2015
Giù, fin dentro lo stomaco. E' dove nascondo le mie emozioni, dove le cristallizzo nel tentativo che non vengano più a bussare alla mia gola. Le spingo giù finché di loro non vi è più traccia.
Socchiusi gli occhi quando un filo di vento mi smosse i capelli e li spinse sul mio viso. Il rumore del mare che nel silenzio di quella mattina sembrava di un volume insormontabile, come se lo stessi sentendo con le cuffie nelle orecchie.
Portai una mano sui capelli, tirandoli piano dietro le orecchie. Un respiro smorzato da un rumore sordo alle mie spalle e le mie palpebre spalancate all'improvviso. Mi alzai di scatto muovendo le pupille ovunque, cercando qualcosa che potesse aver causato così tanto sobbalzo al cuore che, nel petto, mi stava letteralmente esplodendo.
"Per tutti i cerchioni! Credo di essermi rotto il polso." Quando abbassai lo sguardo, il ragazzo accovacciato per terra aveva una faccia sofferente e il palmo sinistro avvolto intorno al polso destro. Socchiusi le labbra non sapendo cosa dire, cosa fare. Avrei dovuto aiutarlo?
Dopo pochi secondi alzò lo sguardo scuro su di me e i suoi occhi dal colore delle tenebre si posarono sui miei pezzi di prato. "Scusami! Bimba! Non volevo mica spaventare gli angeli!".
Lo fissai a lungo, i suoi capelli verdi spiccavano tra l'azzurro chiaro del cielo e quello concentrato del mare. Era quel tipo di persona che passava difficilmente inosservata. Mi aveva appena chiamato "bimba", eppure sulle mie labbra rosse dal freddo, non riuscii a trattenere un mezzo sorriso per il suo modo di fare così fuori dal comune.
"Iris." Forse lo dissi troppo glaciale, perché il suo volto si indurì leggermente per un secondo che parve un po' più lungo del normale. Avrei voluto chiedergli scusa per la durezza con il quale avevo pronunciato il mio nome, e poi per la durezza con il quale lo avevo guardato quando mi aveva chiamata bimba. E poi magari gli avrei spiegato che non ero assolutamente offesa per quel nomignolo, perché il modo in cui lo aveva detto non era suonato così offensivo.
Ma non dissi nulla; dalla mie labbra strette tra loro non uscì più nulla oltre al mio nome.
Lui si mise dritto, ma solo quando si alzò capii che in realtà era più alto di me di almeno dieci centimetri. Fui costretta addirittura ad alzare il mento per continuare ad osservare quegli occhi che non volevano staccarsi dai miei.
"Michael."
Parlò all'improvviso ed io senza neanche aspettarmelo sbattei le palpebre come se fossi stata risvegliata da tutti i pensieri che mi frullavano per la testa.
"Ti ho chiamata "Angelo" senza accorgermi che i tuoi capelli sono più scuri dei cerchioni delle macchine."
Io aggrottai un po' le sopracciglia, guardandolo e chiedendomi perché avesse quella strana fissazione per i cerchioni delle macchine. Non riuscivo veramente a trovarne il senso.
Ma lui continuò poco dopo, come se non avesse detto nulla di strano. "O forse tu sei un angelo un po' fuori dal normale." Constatò, mentre si portava un dito sul mento fingendo di risolvere un'espressione complicata con il limitato utilizzo della mente.
Increspai le labbra non sapendo cosa rispondere. Forse avrei dovuto dire qualcosa, chiedergli perché se neanche mi conosceva continuava a parlarmi. Oppure avrei dovuto voltare le spalle ed accettare il fatto di essermi imbattuta in un tizio che con la testa ci stava ben poco.
Invece mi avvicinai, senza dire niente e senza staccare i miei occhi verti dalle sue tenebre. Gli presi il polso e lo sganciai dalla presa della sua mano. Il punto in cui lo stavo toccando si riempì di brividi. Forse perché non ero molto abituata ai contatti; non che quello fu un contatto così speciale, semplicemente mi vibrò nella mente il fatto che io, Iris, la ragazza che non salutava neanche con un bacio sulla guancia, stesse ora toccando la mano di uno sconosciuto.
Mi venne quasi da sorridere, ma non lo feci. Provai a muovere lentamente il suo polso, puntando di nuovo gli occhi nei suoi. Le sue labbra e le sua sopracciglia si avvinghiarono in una posizione che espresse al massimo il suo dolore.
Ma non aveva urlato; non era nulla di rotto il suo polso.
"Non è rotto." Constatai, distogliendo gli occhi dai suoi e tornando ad osservare il lieve rossore che si era formato sulla parte in causa del suo dolore.
"Per un attimo mi è sembrato così, forse è solo una distorsione." Disse, serissimo, prima che il suo viso si aprisse in un sorriso da perdere il fiato.
I denti bianchissimi e le labbra stirate, geometricamente perfette. Mi ritrovai a fissare i suoi occhi assottigliati da quell'espressione netta. Infondeva tanto di quel calore che in poco tempo ebbi paura che mi fossi ritrovata a sventolarmi con la mano per non sentire caldo.
"Grazie mille, Angelo Iris." Sussurrò, mantenendo quel sorriso sicuro e sincero.
Non volli esagerare, ma sembrò di sparire. Sembrò come se non fossimo più in riva ad una spiaggia in un'alba qualunque di Aprile.
Sembrò come se da un momento all'altro qualcuno avesse spento un interruttore che segnava "Rumore del mare" ed un altro che segnava "Vento che scompiglia i capelli". Tutto rimase immobile per pochi minuti.
E, in quei pochi istanti, giurai di aver sentito i cristalli nel mio stomaco sciogliersi un po', quel tanto che basta da permettermi di tornare seduta e di farlo sedere accanto a me; nel mio piccolo posto di mare speciale.
Uno sconosciuto.
Anzi no, Michael.
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La fermezza del cielo
Random2015 Giù, fin dentro lo stomaco. E' dove nascondo le mie emozioni, dove le cristallizzo nel tentativo che non vengano più a bussare alla mia gola. Le spingo giù finché di loro non vi è più traccia. 2018 Ed è stato quando ho visto tramontare in poche...