quest'estate troppo lunga e dolorosa da ricordare.

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un nuovo giorno; sempre la stessa storia.

mi alzo alle prime fioche luci dell'alba, tiro su la tapparella dietro al mio letto, apro la finestra il più silenziosamente possibile e esco fuori sull'unico balcone spoglio che c'è, quello della mia stanzetta a misura di bambina di sette anni. non mi lamento ㅡ a volte è così che mi sento, esattamente così, una bimbetta desiderosa solo di nuovo e cambiamento. al tempo stesso, mi piace mantenere i miei principi stabili e sempre molto molto sfumati, delicati. la mia fermezza e abitudine mi tiene in catene e immobile nei miei desideri.

quando guardo giù dal mio balcone, mi perdo nella ricerca di altre forme di vita già sveglie con me, ed eccome se ce ne sono.
non esco mai con niente addosso oltre al mio stupendo e comodissimo copri-costume a fiori che sfrutto come camicia da notte, e a volte mi capita d'uscire anche senza essa, ma non mi sento per nulla osservata, in quel mio amato tepore fatto di apparente tranquillità e sogni ad occhi aperti.

insieme al pungente fresco sulla pelle e ai brividi, sento i primi uccelli. vedo il personale del frantoio di fronte a me mettersi in auto e dirigersi a lavoro. vedo i tanti micini neri del giardino davanti alla mia stanza aggirarsi per il cortile e saltare da un muro all'altro. vedo, solo a volte, due mie solitarie lacrime, due, una che scende dall'occhio destro e una dal sinistro, perché di più non so farne uscire e di più non ne ho, per quanto le vorrei.

aspetto il sole nel cielo insieme ai cinguettii e aspetto che il resto del paese si alzi. non so mai chi dorme e chi no, ma i suoni spiacevoli e di cui tanto mi lamento della discoteca e quelli assai frequenti delle macchine durante tutta la notte mi confortano, perché non sono mai la sola a restare sveglia e ad aggirarsi per casa come un cadavere che cerca la sua via.

un giorno mi ammalerò, e non voglio, perché quando mi ammalo ho paura di morire. in realtà non ne ho paura, ma non è così che voglio farlo. eppure, quando mi ammalo seriamente, posso prendermi una pausa dal mio corpo e dalla mia mente. mia madre non mi crede mai, nè quando sto male nè quando sto bene (ma a questo non credo neanch'io.) per le va bene vedermi e posso essere al suo servizio.
quando sto male e sono bloccata a letto mio fratello mi sussurra che magari stavolta ci resto secca.

guardo il sole che sorge sempre alla mia destra e aspetto solo che salga sempre più in alto. quando è al suo posto, e i colori dal rosa e dall'arancio diventano oro, è ora di rientrare. spengo tutto, abbasso di nuovo la tapparella lasciando entrare però quei fili di luce dorata e chiudo la finestra che fa sempre un gran rumore. a volte penso mia madre mi senta, ma almeno la notte mi da un po' di tregua. torno a letto e solo in questo momento mi concedo di chiudere gli occhi.

sogno sempre qualcosa, in quella mezz'ora di sonno, quando riesco a riposare. spesso, dormendo, mi torturo le dita e mi tolgo gli anelli, sto ferma in posizioni strane e una volta mattina sono piena di segnacci e solchi rossi ovunque. rimango bloccata tra le lenzuola e il mal di testa fin quando mia madre non mi intima di alzarmi perché devo badare a mio fratello, ma lei non sa che solitamente sono sveglia da giorni e con lei è tutto un "facciamo finta". facciamo finta che mi piaccia stare a tavola e sentire lei e papà parlare delle loro stancanti e pienissime giornate, al contrario delle mie passate nel "marcire il cuore e diventare una cicciona", facciamo finta che mi piaccia mangiare e mi piaccia fingere risate per non sentirmi nel posto sbagliato, nella casa e nella famiglia sbagliata, facciamo finta che gli errori siano tutti i miei e l'odio solo mio egoismo. facciamo finta di seguire lo stesso cammino. fingiamo che vada sempre tutto bene, fuori siamo la famiglia numerosa e perfetta e dentro le uniche vere quattro mura scanniamoci e distruggiamoci. e estendiamo le menzogne ovunque.

credo che giulia sia costantemente preoccupata per me, perché non rispondo per giorni e sparisco nei meandri del mio cellulare. amo e detesto pensare che si preoccupi di me e cerco di mandarle segnali per farle capire che sì, sto bene, va tutto bene, ma sono solo stanca, vuota e impegnata come sempre, che lei capisce.

mi alzo la mattina e ci sono le solite cinquanta chat a cui non rispondo da giorni, tutte mie fantastiche prove divenute fallimenti. è sempre così, tutto ha un inizio grandioso, pieno di parole troppo grandi e troppo importanti, ma questo tutto non è niente e non arriva mai da nessuna parte. ogni giorno cancello numeri di telefono dati con troppa facilità e chat identiche. è frustrante e nauseante. mai la giusta gustosa alchimia, mai quel fremito di cambiamento a cui tanto ambisco. distruggo amicizie di giorni e di anni in pochi minuti, le mie meravigliose storie sono un battito di ciglia e hanno la resistenza dei fiori tra gli uragani. è tutto un grande perdersi e riprovare, una partenza già ferma al suo inizio e mi sento maledettamente male e sola. ma io sono abituata a subire e soffrire e mia madre dovrebbe abituarsi a vedermi reagire.

quando la mattina va a lavoro tiro un sospiri di sollievo, evitarla è l'unica cosa che posso fare per temporeggiare e tentare di salvare la mia sanità fisica e mentale. passo il tempo tra il computer, le mie playlist su spotify e il mio fratellino e continuo a far finta di non esserci e a non mandare avanti i miei unici dialoghi, quelli su whatsapp. sempre la stessa storia.

a pranzo a volte mamma e papà ci sono e a volte no, ma io sto sempre a casa con mio fratello. il pranzo è solo un momento per menarsi e parlare tanto per aprire la bocca, mamma parla dei suoi ipotetici incubi delle quattro che è meglio non parlarne, e si conclude sempre allo stesso modo: io, nella mia stanza a isolarmi nel mio cervello e a cercare disperatamente la forza di piangere, e i miei genitori, a litigare con me senza neanche vedermi. il pomeriggio prendo il terzo caffè dello giornata e il mal di testa va a mille, ma se rimango senza il mio carburante crollo. ho sempre mal di pancia dopo che mangio e sì che mi sento di morire, vorrei finirla e smettere di sentire quel dolore tanto struggente. ma mamma non ci crede.

la sera cerco di uscire,cerco di evitare tutti e mi giustifico con "oh! scusa, non ero a casa!". mi specchio e penso che, con le lenti a contatto e ben truccato, il mio viso è bello e la mia frangetta mi sta proprio bene, poi ricordo di me struccata e con gli occhiali e voglio strapparmi la pelle dalla faccia per vedermi un soffio più carina. esco e cerco in tutti i modi di stare fuori casa perché, anche se il mio paese mi fa schifo, è meglio dell'appartamento dei miei. gli autobus partono quasi ogni minuto e vanno a bari, a triggiano, a valenzano, e nei miei desideri la scritta arancio in pixel sulla facciata dei pullman riporta i nomi di metropoli lontane migliaia chilometri e distanti anni di prigionia. per le strade mi sento meglio, girovago ovunque e da nessuna parte e evito chiunque mi passa davanti senza neanche guardare. quando torno a casa sono le nove e il solo pensiero di dover cenare allo stesso tavolo di sempre mi fa salire la nausea. per tornare passo per la stazione nuova e per il ponte sulla lama, il leggero rischio di attraversare questi luoghi con il buio mi attrae un mondo e rende la serata più fresca e più sopportabile, mi fa sentire meglio e più potente. lo sferragliamento del treno sui binari è rilassante, mi porta fuori dagli schemi e mi fa sentire lontana, lontana dalla mia stanzetta afosa e dal mio letto rosa sfatto, lontana dall'ignoranza della buona scuola, lontana dei ragazzetti miei coetanei che mi guardano male perché io so mettere l'eyeliner e ne metto pure tanto e loro invece no e perché nella mia foto profilo c'è ogni giorno un cinese diverso ma sempre uguale, ma soprattutto lontana da mia madre che mi guarda dritta negli occhi e tutta convinta mi ripete che sono impazzita e che avrebbe voluto una figlia migliore e un po' più normale e simile a lei. io come lei non voglio essere e il solo pensiero di diventarlo mi fa ribrezzo. il dolce dominante rumore dei treni rossi mi ricorda quanto ciò che voglio fare e essere è nettamente separato da ciò che farò e quanto la verità del mio futuro sia amara e non appagante: io ferma dietro uno schermo fatto di scrivanie e fogli vecchi e rovinati, a parlare e atteggiarmi come una che in teoria tanto sa ma nella realtà non ha mai vissuto nulla, e ad impuntarmi sulla merda di ogni giorno senza poter assaggiare il mutamento e la metamorfosi per cui tanto mi preoccupo e che tanto adorerei.

ma tra poco inizierò sto cazzo di liceo classico e il mio tempo lo metterò sui libri, la mia testa sarà meno disordinata e non avrò più il tempo di scrivere cazzate su piattaforme social e dire parolacce quando sono incazzata. forse. ma mi sa proprio che troverò sempre in qualche antro il tempo di lamentarmi e mai quello di aprire gli occhi, ignorare tutto e fare qualcosa per me, la mia salute e la monotonia delle mie giornate.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 05, 2018 ⏰

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