Singularity;
Nell'inverno dei miei venticinque anni, poco dopo il mio compleanno e prima di Natale, mi ritrovai per le strade della mia città d'infanzia dopo molto tempo; non mettevo piede in Gyeonggi da circa cinque anni, dopo essermi trasferito a Seoul per studiare recitazione teatrale. Il freddo vento di Dicembre mi screpolava le labbra con il suo soffio violento, mentre il mio naso si faceva sempre più rosso ed indolenzito. Il lungo giacchetto color sabbia mi copriva a malapena le ginocchia, e i guanti mi salvavano le dita dal gelo di stagione. Non ricordavo Gyeonggi così bella, soprattutto se ricoperta da neve. Probabilmente perché non l'avevo mai vista davvero. La strada completamente bianca e pericolosa, sotto i fiocchi gelati, mi riportava alla mente la mia tenera infanzia, fatta da dolci bugie e amore viziato. Mi riportava alla mente ciò che avevo rimosso, perché ricordare che il mio migliore amico era morto in una giornata di neve non era affatto piacevole. Min YoonGi, il mio compagno di stanza quando ancora non sapevo niente di me, il mio compagno di banco in una scuola che non mi piaceva, la mia spalla su cui piangere quando avevo paura, di notte, durante le fresche intemperie di Maggio. Min YoonGi era un ragazzo davvero, come dire, strano. Apatico, forse, ma non con me, affatto; con me YoonGi era un fiore in piena fioritura, da amare e da curare. Bisognava dare attenzioni a YoonGi, più di quanto sia normale darne: un giorno potevi vederlo felice e sentirlo suonare il pianoforte nel nostro appartamento, mentre altre volte lo potevi trovare seduto sul parapetto del minuscolo terrazzo in procinto a buttarsi. Era un po' così, da prendere alla giornata. Non sapevi cosa aspettarti da lui, perché non c'era regolarità alla sua pazzia. Io lo avevo denominato "artista", perché molti artisti sono pazzi, come lui, anche se odiava essere chiamato così; ogni volta che mi sfuggiva dalle labbra, mi rivolgeva uno sguardo fulminante, da farmi venire la pelle d'oca. «Non sono un artista. Non ho niente per esserlo» diceva poi, sedendosi sul divano e appoggiandosi alla mia spalla, e "niente" ripeteva, fino a piangere. YoonGi era così, una meraviglia della natura, il più confuso tra gli esseri umani e il più sapiente di tutti; provavo una tale ammirazione per lui che mi perdevo nelle notti a guardarlo dormire, chiedendomi come una persona così gracile fosse piena di emozioni. Sì, YoonGi era come una tela piena di colori, buttati lì, a creare qualcosa di indefinito che per alcuni poteva definirsi arte - come per me - e per altri un fallimento - come per lui. YoonGi era, perché qualcuno me lo portò via. Era Gennaio, quando YoonGi uscì per l'ultima volta dalla porta di casa senza fare più ritorno, «esco con quel ragazzo di cui ti ho parlato, tornerò stasera sul tardi» mi disse, con un sorriso che sul volto di YoonGi non avevo mai visto; il rossore sulle sue guance in contrasto con l'atmosfera gelida di quel mese, il rossore del suo sangue in contrasto con il bianco la neve. Non ricordo il nome del ragazzo con cui doveva vedersi; HoSeok? forse NamJoon? onestamente non lo ricordo. Ho preferito rimuoverlo. Certe cose non si vogliono ricordare. Ma ricordo bene il vuoto che mi aveva lasciato nel cuore, un vuoto che ancora non è stato colmato; perché forse per YoonGi provavo troppo affetto. Quando mi trasferii a Seoul, decisi che non avrei più avuto un coinquilino, perché l'unico coinquilino che volevo era YoonGi. Era un chiodo fisso, un po' piegato e rugginoso, ma saldamente ancorato al muro. Gli anni dell'università erano volati, ed io ero rimasto indietro. Forse il trauma, ma dicendo così darei la colpa a YoonGi, e non voglio. Mi isolai, amici anche di vecchia data avevano cercato di tirarmi su, senza successo. Un po' perché io non volevo aiuto, e un po' perché loro non mi conoscevano davvero. Anche io sono strano, forse era per questo che io e YoonGi ci trovavamo bene, ma le stesse parole dette da altri avevano un peso totalmente