Capitolo 1

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NORI'S POV

"Allora, quando arriveremo non voglio che tu vada a gironzolare come sempre, devi darmi una mano a mettere tutti gli scatoloni in casa e..."

Bla bla bla. Questo è ciò che sento da tipo 4 ore di viaggio. In teoria da Philadelfia a Manhattan ce ne vogliono solo 2, ma questo stupido traffico ci ha bloccati, come sempre.

"MA MI ASCOLTI?!"

"Ovviamente mami"

Sento un sospiro da parte sua, perciò decido di abbandonare la vista del paesaggio e di voltarmi dalla sua parte. Ha un viso stanco e con occhiaie. Non perchè fosse in ansia per il trasferimento, ma in quest'ultimo periodo la voglia di dormire passa in secondo piano dopo ciò che è successo. Mi soffermo sul suo bellissimo viso: capelli castani, occhi verdi e quelle stupende lentiggini che le ho sempre invidiato. Io sono completamente il suo opposto: occhi azzurri, capelli biondi e senza quelle meravigliose lentiggini. Se non avessero conosciuto mio padre direi che sia stata adottata. Purtroppo nella nuova città nessuno conoscerà il mio strepitoso papà, perchè è morto. Due mesi fa. Apparente suicidio.

Per questo adesso siamo qui, a Manhattan, mentre scendo dall'auto per entrare nella mia nuova casa. E' una casetta a due piani, non troppo piccola, nè troppo grande, ma per noi due è perfetta: giardino ampio, interno moderno e un bel balcone dove collocherò il mio telescopio. Amo guardare le stelle, l'allineamento dei pianeti, del sole e della luna e registro ogni cosa su un quadernone. E' una cosa che facevo sempre con papà e da allora il quaderno è rimasto incompleto; ma ho deciso di ricominciare, perchè mi appassiona e so che può rendere felice mio padre.

"Nori, ti decidi ad aiutarmi?"

Sbuffando mi dirigo verso il retro della macchina, ma appena vedo il mio zainetto mi parte una lampadina in testa. Nel mentre mamma entra in casa con uno scatolone, prendo un foglio e lo lascio sulla macchina con su scritto:


Faccio un giretto, ti voglio bene Elizabeth

NORI


E con tanti cuoricini, giusto per fare la gnorri, come sempre.

Così inizio a passeggiare per le strade di una città dove non avevo intenzione di venirci ad abitare fino a poco tempo fa. Di una città che non conosco, di una città diversa dalla mia Philadelfia, dove ci ho vissuto per ben 17 anni. Per la prima volta mi sono sentita piccola, spaventata per qualcosa che non conoscevo, ma eccitata allo stesso tempo per la voglia di conoscerla fino al suo ultimo granello. Era ormai calato il buio e Manhattan si stava colorando di luci che trasmettono emozioni contrastanti tra il rassicurante e il caotico. Metto in moto i miei sensi per ascoltare il fragore dei claxon, le sirene della NYPD, dei firemen, il rumore dei tacchi a spillo, di gente che ha finito il turno di lavoro in ufficio, urla dei venditori che cercano di vendere qualcosa prima di chiudere per oggi e soprattutto la vista dei musicisti di strada. In particolare mi soffermo su un ragazzo che sta suonando il piano. La musica è soave, ma malinconica, mi trasmette un infinita tristezza da farmi attorcigliare lo stomaco. Perciò chiudo gli occhi e assaggio anche quello di Manhattan.

Ad un tratto la musica termina e io riapro gli occhi. Il ragazzo mi guarda e mi sorride, ma non è un sorriso di ringraziamento, ma più malinconico e comprensivo. Rimaniamo a fissarci per secondi che sembrano un infinità, finchè non mi squilla il telefono.

"Pronto?"

"SI PUO' SAPERE DOVE DIAVOLO SEI?"

Oddio, mia madre è furiosa, come minimo stasera non mi fa cenare.

