La neve bianca

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Apro la finestra per far entrare un po' di aria. Fuori nevica. Il vento è lieve ma così freddo che mi entra dentro le ossa, le attraversa e arriva dritto al cuore ricordandomi che nonostante tutto sono ancora viva. Ma il freddo che sento nel mio cuore non viene da fuori ma nasce da dentro di me, dalla profondità della mia anima. È nato nel momento esatto in cui ho smesso di lottare. È così bella la neve. È candida, soffice, bianca. Non ne conosco il perché ma quando viene giù dal cielo è come se tutto intorno regnasse la pace. È come se per un attimo il tempo si fermasse. Forse questa è l'ultima neve che vedrò nella mia vita. Chiudo la finestra e so che dovrei rimettermi a letto ma non lo faccio, afferro la vestaglia blu ed esco dalla porta, facendo attenzione a non svegliare Eugenio che dorme sulla sedia. Durante tutti questi ultimi mesi non ha fatto altro che vegliare su di me, è stanco ma soprattutto terribilmente triste perché sa bene che non ce la farò anche se mi dice l'esatto contrario. Il corridoio è lungo e freddo come tutti quelli che si trovano negli ospedali: è difficile sentire una sensazione di calore in un posto come questo. Mi guardo intorno ma per fortuna non c'è nessuno. Posso tranquillamente uscire senza essere vista. Con molta fatica arrivo alle scale e lentamente scendo al piano di sotto, arrivo all'uscita e l'attimo dopo sono fuori. Mi avvio vicino al piccolo giardino che punta dritto verso la mia stanza e mi abbandono alla neve, apro le braccia e giro su me stessa. La sento cadere soffice sulla mia pelle, come mi accarezzasse. Cerco di afferrarla ma non ci riesco. Si scioglie appena entra in contatto con quel po' di calore che ancora ha la mia mano. Scompare esattamente come me che me ne sto andando. Sto morendo, di un male che è difficile da estirpare, contro il quale ho lottato con tutte le mie forze fino ad non averne più e finire con l' arrendermi. Non posso credere che sto lasciando questo mondo. Che non potrò più vedere il volto di mio marito, sentire l'abbraccio di mia madre, sentire il profumo dei fiori o vedere il sole. Le lacrime bagnano il mio viso. Sono calde, numerose, incessanti, vorrei fermarle ma non ci riesco. Sfuggono al mio controllo proprio come la mia vita che ormai non mi appartiene più. Nel mio cuore sento una grande tristezza e una nostalgia così profonda che quasi mi soffoca. Sento freddo, ho i brividi, mi sento debole, tutto quello che mi circonda sembra lontano. Sto per cadere ma qualcuno mi afferra.

– Sei impazzita! Uscire fuori in queste condizioni! – faccio in tempo a guardare il suo viso: è quello di mio marito Eugenio. È così bello. Lentamente chiudo gli occhi lasciando per sempre questa vita.

– Amore mio! Amore mio che ti succede?! Apri gli occhi. Non puoi lasciarmi così presto, non ora!!! – e invece sì che posso lasciarti, lo sto facendo, sento le sue ultime parole e poi più nulla.