diverso. Le parole di YoonGi le percepivo più sincere, «hyung, penso tu sia il ragazzo più bello che abbia mai visto» e su ciò mi ero costruito il mio egocentrismo. Prendevo tutti i complimenti di YoonGi e li facevo miei, mi arrampicavo su essi e mi costruivo il mio castello di illusioni, tanto per rafforzare il mio ego. YoonGi era il mio sostegno, colui che mi rese affatto modesto. Fu colui che, viziandomi di complimenti, mi fece prendere la consapevolezza del fatto che, l'unica cosa che avevo, era la bellezza. E la capacità di recitare. Fu colui, quindi, che mi suggerì di fare recitazione, teatrale soprattutto, perché YoonGi era un incredibile sognatore. Una notte mi disse «hyung, se mai un giorno diventerai un attore di teatro, potremmo lavorare insieme. Tu reciteresti ed io accompagnerei le tue avventure con la musica». YoonGi voleva diventare un pianista di successo, un compositore di sogni; e il suo sogno gli era stato portato via nel momento esatto in cui lui era stato portato via da me. E così, tutti i voucher dei musei d'arte, dei concerti futuri, degli spettacoli persero valore, e furono chiusi in un enorme scatolone nella soffitta della mia casa di infanzia. Ma, quell'inverno, la nostalgia solleticò il mio palato e, in una notte, mi ritrovai a guardare dentro quella scatola più piena di polvere che carta. Vi trovai un pezzo di carta che avevo raccolto dalle tasche di YoonGi, la mattina prima che se ne andasse. Una mostra di arte classica, proprio lì, a Gyeonggi, pochi giorni a seguire. Ne fui dolcemente sorpreso, e il ricordo di YoonGi che mi aveva promesso di andarci insieme mi torturò il cuore. Decisi di andarci, perché l'avrei vista anche per lui; a YoonGi piaceva l'arte classica, me ne parlava sempre durante le lezioni di matematica che, invece, odiava. Me ne parlava e potevo vedere nei suoi occhi il luccichio di una persona innamorata. Perché YoonGi, a differenza mia, sapeva cosa fosse l'amore. Che fosse per l'arte, per sé stesso, per colui che sognava la notte. Mentre io, abituato ad amare solo il mio essere, non riuscivo a comprendere cosa provasse.
Era Venerdì sera, quando la deve aveva cominciato a ricoprire le strade di Gyeonggi; una lieve spolverata di zucchero a velo sugli alti palazzi della città, a rendere magari il ricordo più dolce. Perché in realtà odiavo Gyeonggi. Rappresentava il passato di una infanzia fatta di bugie elegantemente servite su un piatto d'argento dai miei genitori. Mi dicevano che sarei stato tutto ciò che avrei voluto: un astronauta, un pilota di aerei, un pittore di successo, uno scrittore di best seller. Menzogne. Tutto ciò che volevo essere non esisteva. O meglio, non poteva più esistere. L'esistenza di YoonGi aveva gravemente cambiato la mia prospettiva: ogni cosa la ricollegavo a lui; ed anche io solo essere il migliore amico di Min YoonGi mi era stato negato, e allora io non avevo altro da voler essere. Però, quella neve, mi sembrò più fredda, più gelida, più bianca, e mi ricordò la pelle di YoonGi. La pelle che mai avrei voluto veder macchiata di quel rosso scarlatto. E mi persi. Mi persi a guardare quei fiocchi che cadevano leggeri fino a toccare l'asfalto e ad unirsi con il resto dei loro simili. Quando tornai in me, realizzai di essere finito nel centro di Gyeonggi. Con gli anni, avevo iniziato a guardare dall'alto in basso il resto dei ragazzi, soprattutto. Mi ero convinto che nessuno era alla mia altezza, che nessuno potesse avvicinarsi al mio livello. Diciamo che YoonGi, un po', mi aveva persuaso e, come diceva lui, ero il ragazzo più bello di questo mondo. Peccato che YoonGi non lo avesse visto tutto. Quando fui davanti all'ingresso della mostra, l'aria fresca di una primavera lontana mi solleticò l'olfatto. Vi entrai come se fossi ad una sfilata di moda, e passavo accanto a quadri e sculture come se facessi parte di loro. Quadri su tele ad olio, a tempere, sculture di gesso e marmo, me, SeokJin, con la bellezza che madre natura mia aveva donato.