"Fra un quarto d'ora arrivo mamma." E chiudo senza attendere una sua risposta. Il ragazzo ha ricominciato a suonare e io mi soffermo sul suo viso. E' un bel ragazzo: capelli neri scuri, così come i suoi tenebrosi occhi, mascella pronunciata e labbra carnose. Purtroppo vedo che sono passati già 10 minuti, così mi incammino per tornare a casa, ma subito mi imbatto nel mio più grande sogno: la New York Public Library. Ci entro senza pensarci due volte e subito mi imbatto in quel profumo tipico delle grandi biblioteche, quel fantastico profumo di conoscenza e di curiosità che solo chi ne è affamata sa riconoscerlo. All'entrata mi imbatto in una buffa vecchietta intenta a trasportare una pila enorme di libri e vedendo che la situazione poteva tramutarsi in "signora a terra, io che mi assicuro che stia bene, ambulanza, ospedale, mamma, strigliata..." decido di darle una mano.

"Emh, signora lascia che le dia una mano."

"Ohh, si perfavore, grazie mille. Ahh la mia povera schiena, devo decidermi ad assumere qualcuno di più giovane..."

Accidentalmente mi sfugge un libro dalla pila e mi va a finire sul piede. Mi tappo la bocca con la mano per paura di far uscire le peggio madonne e nel mentre vedo la signora farmi accomodare su di una sedia.

"Ahiaa, grazie mille, signora?"

"Evelin"

"Grazie signora Evelin"

"Oh per carità piccola solo Evelin"

"Ehm, va bene.. Io sono Nori", le rispondo mentre mi sorride calorosamente.

"Dimmi Nori cosa ti serve?"

"In realtà non saprei che libro scegliere, ma vorrei andare su un classico, magari italiano; e dopo la sua affermazione magari anche un lavoro in questa ambita biblioteca?"

"Va bene cara, sei assunta. Che ne dici di iniziare domani?"

"Per me va benissimo"

"Perfetto, allora, vediamo un po'... ecco qui il tuo libro." Mi porge il libro "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo e mi soffermo a leggerne la trama ed è proprio ciò che cercavo: una lettura che punta alla ricerca di se stessi in una società malata.

Così esco dalla biblioteca ampiamente soddisfatta e vedendo che ormai è decisamente tardi ritorno subito a casa.

Arrivo davanti il cancello di casa e non azzardo a muovermi, praticamente pietrificata dalla paura. Lizzy potrebbe farmi a pezzi. Ad un tratto sento un forte rombo di una moto che si sta avvicinando, ma non mi giro, sarà il solito idiota che vuole spappolarsi il cervello. Sento il rombo farsi più vicino, molto più vicino, fino a rallentare proprio dietro alla mie spalle. E mo che vuole questo?

Decido comunque di non voltarmi e faccio un passo per il giardino ed entrare in casa. Prima che questo mi importuni.

"Scusa, ma ti sei appena trasferita?"

Ohh nooo. Non mi ha parlato, continua a camminare. Ma sento che scende dalla moto e i suoi passi correre verso di me. Ma perchè tutte a me?!

" Ei, parlo con te!"

Decido di voltarmi prima che entri anche in casa mia.

"Beh se non mi hai mai visto e fatto questa domanda magari si, non credi genio?"

Ook, forse mi so incazzata. Mi fermo finalmente a guardarlo in faccia, e che una fatina mi facesse cagare arcobaleni, è il tizio del pianoforte.

Mi guarda stranito, ma subito fa un sorrisetto un po' troppo malizioso, sicuramente avrà visto la mia faccia nell'averlo riconosciuto.

"Come ti chiami?"

"Perchè vuoi saperlo?"

"Perchè non rispondi?"

"Perchè ti sei fermato davanti casa mia?"

"Perchè la mia casa è quella di fronte"

Resto un attimo spiazzata, ma riprendo prontemente il controllo.

"Allora perchè sei nel mio giardino e non nel tuo?"

"Perchè voglio conoscerti"

"Ma io non voglio"

Forse ho esagerato, ma non sono molto brava a conversare con la gente. Infatti lui si gira e si dirige verso casa sua. Non fartelo scappare, voleva solo conoscerti.

"Nori" Gli grido e vedo che si gira. "Nori Sanders"

Mi sorride e questa volta non è malinconico, ma soddisfatto, contento?

"Thomas Baker"

Il segreto dei nemici malsaniWhere stories live. Discover now