Una grande oneraria, carica di grano e libagioni provenienti dal lontano Aegyptum, solcava il mare in direzione del Corno d'oro, verso la torre genovese di Galata. Sia i numerosi remi, che sbattevano con veemenza contro la superficie acquosa del Propontide, sia le urla dei marinai all'opera, intenti nell'ormeggiare tale imbarcazione, creavano un immenso clamore, facilmente udibile fin dalle alte mura lapidee volute dall'imperatore Teodosio e dal suo prefetto Flavio Antemio in tempi assai remoti. Quali segreti nascondevano terre così lontane, la cui dominazione millenaria era stata messa a dura prova dalle orde barbariche provenienti dall'Oriente? La curiosità aumentava, la sentivo scorrere dal capo al petto e poi giù dritta alle gambe, desiderose di scagliarsi rapide fino alla baia, per ammirare le dorate ricchezze che fin dai tempi del divo Augusto avevano saziato le gole di migliaia di nazioni, unite sotto l'auctoritas del solo imperator.
Nel giro di pochi istanti, l'immensa capitale fu avvolta dal buio. E ora rimembravo la conquista di Patrasso e la sconfitta della dinastia dei Tocco d'Epiro, l'annessione di immensi territori all'impero e la mia nomina a protovestiario imperiale. Accadde tutto troppo in fretta, non ero assolutamente pronto a ciò... ma che ne sapevo io, giovane e intrepido ventenne, avido di gloria e di ogni onore?Preso il mio mantello, mi diressi velocemente presso il palazzo delle Blacherne, dove m'attendeva il βασιλεύς in persona. Doveva certamente riferirmi qualcosa di importante, altrimenti non avrebbe mai osato infrangere il rigidissimo e preciso cerimoniale di corte.
Il palatium, edificato per ordine dei Comneni del grande Alessio due secoli fa, risplendeva su di una modesta altura sita a nord-ovest, in direzione delle grandi mura difensive. Raggiungibile seguendo un percorso che costeggiava il mare, costruito in grezzo "statumen", era sorvegliato costantemente da mercenari provenienti dalla bella Butrinto, città epirota alleata dell'Impero dalla caduta del despotato d'Epiro di Michele I. Dopo essere stato accolto con le dovute attenzioni dalle giovani ancelle e perquisito da due scudieri, mi apprestai a raggiungere la stanza di Costantino, la più remota tra tutti i "cubicula" dell'immenso edificio. Durante il tragitto, ebbi modo di ammirare i meravigliosi mosaici parietali tipicamente bizantini, realizzati mediante l'utilizzo di piccoli tasselli finemente decorati d'oro: gloriose scene di guerra contro i Turchi, combattimenti tra soldati e battute di caccia al leone nella remota Lincestide erano immortalati su di ampie pareti rivestite in calcestruzzo. Manuele I fece davvero un ottimo lavoro, preoccupandosi di abbellire la sua capitale, ora colma d'ogni tipo di sfarzo e decoro, piuttosto che condannarla alla fatiscenza, triste destino di città gloriose quali l'eterna Urbe, Sirmio. Dyrrachium, la Palmira di Zenobia, Nicea, Treviri e molte altre ancora.
Bussando alla porta, l'ansia mi colse di sorpresa, invadendomi. Dall'interno del cubiculum, passi lesti e ansiosi si dirigevano verso l'uscio. Era lui. Non lo riconoscevo più.Costantino vestiva abiti modesti per il suo rango: una misera "subcula" di seta, tipico indumento notturno, dal quale si intravedeva pure un "licium" ricamato, dei "crepidae", sandali di cuoio intrecciato, piuttosto rovinati, e un "amiculum" purpureo, che dal collo gli pendeva fino a raggiungerne i talloni. Il suo aspetto non era dei migliori: una folta barba ispida attraversava il suo pallido viso dalle orecchie al mento, mentre i tristi e rossi occhi infossati suscitavano in me una certa inquietudine. Chiusa la porta, l'imperatore mi fece accomodare su uno sgabello argenteo adiacente alla sua scrivania, colma di cartine della città, delle mura, degli stretti occidentali, dei thémata meridionali e pure dei confini orientali, le regioni più difficili da gestire; sulla parete, un grande dipinto raffigurante Andronico II di Trebisonda mi fissava con estrema alterigia, mentre a terra, il pavimento in pietra era ricoperto da un preziosissimo tappeto proveniente dalla Persia, importato prima che la regione venisse interamente occupata dalle potenti armate turche.
- Qualche problema, mio sire? -
- È finita. Ci vogliono attaccare. -
Sussultai.
- Quando l'ha saputo, o maestà? Dovrei già saperlo, in veste di suo logothéta. Non mi è mai sfuggito nulla fino ad ora...-
- Sono troppi, è finita -.
- Sono "loro"? -
Alla mia domanda, Costantino non proferì alcuna sillaba.
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Historia de imperii fine
Historical FictionIn questo scritto Massimianus dà voce a Gorgio Sfranze, logotheta imperiale presso la corte di Costantino XI Paleologo nonché celebre storico del basso medioevo, rimembrando con nostalgia gli aspetti più significativi della caduta dell'Impero Bizant...