Ma poi, lo vidi, e pensai di star sognando. Forse un incubo. Un ragazzo dai lineamenti dolci e in armonia, vestito di eleganza con decorazioni in perla, se ne stava vicino ad un gruppo di esperti, annuendo. Non sembrava aver intenzione di proferire parola. Sembrava un involucro vuoto, privo di giudizi e opinioni, che stava lì a fare l'opera d'arte vivente. Mi rubò la parola e il fiato, i pensieri. Quel ragazzo sembrava fare parte di una collezione di gioielli, di una collezione di statue, di una collezione d'arte del collezionista più fortunato di tutti. Passai vicino a costui, e mi girai a guardarlo dopo averlo superato; mi guardò, e mi aspettavo una smorfia. Sorrise. Un sorriso che vagamente ricordava quello di YoonGi. Emanava lo stesso o simile calore. Mi rifugiai in una delle sale più isolate, seduto su un divanetto di pelle nera a fissare un quadro intitolato "la caduta degli angeli". Una meraviglia tanto solitaria quanto ingiustamente crudele. Il mio cuore galoppava una strada da cui difficilmente avrebbe fatto ritorno. Stavo forse morendo anche io? Un po' lo speravo. Una mano si poggiò sulla mia spalla. «Stai bene?» fu un sussurrò al sapore di pesca. Mi voltai, e sentii di essere circondato da pura arte; il ragazzo si sedette al mio fianco, sorrise. «La caduta degli angeli. Non pensi anche tu che sia un quadro che fa soffrire? Non tutti abbiamo persone care che cadono, se ne vanno, ma che a differenza degli angeli salgono in cielo» disse, e una stretta al cuore mi fu fatta. «Mi chiamo Kim TaeHyung, ma puoi tranquillamente chiamarmi Tae» disse, e il suo sorriso rettangolare apparve davanti ai miei occhi. Rimasi ancora senza parole. Come poteva esistere qualcosa di tanto bello? Non poteva essere vero, non in questo mondo. Continuava a fissarmi aspettando una risposta che tardi sarebbe arrivata. Rimasi lì, a fissare lui e poi il quadro, in un infinito loop dal quale non sarei mai voluto uscire. «Kim SeokJin» sussurrai, quando le guardie ci obbligarono ad uscire. Era rimasto tutto il tempo con me, a guardarmi senza dire una parola. Mi aveva permesso di contemplare qualcosa che forse col tempo avevo perso, come avevo perso YoonGi.
YoonGi, sempre YoonGi. Non sapevo pensare ad altro. Ma in quel momento non stavo pensando a YoonGi. Questo Kim TaeHyung sembrava la Luna, il Sole e le stelle. L'arte classica e moderna. Un concentrato di tutto, mentre io, in confronto, ero niente. Mi propose di prendere un caffè insieme, e non riuscii a dirgli di no. «Ti porterò in un posto molto bello, mi ci ha portato il mio manager per affari» disse mentre parlava. Parlava poco, ed io stavo in silenzio. Non sapevo cosa mi stava succedendo, di norma ero una persona chiacchierona. Il gatto mi aveva mangiato la lingua, e quel gatto era TaeHyung.
Effettivamente mi portò in un posto di lusso, con un arredamento troppo raffinato per il mio maglione color panna. TaeHyung iniziò a parlare di sé: «Sai, sono un modello. Cioè, in realtà vogliono che lo sia; fino a questa estate ero un pittore. Mi piaceva essere un artista di strada, disegnare ciò che mi capitava. Ma poi, un giorno, un ragazzo mi ha visto; mi ha fatto un ritratto senza accorgermene, e il dì seguente mi sono ritrovato sul muro di una mostra. Divertente, no? Sono finito per essere ciò che facevo, e ciò, in realtà, non mi piace affatto» sorrise amaramente, bevendo il suo caffè. L'invidia che provavo per lui divenne quasi più compassione, compassione per un ragazzo che, come me, non era ciò che voleva.