Il silenzio mi circonda ed è così profondo che quasi mi fa paura. Intorno a me non c'è niente. Solo il deserto. Non so bene dove mi trovo ma questo posto mi incute una certa paura. Non c'è il sole, il cielo è ricoperto di nuvole e sento anche freddo. Non ci sono neanche alberi, se non uno: spoglio e senza foglie. La terra intorno a me è così arida e dura che riesco a vedere e sentire sotto i miei piedi le screpolature che si sono formate. Mi guardo i piedi e sono senza scarpe. Indosso solo un pigiama, ed è quello che avevo in ospedale. Non capisco bene quello che mi sta succedendo. Come posso trovarmi in questo posto se fino a qualche minuto fa ero altrove? Inizio ad avere paura, forse il tumore mi sta facendo vedere cose che non esistono e sto immaginando tutto o forse sono morta e mi ritrovo in quello che comunemente viene chiamato "al di là"? Mi sento sola e sperduta in questo posto da cui penso che non riuscirò ad uscire. Giro e giro ancora fino a cadere per terra, mi porto le mani alla testa e inizio a piangere. Sento una strana sensazione, come se qualcuno accarezzasse i miei capelli, alzo la testa e vedo esattamente di fronte a me una bambina di circa 10 anni: capelli lunghi, lisci e neri. Due grandi occhi marroni innocenti che mi fissano. Tiene in braccio un coniglietto azzurro, lo stringe forte e a guardandolo bene è identico ad un mio vecchio peluche che avevo da bambina. Lo adoravo e da grande ho continuato a tenerlo con me nonostante fosse tutto vecchio e brutto. Mi sembra di conoscerla ma non ricordo dov'è l'ho vista. Mi chiede di seguirla, vorrei farlo ma c'è una forza che mi tiene legata a terra. La sua immagine si fa sempre più lontana fino a scomparire. Mi risveglio il giorno dopo nello stesso posto. Mi alzo e mi rimetto in cammino senza una meta precisa. Scorgo in lontananza una figura minuta ma non riesco a distinguerla bene, mi avvicino ed è la bambina di ieri. Mi dà la mano e questa volta la afferro. Camminiamo in silenzio, mi sorride mentre tiene stretto il suo coniglietto. Arriviamo in un campo pieno di margherite bianche. Mi chiedo come possa esistere un posto del genere in questo deserto. Dietro di noi il nulla mentre qua il tutto. Sembrano due posti separati da una linea netta. Il sole è alto, mi piace questo posto, mi regala tanta pace. Mi fa cenno di sederci. Provo a chiederle il suo nome, non mi risponde, continua a fissarmi e a sorridermi. Ad un tratto una libellula blu si posa sulla mia mano. È bellissima. Il blu è il mio colore preferito. È strano. Tutti amano le farfalle io invece amo le libellule. Amo la loro libertà. Si dice che quando una libellula ti viene a trovare sia di buon auspicio. Mi chiedo come sia possibile considerato che mi trovo in questo posto. La libellula blu vola via e la bambina con il coniglietto in mano la insegue. La chiamo ma non mi ascolta. Scompare lasciandomi sola in questo posto. Rimango distesa su quel prato di margherite, contemplando il cielo. Assaporando la sensazione di pace che mi attraversa l'anima. Chiudo gli occhi e quando li riapro vedo Eugenio. Lo abbraccio. Per fortuna è riuscito a trovarmi. Ho una strana sensazione: lo sento distante come se non fosse il solito Eugenio di sempre. Mi afferra la mano e mi fa cenno di seguirlo, mi trascina per una strada buia quasi spettrale costringendomi ad abbandonare il campo di margherite. Nonostante ci sia lui, non mi sento al sicuro, ho una paura terribile. Mi sforzo di seguirlo, ad un tratto gli lascio la mano e corro via da lui. Mi insegue ma io corro più veloce fino a quando arrivo sulla punta di un dirupo. Lui è vicino. Mi sorride in modo perfido, il suo viso inizia a dissolversi e ne compare quello di una creatura mostruosa. Ho paura. Molta paura. Cerco di stare in equilibrio ma vacillo e cado. Chiudo gli occhi, un sussulto e quando li riapro sono in ospedale con Eugenio al mio capezzale che mi stringe la mano e piange.

– Sei ritornata da me amore mio... – mi dice con voce tremante – sei qui con me... Dio ti ringrazio! Lo abbraccio. Quello vero questa volta.

È arrivato da poco l'inverno, sono seduta su una panchina del parco che si trova sotto casa mia. È quasi passato un anno da quando mi sono risvegliata dal coma nel quale ero caduta e il tumore è sparito. Sono ancora viva. I medici non sanno darsi una spiegazione. Parlano di miracolo e forse hanno ragione. Dio ha voluto darmi una seconda opportunità, non è ancora arrivato il mio momento. Devo continuare a vivere ancora su questa terra. Forse lui ha un progetto per me che dovrò realizzare. Non ricordo quasi niente di quello che ho vissuto durante il coma, solo frammenti confusi e poco chiari. Molte volte mi sforzo di ricordare quello che ho vissuto durante questa mia esperienza ultraterrena ma non ci riesco. Non ha molta importanza, quello che conta è che io sia ancora qui: viva e felice. Ho imparato ad apprezzare le cose semplici della vita, a non lasciarmi condizionare dagli altri ma andare avanti per la mia strada. Ho imparato che sorridere fa bene al cuore, che la vita è bella e ringrazio Dio per essere ancora su questo pianeta. Oggi guardo il mondo con gli occhi di una bambina appena nata, con stupore e meraviglia. Vivo ogni istante come se fosse l'ultimo. Sono seduta su una panchina nel parco, mi sento felice e provo una pace interiore che ho cercato per tanto tempo e che ho finalmente trovato. Questa è la quiete dopo la tempesta. Prendo il libro nella borsa, lo apro e inizio a leggere mentre il vento freddo muove i capelli. Mi piace l'inverno soprattutto la neve che quest'anno però tarda ad arrivare. Ad un tratto una libellula blu si posa sul mio libro. È strano durante l'inverno non ci sono le libellule. È bellissima. Rimango immobile a fissare quest'essere speciale. I suoi colori sprigionano energia. Emanano calore e pace. Un fiocco bianco cade sul mio libro, alzo gli occhi al cielo: la neve. La libellula blu vola via mentre la neve cade ancora. Finalmente è arrivata. L'ho vista e la vedrò per molti anni ancora. È bianca, soffice e fresca. La neve cade ancora.


Le Lacrime di HalleyWhere stories live. Discover now