod'incoraggiamento. Ché a me non interessa affatto se fa confusione,voglio solo godermi la sua libertà.

Mio figlio invece di annine ha sedici. È un ragazzo alto e dinoccolato, curvato dal pesodella sua timidezza. È testardo e cocciuto, tremendamente ostinatonelle sue posizioni, ma anche docile e predisposto al dialogo, quandovuole. È gentile e premuroso, seppure nella rudezzadell'adolescenza, ma se ne sta troppo chiuso nel suo bozzolononostante le ali abbiano già preso i colori. È formidabile vederloassorto nelle sue cose, intento e concentrato, isolato dal mondo.Sono certa che abbia un potenziale straordinario ma che fatichi afarlo uscire. Ma del resto anche io, alla sua età, avevo la metàdel coraggio che ho adesso. Vorrei cercare di spronarlo, diinfondergli fiducia in se stesso e nel suo futuro. Se potessi glidarei la mia faccia tosta, la grinta che mi nasce dentro ogni voltache poso gli occhi su di lui. Purtroppo però ho paura che mi serviràtutta, anzi, temo proprio che dovrà essere lui a prestarmi la sua.Vorrei avere di nuovo la rabbia tipica della giovane età, quandotutto quanto sembra sbagliato, quando la voglia di cambiare il mondomuove gli animi e inneggia alla rivolta. Sì, quel fervore tenace eribelle, la voglia d'indipendenza dalle costrizioni, dalleimposizioni, dalle regole. Il fermento che fa nascere idee nuove enuove insurrezioni, che dà vita alla speranza. Sono convinta checosì affronterei meglio la malattia, con il mento all'insù e lasbruffonaggine di chi non ha paura di sfidare qualcosa di sconosciutoe terribile perché ha fiducia nelle proprie capacità. Quanto lovorrei quel piglio, quegli occhi pungenti che guardano dall'alto inbasso e alzano le sopracciglia in una smorfia di noncuranza. "Chiti credi di essere?" direi al mio cancro, "io sono più forte dite". E poi lo sbeffeggerei, voltandogli le spalle e allontanandomifischiettando. Come in un duello: è così che immagino me stessa atu per tu con il tumore. Tutto intorno deserto e polvere, noi duefermi l'uno davanti all'altro a fissarci in attesa che rintocchil'orologio. Il tempo passa piano logorandoci i nervi, ma io non hointenzione di indietreggiare di un passo. È una battaglia di attese,di terapie, di esami, di medicine, ma prima o poi arriverà ilmomento e allora io metterò svelta la mano sulla Colt e sparerò perprima. Dritto dritto in mezzo agli occhi, lui disteso a terra e iocon il sorriso sulle labbra e la canna ancora fumante.

L'ultimo ciclo di chemiol'ho finito dieci giorni fa, questa volta non mi ha dato troppofastidio. Dopo le prime sedute mi veniva la febbre, davo di stomaco emi sentivo sfinita. Facevo finta di non stare troppo male, sopratuttodavanti a Matteo, ma in realtà avrei solo voluto dormire. Però mihanno detto che l'atteggiamento positivo è molto importante per laguarigione, così sopportavo gli effetti collaterali del veleno chemi iniettavano e andavo avanti. Con la stessa frequenza con cui micadevano i capelli sono diminuiti i sintomi, io mi sono comprata unaparrucca e loro si sono notevolmente attenuati. Lentamente ho ripresole forze, mi sento meglio rispetto a sei mesi fa. Spero davvero chele cure abbiano funzionato e che la massa si sia ridotta. Lo speroper non vedere più quell'ombra di preoccupazione negli occhi di miofiglio e perché, tutto sommato, sono stanca di aspettare, vogliopremere quel grilletto.

«Signora Bruni?» unuomo sulla mezza età si affaccia dalla porta di fronte a me, quandoincrocia il mio sguardo mi sorride e mi invita ad accomodarmi nellostudio. Mi segue da quando ho iniziato la terapia ed è sempre statomolto gentile.

«Come si sente signora?»mi chiede, facendomi accomodare.

«Meglio» rispondo senzamentire.

«Ha gli ultimi esami?»

Io annuisco passandoglila cartellina di plastica.

«Mi sembra tutto inordine, i parametri sono migliorati. Adesso vediamo se abbiamosconfitto questo ragazzaccio.»

Io vado dietro il separé,lui prepara il lettino. Torno con il busto coperto solo dalreggiseno, mi sdraio e abbasso un po' l'elastico dei pantaloni. Ilgel è freddo, per un attimo mi irrigidisco. Poi il dottore cominciaa muovere la sonda.

«Allora, come sta suofiglio?» mi chiede, senza staccare gli occhi dal monitor.

«Da adolescente»scherzo. Lui sorride annuendo, ha due figli più o meno della stessaetà.

«Serve una granpazienza...» dice, prima di tornare serio e calarsi in un silenzioconcentrato.

Lo vedo premere tasti sulcomputer e prendere misure. Per me lo schermo mostra solo zone piùchiare e più scure, a lui invece stanno raccontando la storia delmio rene destro e del tumore che gli si è formato dentro. Restaserio per alcuni minuti, facendo scivolare la sonda e premendo unpo', fermandosi all'occorrenza. Io lo osservo senza parlare.

«Bene, abbiamo finito»dice poi, alzandosi dallo sgabello e porgendomi un pezzo di carta. Loprendo e torno a vestirmi, quando lo raggiungo sta scrivendo qualcosasulla mia cartella.

«Sembra proprio che loabbiamo fatto nero» dice, senza alzare gli occhi. «Le dimensionisono notevolmente diminuite, la terapia ha fatto effetto. Portil'ecografia e tutti gli altri esami al suo oncologo, lui le daràconferma del successo ottenuto.»

«Quindi ce l'abbiamofatta?»

«La situazione dovràessere tenuta costantemente sotto controllo e l'ultima parola spettaallo specialista, ma sì, direi che ce l'abbiamo fatta» concludeguardandomi.

Io sento salire un calorepotente al volto, nel naso e dietro gli occhi. Vedo appannato quasisubito.

«Grazie dottore» glidico tendendogli la mano.

«Ha fatto tutto da sola,ha lottato come un leone» risponde lui, stringendola.

Dopotutto quel piglioallora ce l'ho avuto, senza rendermene conto la mia sfrontatacaparbietà ha avuto la meglio sul nemico.

Mi accompagna alla portae mi saluta, io esco fremendo di felicità. Il bambino non c'è più,la sala d'aspetto ora è deserta. Avrei voluto vederlo giocaredivertito, avrei voluto farmi contaminare dalla sua allegria. E avreianche voluto fare una scivolata sul linoleum giallo insieme a lui.Invece mi accontento di starmene immobile in quel deserto senzavento, pronta per il duello. Mi immagino il mio avversario come unbrutto ceffo, scuro in volto quanto nell'anima. Lo squadro da capo apiedi con arroganza, in attesa di quel rintocco. Lo sento echeggiarenella mia testa, alzo pollice e indice chiudendo le altre dita,allungo il braccio e prendo la mira. Bang!

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⏰ Last updated: Jul 31, 2018 ⏰

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