Capitolo 2

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Salve signor Brown. Posso chiamarvi Gabriel? Beh, penso proprio di sì, dato che a quanto pare presto saremo marito e moglie...
Andiamo, non ditemi che non avevate capito il mittente della lettera. Da una parte spero di no solo per potermi immaginare la vostra faccia di fronte a questo stupido pezzo di carta, ma dall'altra mi auguro che mio padre abbia trovato un uomo degno almeno di essere dotato di una certa intelligenza. "oh, ma che ragazzina insolente" penserà, ma no, questa non è insolenza. Ho sempre desiderato un uomo che mi tenesse testa, non uno che decidesse di darmi il suo cognome solamente per raggiungere certi scopi, e sappiamo bene entrambi che però sarà così, non menta a se stesso. Ma mi sto perdendo in chiacchiere, e questo non va bene. Forse avete acconsentito a questa proposta perché avete bisogno di qualcuno a cui lasciare la vostra eredità come ad un figlio, o perchè il senso di vuoto nella vostra casa è diventato insopportabile dalla morte di vostro fratello, ma di certo io non potrei essere una degna sostituta: sono testarda, voglio avere l'ultima parola su tutto, non amo essere comandata e pretendo i miei spazi. Probabilmente è una cosa passeggera per via della mia età, o come dicono le donne del paese, il mio modo di fare così sconcertante può essere dovuto alla mancanza di una figura femminile nella mia vita. Non m'importa. E non m'importa del parere che vi siete fatti di me o dei vostri mille pensieri nel leggere queste parole. Se questo è il mio destino lo accetterò, ma non senza averlo fatto a modo mio.
Capirete meglio di cosa sto parlando domani di persona. Vi aspetto all'alba nel posto dove ci siamo incontrati nella prima volta, e se non vi dovessi vedere, potrete considerare le nozze ufficialmente annullate.

Cordiali saluti.

Judith Mckanzie

Quelle parole lasciarono sconvolto l'uomo, ma non poté evitare di sorridere compiaciuto. Aveva carattere la ragazza, anche se non poteva immaginare cosa sarebbe successo l'indomani.
Aveva utilizzato il termine perfetto nella sua lettera. Insolenza. Eppure doveva ammettere che ci voleva un certo coraggio a fare ciò che aveva fatto lei... Quella lettera provocava in Gabriel sentimenti del tutto diversi fra di loro, e questa cosa lo turbava e accendeva allo stesso tempo. La scozzese gli stava lanciando una sfida, lo stava mettendo a dura prova: non tanto per l'incontro, dato che sapeva perfettamente il punto in cui la ragazza lo avrebbe aspettato l'indomani, si ricordava l'evento citato molto vividamente, e lo custodiva della propria testa con una certa gelosia, doveva ammettere, quindi sarebbe stato semplice raggiungerla, ma aveva capito a che gioco stava giocando, e lui doveva assolutamente vincere, anche se non lo aveva né proposto né iniziato. Semplicemente non poteva tirarsi indietro.
-La sto pur sempre accontentando, no? Vuole qualcuno che le tenga testa? E sia! Vediamo fino a dove può spingersi questa donzella- pensò rimettendo nella busta quella lettera e abbandonandola sul camino.
Procedette scalzo fino alla propria camera da letto passando per il lungo corridoio stretto e alto, con un pavimento in legno. Le pareti perfettamente bianche erano ornate da quadri di ogni tipo; andavano dai ritratti di vari membri illustri della loro famiglia, a copie di quadri famosi. I suoi preferiti erano quelli del fratello minore Joshua che provava un amore spropositato verso l'arte e la pittura. Avrebbe voluto fare l'artista, e Gabriel stava provando a fare tutto il possibile per permetterglielo, ma prima del suo debutto in società con i suoi quadri, Joshua venne incarcerato. Per tirarlo fuori dalla prigione Gabriel dovette accettare le condizioni del generale, e quindi il fratello fu costretto a cambiare la sua identità e perdere tutti i suoi averi oltre che i contatti con la sua famiglia che fu costretta ad inscenare la sua morte.
Quei quadri erano l'unica cosa che gli rimase del fratello, e ogni sera si fermava ad osservare uno sfiorandone la tela affascinato dallo scoprire qualche nuovo dettaglio di quel vasto paesaggio oppure del vestito di quella dolce donzella, ma provava anche un certo timore di rovinare qualcosa con il suo semplice tocco, e non appena ci pensava, ritraeva la mano andandosene in camera a testa bassa. Esattamente come fece per l'ennesima volta quella sera, ma stavolta con un sorriso divertito sulle labbra e con un pensiero diverso dal solito:

-finalmente qualcosa di divertente, cazzo-

Judith tentando di tenere a bada i suoi pensieri, si ritrovò a vagare senza meta, stretta nella sua mantella blu. Cosa sarebbe successo se il padre avesse scoperto la lettera mandata al signor Brown? O peggio ancora, quello che aveva in mente di fare l'indomani? L'avrebbe uccisa? Probabilmente. Le importava? Per niente.
Il vento che le solleticava il viso e le scombinava i capelli era l'unica cosa che in quel momento avrebbe potuto aiutarla a calmarsi più di tutti, eppure non riuscí a placare i sentimenti che provava. Non faceva che rivivere il momento in cui il padre le aveva annunciato il matrimonio, e ogni volta un brivido le ripercorreva la schiena. Era sempre stata consapevole che quel momento sarebbe giunto prima o poi, ma in quel modo stava andando tutto a rotoli, e questo non poteva accettarlo, non senza provare tutto ciò che avrebbe potuto fare per impedirlo.
Camminando non si accorse del buio che ormai incombeva sul paesino, e nemmeno del fatto che era giunta su strade a lei sconosciute. Guardandosi intorno vide solo qualche casa, alcuna ancora illuminata, ma nessuna di quelle le era affatto familiare.
Judith sentì un altro brivido lungo la schiena, ma sapeva che per la prima volta in quella serata non era per via del matrimonio che la aspettava, ma quello fu un vero e brivido di paura.
Andiamo Didi... Questo paesino è uno sputo, gira un paio di volte a destra e un paio a sinistra e sarai di nuovo a casa. Cosa vuoi che ti succeda?
Cercò di convincersi che era al sicuro, che non le sarebbe potuto succedere nulla, ma era così spaventata che bastò un latrato di un cane a farle scappare un urletto. Con quei nervi tesi ogni minimo movimento o suono apparentemente innocuo la metteva in allerta.
Non mi riconosco. La ragazzina che cavalca in mezzo ai boschi fregandosene dei cinghiali è la stessa a cui tremano le gambe per uno stupido cane?! Riprenditi Judith, riprenditi.
E successe tutto in un sol secondo.
Si sentì prendere per la vita e tirare indietro, e subito dopo una grossa mano le tappò la bocca con forza. Quella che prima la teneva stretta si era spostata e cercava di serrarle i polsi. Non riusciva a sentire le parole dell'uomo. Le fischiavano le orecchie, ma la piccola parte della mente che rimaneva lucida le imponeva di dimenarsi, cosa che fece cercando di colpire il suo aggressore. Non aveva soldi o beni di valore, ma a quanto pare non era a questo che puntava.
Non essendo sciocca, capì a cosa puntava, e ne ebbe la conferma subito dopo. Si sentì trascinare via, fino a quando il suo viso non fu a contatto con una fredda parete in pietra, e la mano che le tappava la bocca non esitò ad infilarsi sotto le sue gonne.
Successe tutto così in fretta:
Un gemito.
Un tonfo.
Imprecazioni.

Qualcuno le stava urlando qualcosa, ma lei non sentiva niente. Non si accorse nemmeno di avere di nuovo i polsi liberi o del viso rigato dalle lacrime. Le tremavano dalle gambe, ma nel guardare quei due uomini che si pestavano, Judith lasciò fuoriscire nuovamente l'aria che non si rese nemmeno conto di aver trattenuto.
E quando vide un giovane col naso rotto che le veniva incontro sorridendo, si sentì improvvisamente al sicuro.

-Spero che tu stia bene... Mi chiamo Alexander, e non vorrei essere arrivato troppo tardi-

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