PROLOGO

429 12 6
                                    

Bumm!
Un rombo le risuonò nelle orecchie.
Caroline si svegliò di colpo, sobbalzando; le mani umide, il viso impregnato di sudore, i lunghi capelli bagnati e appiccicati ovunque.
<<Presto tesoro!!>>, la madre aveva spalancato la porta e la stava chiamando, la incitava a sbrigarsi. La ragazza leggeva la paura, il terrore nei suoi occhi. Capì cosa stava succedendo <<Avanti, andiamo>> insistette sua madre.
Si mosse piano nel letto, tra le lenzuola sudate, umide, fredde. Non poteva crederci, non poteva credere a quello che stava succedendo. Il suo peggior incubo stava davvero diventando realtà? No, non poteva essere.
<<Forza..!>> urlò sua madre, esasperata.
Caroline sapeva cosa doveva fare. Ne avevano parlato tutti, milioni di volte. E ora stava accadendo per davvero.
Saltò giù dal letto e corse dalla madre, la prese per mano. Il contatto la fece rabbrividire; le mani di sua mamma erano freddissime, tremanti e cadaveriche.
Iniziarono a correre, una velocità impressionante. Entrambe sapevano dove andare, perciò si muovevano piuttosto sicure, nonostante il caos totale che si era scatenato intorno a loro. I bambini urlavano, piangevano. Si sentivano i genitori gridare, gli oggetti cadere, le porte sbattere.
Era un vecchio convento, che era stato riadattato come 'condominio'. Ci vivevano un sacco di persone lí dentro.
Le porte dei diversi 'piccoli appartamenti' si aprivano e tanta, tantissima gente si era messa a correre nella loro stessa direzione.
BRUUMMMMM!!!!
La terra tremò, sotto i loro piedi. Un altro rombo, più forte del primo, riempí l'aria, creando ancora più sgomento, paura, terrore. Il panico si diffuse. La gente iniziò a urlare, le grida sommesse riempirono la testa di Caroline. La confusione, ovunque. Figure impazzite, ombre sconosciute, movimenti sommessi e scoordinati. Confusi. Tanta, tanta confusione, ovunque. Grida. Rumore. Caroline era ferma, immobile in mezzo a quel disastro. Gli occhi immobili, fissi nel vuoto, che vedevano la scena in modo quasi irreale.
"Non sta succedendo veramente" si disse, per rassicurarsi.
Chi erano quelle persone? Quei corpi bui, scuri, senza una forma? Quei visi pieni di terrore, le espressioni spaventose che modificavano i volti di coloro che, fino a qualche momento prima erano stati i suoi vicini di casa, le sue amiche, le simpatiche nonnine che cucinavano le torte e cucivano a maglia, i ragazzetti che giocavano a calcio nel cortile, le pettegole, i lavoratori, i bambini. E ora? Chi erano? Chi erano diventati? Caroline non li riconosceva più, o forse non li aveva mai conosciuti?
Qualcuno la strattonò per il braccio, interrompendo i suoi pensieri, le sue osservazioni. Sua mamma. Le prese la mano, la tiró. La schiodò dalla sua posizione e la trascinò giù per le scale. Correvano. Il pavimento instabile, pieno di crepe, rendeva difficile percorrere velocemente, ma loro facevano del proprio meglio. In certi punti il soffitto pendeva pericolosamente, in altri le pareti erano già crollate. Alcuni degli enormi finestroni erano rotti, la fredda aria notturna si stava diffondendo, tagliente.
La mamma aprí l'ennesima grande porta, che dava su un'altro corridoio, per fortuna l'ultimo. Avevano raggiunto il piano terra, ormai. Questa zona era praticamente deserta, fredda, solitaria.
Finito il corridoio, svoltarono a destra. Altre scale. Vecchie, sbilenche; consumate. Le infilarono alla svelta, scendevano due gradini alla volta. Scendevano, sempre più veloci sempre più giù. I gradini facevano sempre più piccoli e stretti, il soffitto sempre più basso. Mancava l'aria. A Caroline girava la testa. Il sangue aveva preso a pulsarle più violentemente nella tempia sinistra, provocandole un dolore acutissimo.
Raggiunsero il termine della gradinata; spalancarono la vecchia porta di legno davanti a loro.
