Finn ride.
E quando ride, Rachel può giurarlo, fa invidia agli angeli.
Alza prima un angolo della bocca, poi l'altro, in un sorriso adorabile. Un sorriso che parte dagli occhi. Getta la testa all'indietro e parte nella sua risata rumorosa che, a Rachel, sembra così dolce e lieve. Rachel, quando Finn ride, ride a sua volta. O, almeno, sorride.
Perché non può farne a meno. Non può resistere al volto adorabile del suo ragazzo, che la prega con gli occhi sorridenti di ridere con lui. E lei lo accontenta, perché lo ama.
Ama ogni più piccola cosa di lui: i suoi occhi scuri, le sue labbra sottili, la sua pelle morbida e profumata – dopobarba –, il suo essere così alto. Perché, quando Finn la abbraccia, Rachel si sente sicura, tra le sue braccia così forti ma tenere allo stesso tempo.
Hanno cantato “A smile”, una volta, Finn e Rachel. Al primo anno. E sorridevano, ed erano insieme, e stavano bene. La cantano anche adesso. Rachel seduta sul letto, gli occhi chiusi, la voce calda di Finn nelle orecchie, come sempre. La voce di Finn è sempre nelle sue orecchie. La sua voce e il suono della sua risata, cose che si porta dentro da sempre, e che ha riconosciuto ascoltandolo come se fosse stata una parte di lei che doveva solo ritrovare. Per questo Rachel lo ama: perché è la sua anima gemella.
E per questo Rachel canta “A smile”, adesso.
Ma non sorride.
Finn ride.
Puck gli tira una gomitata nelle costole, scherzosa. Sono piegati in due dalle risate.
Puck si appoggia a Finn, incapace di restare in piedi: ride troppo. E Finn lo sostiene, o almeno sembra. Perché Puck cade a terra, con un tonfo. Sbatte un ginocchio e impreca tra le risate, perché non può smettere. E sente la risata del suo migliore amico, al suo fianco. E Puck cerca di tornare lucido perché, questa volta, Finn non lo ha retto, e gli vuole chiedere perché. Sono fratelli, e devono sostenersi a vicenda, sempre.
Puck non ha una famiglia normale, è un ragazzaccio, non riesce a fare la cosa giusta, mai. Ma c'è sempre Finn, che lo fa tornare sulla retta via, anche se ogni volta che Puck fa una cazzata, ride. Ed è per questo che anche Puck sta ridendo: perché ha appena pestato un ragazzone nel vicolo dietro un bar. È tornato a casa, ha pensato alla sua cazzata, e Finn è scoppiato a ridere: Puck l'ha sentito ridere. Ed ha iniziato anche lui, ma Finn non l'ha sostenuto. Quando Puck riesce a calmarsi gli occhi lacrimano ed ha ancora l'ombra di un sorriso sulle labbra. Un sorriso che svanisce dopo qualche doloroso istante.
Finn ride.
Quinn trova adorabile il suo sorriso, ma non la sua risata. È troppo sguaiata. Eppure, sentirne il suono adesso le fa piacere. Ascolta Finn ridere di qualcosa – qualcosa di stupido, probabilmente. E si ritrova a sorridere a sua volta, perché, nonostante sia fastidiosa, è anche coinvolgente, la sua risata. Quinn scuote leggermente la testa, sorridendo ancora, e si siede su una poltrona in casa dei suoi. Canta “You've got my baby”, Quinn, e Finn la accompagna con la sua voce calda. La prima volta solo Finn ha cantato quella canzone, e quella volta Quinn è stata cacciata di casa. Ma adesso cantano insieme, perché la canzone è bella, loro sono amici e ormai non c'è nessuna bambina bionda – con la cresta – nella pancia di Quinn. Quando la canzone finisce Quinn prega Finn di smetterla di ridere a quel modo, perché non c'è niente di divertente. E Finn risponde – lei lo sente rispondere – che è divertente che proprio lei stia cantando quella canzone, dopo tutto quel tempo. Quinn scuote la testa e gli risponde qualcos'altro, qualcosa che non ricorda e che non fa in tempo a finire. Perché arriva sua madre, e li interrompe. Abbraccia Quinn e la culla tra le braccia, e Quinn non capisce, e non vuole che sua madre faccia così davanti a un suo amico.