La notte lo pensai, lo pensai tanto e forse troppo per essere un semplice sconosciuto. Qualcosa dentro di me diceva che non era una coincidenza. Pensai poi a YoonGi e mi scusai con lui per non averlo pensato, gli spiegai perché, e sperai nel suo dolce perdono. Percepii che il suo zampino da gatto c'era in tutto ciò, come a dirmi "guarda hyung, non sei l'unico". Però quel ragazzo aveva preso l'unica certezza che avevo. Mi sentivo inferiore a lui, un misero granello di sabbia in confronto alla profondità del mare che era lui. E piansi, perché mi mancava YoonGi e perché, per la prima volta, non era la persona che volevo rivedere. Volevo rivedere TaeHyung, ad ogni costo. Mi aveva rapito, qualcosa di lui mi aveva posseduto. Forse il suo sorriso, la sua gentilezza, la sua bellezza senza pari. Il giorno seguente andai a cercarlo, il mio cuore diceva che forse aveva bisogno di me, che anche lui voleva vedermi di nuovo. Magari mi aveva pensato tutta la notte, aveva sperato che l'indomani sarei tornato alla mostra, e così feci. Lo trovai seduto lì, davanti alla caduta degli angeli, a piangere. «TaeHyung, cosa è successo?» gli chiesi sottovoce, sedendomi al suo fianco. Appoggiò la fronte sulla mia spalla, sussurrò parole indecifrabili e un "aiutami" disperato. Forse per la prima volta avevo trovato qualcuno che mi ricordava YoonGi e che, forse come lui, mi avrebbe capito. Mi sembrò di essere tornato in quelle mura che erano il nostro appartamento, nelle notti di Maggio, quando pioveva inaspettatamente. Portai via TaeHyung, gli chiesi di fidarsi di me, una persona che non si fidava neppure di sé. Gli chiesi di aggrapparsi ad un'àncora che lo avrebbe fatto affondare, perché stava già affondando. E TaeHyung si fece trascinare giù, come aveva fatto YoonGi. Sentii che questo era opera sua, mentre aiutavo TaeHyung a fuggire da quella vita che non voleva e non riconosceva come sua. Voleva tornare ad essere un pittore, povero magari, ma a dipingere ciò che vedeva.
Dipinse me, quella sera. Mi chiese da fargli da modello. Fu strano, fu bello. Una sensazione mai provata prima. Arte che faceva arte prendendo come soggetto me, un misero insetto dalla forma umana. TaeHyung mi rappresentò circondato da fiori bianchi dalle punte blu, diceva di aver letto la loro descrizione su un romanzo. Quella sera mi sentii vivo, apprezzato come da tanto tempo non mi sentivo. Eravamo felici entrambi, forse come entrambi non lo eravamo da tempo. TaeHyung divenne il nuovo bocciolo da annaffiare ogni sera, da custodire e curare. Col tempo avevo capito che sarebbe diventato un fiore bellissimo. Nacquero i germogli e solo poco dopo mi resi conto che lo amavo. Conoscendo sempre più quel ragazzo che, lentamente, aveva iniziato ad essere una presenza certa nelle mie giornate. E capii gli ultimi sentimenti di YoonGi per quel ragazzo che forse si chiamava HoSeok oppure NamJoon, che però non ricordo. Capii, e adesso capisco, tutto quell'amore che vedevo nei suoi occhi a parlare di arte. Capisco che bisogna tirare avanti, e che YoonGi aveva il profumo di pesco tra i capelli, come la primavera. E che forse è anche un po' colpa sua, se adesso TaeHyung è seduto nella platea a guardarmi recitare in un'opera inglese quasi sconosciuta a molti, a piangere perché il mio personaggio è finalmente felice. Felice grazie all'amore che ha finalmente trovato.
Un po' come io ho trovato lui.Un grazie speciale a te, mio migliore amico.
A/A
Spero vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate, per favore.
Ah, mi sono dimenticata di dire che è dedicata a seokdade che spero di non aver deluso in nessun modo. Spero ti sia piaciuta unnie.
A presto.
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SINGULARITY ー kth;ksj | OS
FanfictionQuel giovane, con la sua bellezza, mi privò della mia. Dedicata a @seokdade