Entrarono in una stanzina piuttosto piccola, umida, fredda. Silenziosa. Tremendamente silenziosa. Era una vecchia cantina, che nessuno usava più. Avevano deciso che sarebbe servita come bunker, in caso di bisogno. Ed era servita, purtroppo.
C'era poca gente al suo interno. Alcune famigliole soltanto, ciascuna seduta in un gruppetto in disparte, in un angolo diverso della stanza. Le donne piangevano, alcune. I pochi bambini che c'erano, dormivano, totalmente ignari del pericolo scampato. I ragazzi erano impauriti, con gli occhi smarriti; si sussurravano all'orecchio; si guardavano attorno, chiedendosi che sarebbe successo, che ne sarebbe stato di loro? Che fine avrebbero fatto?
La mamma si guardò in giro, in cerca della sua famiglia. E la vide. In fondo, in un angolo.
Si avvicinò svelta a suo marito, lo baciò in fronte. Caroline la seguiva, a passo più lento. Si sedette vicino a suo fratello maggiore, Alex, che le fece passare il braccio sulle spalle, in modo che lei potesse accoccolarsi sul suo dorso. Stava diventando proprio un bel ragazzo, suo fratello. Alto, bruno con gli occhi grigi. Muscoloso. Quel sorriso intrigante, lo sguardo vispo, spigliato. La voce vellutata. Faceva strage di ragazze e aveva solo diciotto anni!! Ma a lui non importava. Diceva sempre che le uniche cose che contavano davvero, per lui, erano la famiglia e il lavoro. E in effetti per ora era così, ma forse un giorno avrebbe cambiato idea. Lavorava con suo fratello, Claude, facevano i braccianti per un amico di famiglia, gli guardavano il bestiame per qualche spicciolo. Ma a breve avrebbero aperto un'attività tutta loro. Avrebbero preso degli animali, forse. Delle pecore. Così avrebbero avuto il latte, con cui fare anche il formaggio. La lana, da cui avrebbero ricavato cuscini e coperte. E la carne. Magari anche qualche gallina, tanto per avere un po' di uova e altra carne. Erano buone prospettive. E avrebbero fatto fortuna, due giovani di venti e diciotto anni, pieni di idee da realizzare e tanta buona volontà per metterle in pratica.
Il padre si schiarí la voce, per attirare l'attenzione della famiglia. Il piccolo Martin socchiuse gli occhi assonnati e si guardò attorno, scocciato, per capire chi avesse interrotto il suo sonnellino. Era carinissimo, con i capelli ricci tutti scompigliati e i grandi occhioni ancora addormentati.
<<Sentite ragazzi>>, il suo tono di voce era incerto, <<la situazione, ormai, è chiara. Questo posto non è più sicuro per noi. Ci sposteremo. Più a nord, probabilmente. Dobbiamo farci una nuova vita>> la sua voce era colma di tristezza. Prima di proseguire, si girò a guardare Caroline, <<Quanto a te, piccolina.. Io e tua mamma ne abbiamo parlato, ti trasferirai>>. <<Cosa?!>> Caroline sgranò gli occhi; <<Senti tesoro, lo sai che lo facciamo per te. Martin ha solo cinque anni, è troppo piccolo e ha ancora bisogno di noi. I tuoi fratelli maggiori sono ormai indipendenti. Qui non farai fortuna...>> <<Ma, papà.. io ho quindici anni! Posso rendermi utile, potrei occuparmi di Martin, aiutarvi in casa.. o cercarmi un lavoro! Ma vi prego, non mandatemi via, voi siete la mia famiglia, la mia unica famiglia, la mia casa, la mia vita.. >> <<Caroline, ti prego.. >> la supplicò la madre <<è stata una scelta difficile, di certo la più complicata della mia vita. Ma lo facciamo per te. Hai appena terminato gli studi, potrai trovarti un occupazione, un lavoro. E un giorno, tornerai da noi. Ma ora ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto dovrebbero essere>>. Caroline annuì piano e abbassò lo sguardo rassegnato e deluso. <<Partirai tra qualche giorno, ti accompagnerà un mio amico. Domattina preparerai le tue cose. E ora riposati, per quanto possibile: domani sarà una giornata impegnativa>>
E con questa ultima frase, chiuse per sempre la discussione di poco prima e augurò la buona notte alla famigliola.


Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 27, 2015 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Un amore proibitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora